Commento del cardinale Piacenza al Sussidio della Congregazione per il Clero per Confessori
e Direttori spirituali
A circa quattro mesi dalla sua pubblicazione, il cardinale Mauro Piacenza,
Prefetto della Congregazione per il Clero, fa il punto sul sussidio per Confessori
e Direttori spirituali sul ministero della penitenza e della riconciliazione, nella
prospettiva della santità cristiana. Il documento - inviato a tutte le Conferenze
episcopali del mondo – offre orientamenti pratici: dal mondo di suscitare le disposizioni
adatte nel penitente, all’esame di coscienza per i sacerdoti e per la confessione
dei sacerdoti stessi. Roberto Piermarini ha chiesto al cardinale Piacenza quali
sono gli scopi di questo documento:
R. – Le rispondo
prima di tutto con un’espressione di Sua Santità, quando ha parlato ai partecipanti
al 21.mo Corso sul “foro interno”, organizzato dalla Penitenzieria Apostolica nel
marzo scorso, quando disse: è necessario tornare al confessionale, come luogo nel
quale celebrare il sacramento della riconciliazione, ma anche come luogo in cui abitare
più spesso, perché il fedele possa trovare misericordia, consiglio, conforto, sentirsi
amato e compreso da Dio e sperimentare la presenza della misericordia di Dio accanto
alla presenza reale nell’Eucaristia. Mi pare che da queste parole del Santo Padre,
con le quali si rivolgeva ai confessori, si evinca l’importanza e la conseguente urgenza
apostolica di riscoprire il sacramento della riconciliazione sia da parte dei sacerdoti
sia come penitenti - quindi usufruendone i sacerdoti stessi – e sia come generosi
ministri di questo sacramento. Accanto alla celebrazione quotidiana dell’Eucaristia
la disponibilità ad ascoltare le confessioni, ad accogliere il penitente laddove richiesto,
ad accompagnarlo spiritualmente in quella che chiamiamo la direzione spirituale, siano
la reale misura della carità pastorale alla quale è chiamato il sacerdote.
D.
– E’ opinione comune che ci sia stato un notevole calo della frequenza alle confessioni,
rispetto alla frequenza alla santa comunione. Viene proposto qualche rimedio?
R.
– Sì, intanto questo fatto è un fatto oggettivo, perché per esempio vediamo che, durante
la santa Messa, la quasi totalità delle persone presenti si accosta alla comunione.
Questo, da una parte, per me è motivo di grande gioia – è evidente – perché c’è la
partecipazione piena, ma, dall’altra parte, è motivo anche di un po’ di preoccupazione,
perché non c’è una folla altrettanto brulicante ai confessionali. E’ chiaro che non
è che ad ogni comunione debba corrispondere una confessione, però chi si accosta con
frequenza – fortunatamente – alla santa comunione dovrebbe accostarsi almeno con regolare
frequenza alla confessione, anche se non la stessa frequenza, perché sappiamo che
la necessità assoluta è davanti ai peccati gravi, però c’è tutta un’opacità nella
vita di ogni giorno, ci sono delle renitenze alla generosità, quindi, non ci sono
solo i peccati in senso tipico gravi, ma anche le imperfezioni, le sfumature. Noi
siamo chiamati alla santità, ce lo ricorda molto bene il Concilio Vaticano II, parlando
della vocazione universale alla santità di tutte le membra del corpo di Cristo, e,
quindi, è chiaro che la confessione frequente costituisca comunque una grande spinta,
un grande aiuto alla santificazione nel vivere la propria vocazione di sacerdoti,
di religiosi, di padri, di mariti, di fidanzati, di ragazzi, di bimbi e così via.
Credo, quindi, che bisognerebbe ragionare di più a volte anche sulla frase di San
Paolo, per cui ci viene detto: “chi non mangia e non beve il corpo e il sangue di
Cristo non avrà parte alla vita eterna, ma chi mangia e beve indegnamente il corpo
e il sangue di Cristo mangia e beve la sua condanna”. Ci vuole, indubbiamente, un
pochino di attenzione maggiore. Si aprirebbe qui un grande discorso sulla vita cristiana,
sulla coerenza e così via. Il sussidio, però, richiamando tutto questo esorta poi,
anche sul piano molto pratico, per esempio alla disponibilità del confessore. Laddove
c’è un confessore disponibile, presto o tardi arriva un penitente e laddove persevera,
persino in maniera ostinata qualche volta, nonostante la bassa frequenza, e la disponibilità
del confessore continua, allora arriveranno anche i penitenti. Spesso accade in certe
chiese, quando il confessore prende l’abitudine di essere nel confessionale - recitando
magari lì il breviario, facendo la sua lettura spirituale, dicendo il suo rosario,
facendo meditazione - che prima o poi arrivino i penitenti, dopo un mese, due, tre
o un anno che la gente vede una presenza in un determinato orario. Allora c’è da tenere
presente anche questa arte pastorale del farsi trovare: la riscoperta del sacramento
della riconciliazione come penitenti e come ministri diventa la misura dell’autentica
fede nell’agire salvifico di Dio, che si manifesta più efficacemente nella potenza
della grazia che nelle umane energie organizzative di iniziative anche pastorali,
talvolta anche molto buone, ma talvolta anche un pochino dimentiche dell’essenziale.
Quindi, non dimentichiamo che il dinamismo pastorale nasce dalla tranquillità della
coscienza pulita e da una vita eucaristica che va in tandem con quella penitenziale.
D. – C’è una relazione fra questo documento e la nuova evangelizzazione?
R.
– Sì, indubbiamente c’è una relazione, anche perché la nuova evangelizzazione deve
partire - non è uno slogan, è una realtà – dalla concretezza. Per noi la concretezza
è proprio la vita sacramentale, è la vita di grazia. Si intende offrire con il presente
sussidio, che è frutto ulteriore dell’anno sacerdotale, proprio uno strumento utile
per quella formazione permanente del clero, che è indispensabile per avere un clero
adeguato alla nuova evangelizzazione. E’ un aiuto alla riscoperta del valore imprescindibile
della celebrazione del sacramento della riconciliazione e della direzione spirituale
se si vuole rievangelizzare. Diciamo che la nuova evangelizzazione è il rinnovamento
permanente della Chiesa. Diciamo giustamente, sull’onda della tradizione, che “Ecclesia
semper reformanda”, deve riformarsi continuamente nelle sue membra. E la vera riforma
della Chiesa non è fare una cosa nuova, un’altra e un’altra, può anche essere, ma
l’essenziale della riforma è ripartire continuamente da persone che siano sempre più
vicine al loro modello, che si purifichino continuamente, che traggano dinamica linfa
vitale da reale santificazione. E quindi, il confessionale e la direzione spirituale
sono mezzi certamente indispensabili ad un cammino veramente di riforma.
D.
– Com’è strutturato questo sussidio?
R. – Il sussidio è diviso in alcune
parti. Una prima parte è il ministero della penitenza e della riconciliazione nella
prospettiva della santità cristiana. Quindi, c’è l’importanza attuale, c’è l’importanza
di richiamare la grazia, c’è un invito urgente, c’è la missione di Cristo che opera
nella Chiesa, l’aprirsi all’amore e alla riconciliazione, la testimonianza e la direzione
dei pastori, l’esempio tipico del santo curato d’Ars e della sua dedizione al confessionale
e il ministero di misericordia in genere. Ci sono poi delle linee fondamentali, come
la natura del sacramento della penitenza e così via, alcuni orientamenti pratici –
e questo è più ampio, perché la prima parte vuole soprattutto richiamare gli aspetti
dottrinali – e poi ci sono gli orientamenti pratici nelle attuali circostanze; quindi,
il modo di suscitare le disposizioni adatte nel penitente, le norme pratiche stabilite
dalla Chiesa come espressione della sua carità pastorale, l’orientare nel cammino
di santità, in sintonia con l’azione dello Spirito Santo, la disponibilità ministeriale,
come fare l’accoglienza, perché sia paterna davvero, poi nuove situazioni e nuovo
fervore che si richiede nei ministri sacri. C’è poi un esame di coscienza per i sacerdoti
e per la confessione dei sacerdoti e questo credo sia abbastanza importante. E' stato
strutturato in modo che le domande per esaminare la propria coscienza e accedere quindi
fruttuosamente alla confessione siano tratte da inviti evangelici. Faccio un esempio.
“Ho sete” Giovanni 19,28 e da qui l’esame di coscienza: ho pregato e mi sono sacrificato
veramente con generosità per le anime che Dio mi ha affidato, compio i miei doveri
pastorali, ho sollecitudine verso i defunti e così via? Prendendo tutto da “ho sete
di anime”. Oppure “Ecco tuo figlio, ecco tua madre” e allora: ricorro con la preghiera
del Rosario alla Vergine che il Signore mi ha affidato come Madre e alla quale mi
ha affidato come figlio e così via? Quindi, dalle frasi dirette di Gesù nel Vangelo
viene tratto un esame di coscienza che spero possa essere fruttuoso. Poi ci sono anche
delle preghiere in fondo, per rendere per esempio sempre più cosciente il confessore
di quello che sta facendo: di essere ministro di misericordia e quindi disporlo a
ben accogliere il penitente. E allora ci sono alcune preghiere che si offrono da poter
recitare eventualmente, quando si è chiamati al confessionale e poi quando si torna
dal confessionale, quasi per accompagnare ancora con il proprio impegno personale
di preghiera e di carità pastorale i penitenti che sono ricorsi all’azione del sacerdote.(ap)