Il cardinale Tauran: i valori cristiani, patrimonio enorme per il bene comune di ogni
società
A fine giugno, la Chiesa cattolica e i delegati della massime istituzioni cristiane
hanno firmato un documento dal titolo “Testimonianza cristiana in un mondo multi-religioso.
Raccomandazioni per un Codice di condotta”. Oltre al Consiglio Ecumenico delle Chiese
(Wcc) e all’Alleanza Evangelica Mondiale (Wea), era presente a Ginevra, in rappresentanza
della Santa Sede, il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio
Consiglio per il Dialogo Interreligioso. La collega della redazione inglese della
nostra emittente, Philippa Hitchen, ha chiesto al porporato di illustrare l’importanza
di questo documento ecumenico:
R. – E’ importante
perché pone in risalto la necessità di mettere a disposizione della società tutto
il patrimonio che abbiamo in comune, quando si tratta di testimoniare Cristo in un
mondo multireligioso. In questo ambito, abbiamo un certo numero di principi che possono
essere molto utili nel dialogo che i nostri cristiani sono chiamati a promuovere a
livello delle parrocchie, della scuola e della società in generale. I valori cristiani
che proclamiamo, nonostante le nostre divisioni, devono essere fattori di comunione
anche per la società, perché il dialogo interreligioso non è dialogo tra le religioni,
ma è dialogo tra i credenti e quindi nella famiglia, nella scuola, nella vita culturale.
Questi valori cristiani, che sono promossi da diverse Chiese cristiane o da comunità
cristiane, possono essere di ispirazione e mostrare come sia possibile vivere l’unità
e la diversità.
D. – E’ un documento che ha avuto bisogno di cinque
anni per la realizzazione: quali sono state, secondo lei, le difficoltà principali?
R.
– Inizialmente, c’è stato il problema di comprendere che tipo di documento sarebbe
stato, un documento teologico o piuttosto pastorale. Si è poi preferita la seconda
opzione e quindi un documento molto concreto. Abbiamo avuto una prima riunione, nel
2006, a Lariano: erano presenti musulmani, ebrei, buddhisti, ecc. Abbiamo avuto poi
una seconda riunione a Tolosa nel 2006 e, infine, la terza a Bangkok, lo scorso gennaio.
Direi che si è trattato dunque di un lavoro abbastanza difficile, anche perché era
necessario riuscire a porre in modo schematico le diverse tradizioni teologiche, il
vocabolario, i diversi termini e il senso delle parole, poiché a volte una stessa
parola non ha lo stesso significato in una religione o nell’altra.
D.
– Il documento insiste anche sull’importanza della libertà religiosa: un tema molto
caro al Santo Padre…
R. – Sì, perché c’è una grande ambiguità al fondo
della questione: la libertà religiosa è molto di più della libertà di culto. La libertà
di culto è avere un tempio per praticare la propria religione, e questo è il minimo.
Ma la libertà religiosa rappresenta una dimensione sociale: i credenti, quali che
siano i credenti, devono poter contribuire al bene della società, partecipando al
dialogo pubblico e attraverso l’impegno politico, culturale e in tutti i campi della
vita sociale e non soltanto individuale. Lì, ci sono evidentemente delle difficoltà.
D. – Quale sarà, secondo lei, la reazione delle altre religioni, per
esempio sul difficile tema delle conversione?
R. – Il documento non
tratta della conversione. La conversione è l’incontro di due libertà: la libertà di
Dio e la libertà dell’uomo e lì nessuno può intervenire. Questo è grande mistero.
La conversione forzata non ha nessun valore per noi. Il dialogo interreligioso è guardarci,
ascoltarci, capirci e mettere tutto ciò che abbiamo in comune a disposizione della
società per il bene comune. (mg)