Stati Uniti: sempre meno sostenibili i costi della guerra al terrorismo
La guerra lanciata da Washington contro il terrorismo, in seguito agli attacchi dell’11
settembre 2001, ha lasciato sul terreno 225.000 morti: lo afferma uno studio pubblicato
in questi giorni dalla Brown University. Tra le vittime, i soldati sono oltre 31 mila:
circa 10 mila i militari iracheni uccisi, quasi 9 mila quelli afghani, 6 mila i soldati
americani. Il costo di dieci anni di guerra al terrore ammonta per gli Stati Uniti
a 4.400 miliardi di dollari. Ma che peso avranno questi dati sull’ultima parte della
presidenza Obama? Marco Guerra lo ha chiesto all’inviato del Corriere della
Sera negli Stati Uniti, Guido Olimpio:
R. - Le cifre
sono spaventose, perché parliamo di circa quattro trilioni di dollari, denaro che
è stato in parte chiesto in prestito: si tratta quindi di una guerra costosissima,
anzi si tratta di guerre costosissime che oggi pesano tantissimo, perché sappiamo
che i conti americani sono in grossa difficoltà. E’ chiaro che l’Amministrazione deve
decidere, da una parte, appunto, di ridurre le spese e, al tempo stesso, ridurre un
impegno che non è più sostenibile. Anche l’opinione pubblica non è più disposta ad
appoggiare questo tipo di iniziative militare. C’era una battuta che faceva - mi sembra
- un sindaco statunitense, dicendo: perché noi dobbiamo costruire un ponte a Baghdad
o a Kabul e non costruiamo invece un ponte in Ohio?
D. - Incursioni
leggere con droni e commandos: è un tipo di guerra più "proficua" - quella che si
sta tentando di fare - o un tentativo di sembrare meno invasivi davanti alla comunità
internazionale?
R. - Tutte e due le cose. Anche già prima del famoso
invio dei rinforzi, 30 mila uomini in Afghanistan, c’era una corrente di pensiero
nell’Amministrazione Usa che spingeva per questo, per una sorta di guerra leggera
e quindi per l’uso di commandos e di droni che oggi sono impegnati non solo in Iraq
o in Afghanistan, ma anche in Somalia e nello Yemen. E’ quindi un tentativo anche
di sottrarsi alle critiche che dicono: “gli americani ci invadono e sono qui per occuparci”.
Questo tipo di attività è meno invasiva e, forse, crea anche una certa pressione:
non essendo mezzi militari ben visibili, anche i terroristi li soffrono e li patiscono.
Questo è emerso anche dalle lettere che scriveva Osama Bin Laden.
D.
- La guerra al terrore va avanti da oltre 10 anni: che cosa dobbiamo aspettarci nel
medio e lungo periodo?
R. - Dovrebbe, più o meno, continuare sullo stesso
sentiero. Nel senso che i gruppi qaedisti sono abbastanza frammentati: sono gruppi
locali, che ogni tanto uniscono alla loro lotta contro quel regime, contro quello
Stato - faccio l’esempio dello Yemen - tentativi di colpire anche fuori dei confini,
di allungarsi. Lo stesso può essere il caso della Somalia o dell’Iraq o del Pakistan.
Quindi da una parte vedremo un’attenzione continua in tutti quei punti dove ci sono
dei fronti lealisti e, dall’altra, questa aspirazione a poter colpire il “nemico lontano”
come lo definiva Osama Bin Laden, ossia gli Stati Uniti. Quindi c’è questo doppio
livello, anche se, io credo, queste fazioni si concentreranno soprattutto sulla loro
agenda regionale. (mg)