Russia: la pubblicità non potrà promuovere l'aborto senza spiegarne alle donne gli
effetti negativi
La Russia impone per legge la spiegazione delle conseguenze negative dell’aborto.
Dopo l’approvazione in questi giorni da parte della Camera bassa (la Duma), sta per
passare al Senato un emendamento alla legge sulla pubblicità, in cui si stabilisce
che il 10% dello spazio usato per pubblicizzare l’aborto dovrà informare le donne
anche sulle possibili conseguenze negative, come l’infertilità. Finora - spiega alla
stampa Viktor Zvagelsky, deputato del partito di maggioranza Russia Unita, - “le pubblicità
fanno credere alle giovani che non avranno problemi nell’interrompere una gravidanza”.
Secondo gli analisti sembra scontato il sì del Senato e la firma del presidente Medvedev.
La Federazione russa ha uno dei tassi di aborto più alti del mondo e un costante calo
della popolazione. Il provvedimento dunque nasce da esigenze demografiche ma accende
il dibattito anche su questioni etiche. Fausta Speranza ne ha parlato con Fulvio
Scaglione, vicedirettore di Famiglia Cristiana, per anni corrispondente a Mosca:
R. – Va ricordato
che anche in tempi sovietici l’aborto era usato - in una società piuttosto primitiva
sotto certi punti di vista e con una sanità certo non impeccabile – come un puro strumento
anticoncezionale. Io stesso ho conosciuto donne, anche giovani, che avevano fatto
molti aborti, che significa cinque, sei, sette aborti. Quindi, è di fronte a questa
realtà che va giudicato il provvedimento di oggi.
D. – Le cifre delle
autorità parlano di un milione e mezzo di aborti durante l’arco di un anno, ma la
Chiesa ortodossa afferma che le cifre siano anche superiori a quelle ufficiali, addirittura
arriverebbero a tre o 4 milioni di aborti l’anno...
R. – Io credo che
sia più vicina al vero l’opinione della Chiesa ortodossa russa, perché la provincia
russa è sterminata e il sistema sanitario in molte zone è ancora oggi primitivo. Poi,
comunque, è ancora fiorente l’industria dell’aborto clandestino. Quindi, è sicuramente
un problema che ha dei toni di drammaticità per noi forse inimmaginabili, e credo
che sia veramente questa la ragione di questo provvedimento.
D. – Un
provvedimento fatto per salvare così la demografia nazionale, ma che in qualche modo
avvicina le autorità a quello che, per anni, la Chiesa ortodossa ha cercato di dire
– peraltro anche la Chiesa cattolica, ma la Chiesa ortodossa è in maggioranza in Russia
- e cioè far passare anche un discorso di valori di difesa della vita umana...
R.
– Sì, indubbiamente il provvedimento va in quella direzione. L’aiuto può essere reciproco,
perché da un lato le autorità hanno assolutamente bisogno di una – e passatemi il
brutto termine - “certificazione morale”. Cioè, un provvedimento come questo, che
vada in direzione di una difesa dei valori fondamentali, deve dal punto di vista delle
autorità in qualche modo essere anche appoggiato da chi possa garantire che c’è effettivamente
una preoccupazione alla base e non solo preoccupazioni pratiche o giochi di potere
o interessi economici. D’altro canto, secondo me, è anche l'occasione per la Chiesa
ortodossa russa per impegnarsi in battaglie vere, in battaglie per le persone, per
gli individui, come per esempio la battaglia per la vita.
D. – Le Nazioni
Unite prevedono che nel 2050 la Russia perderà un quinto della sua popolazione. Focalizzandoci
su questo aspetto, quali possono essere le ripercussioni anche sociali di un fenomeno
del genere?
R. – Le ripercussioni sociali sono quelle che comunque deve
affrontare tutto il mondo sviluppato, anche l’Europa, che, seppure in altri termini
non così drammatici, ha lo stesso problema. Intanto, necessità di flussi migratori
- necessità non facoltà - che devono essere naturalmente regolati, per poter sostituire
efficacemente la popolazione che noi non produciamo più; e poi inceppi al sistema
economico, soprattutto in Paesi che, come la Russia, hanno ancora un alto tasso di
industria pesante; problemi nell’agricoltura e problemi nel sistema previdenziale,
perché un numero di anziani sempre crescente dovrebbe essere “mantenuto” da un numero
sempre più ridotto di giovani. I conti, come vediamo anche noi, non tornano. (ap)