I 40 anni della Caritas italiana nelle parole di mons. Vittorio Nozza e mons. Domenico
Pompili
Quarant'anni fa, per volere di Paolo VI, nasceva la Caritas Italiana con lo scopo
di promuovere la carità e dedicare particolare attenzione agli ultimi. Ieri, a Roma,
sono stati presentati gli eventi in programma per celebrare l’anniversario. Si tratta
di dieci appuntamenti che si svolgeranno lungo tre direttive: memoria, fedeltà e profezia.
Eugenio Bonanata ha parlato della ricorrenza con mons. Vittorio Nozza,
direttore di Caritas Italiana, e con mons. Domenico Pompili, sottosegretario
della Conferenza episcopale italiana e direttore dell’Ufficio Nazionale per le comunicazioni
sociali:
D. – Mons.
Vittorio Nozza, qual è il bilancio di questi 40 anni?
R. – Quarant’anni
ricchi di un patrimonio di ascolto, di attenzione, di cura, di intervento. Ma anche
ricchi di animazione, di promozione, di capacità educativa, generata non tanto da
ulteriori parole, quanto da bei fatti, da belle opere messe in atto come pulpito dentro
la storia a servizio dei poveri e ad animazione delle comunità ecclesiali dell’intero
territorio.
D. – Voi per primi avete segnalato le difficoltà delle famiglie,
dei nuovi poveri: la crisi e la precarietà stanno colpendo il volontariato?
R.
– Nel momento in cui viene meno la possibilità di avere un vissuto solido, garantito
da un punto di vista di una sicurezza del lavoro e di un abitare confacente, diventa
anche molto difficile proiettarsi in termine di disponibilità e di gratuità a servizio
degli altri. Anche se dobbiamo costatare che i volontari non mancano: ci troviamo,
però, in un contesto diverso rispetto a 15-20 anni.
D. – Qual è il rischio
principale oggi?
R. – La grande preoccupazione è che, di anno in anno,
– in un tempo appesantito anche dalla crisi economico-finanziaria, che purtroppo colpisce
un vasto mondo, ma che non colpisce direttamente tutti – stiamo assistendo allo sgretolarsi
o all’indebolirsi del tessuto sociale. Rischiamo, con la situazione attuale, di dover
magari mettere in atto anche una molteplicità di buoni interventi, capaci di intercettare
volti, situazioni e storie di povertà, le più diverse, ma che però venga pian piano
ad affievolirsi quella che invece è la torta su cui questa ciliegina della gratuità
dovrebbe collocarsi. Ecco allora l’esigenza che si torni a rafforzare la solidarietà
dovuta, istituzionale, e quindi le garanzie per il bene comune, con le quali non dovrebbe
mancare, diremmo, la bella e grande dimensione della gratuità e della sussidiarietà.
D.
– Mons. Domenico Pompili, cosa vuol dire vivere la carità?
R. – Vuol
dire avere un occhio che non si limita a sentire. Significa avere – com’è appunto
scritto della Deus caritas est – un cuore che vede: vedere presuppone, però,
un'apertura, perché spesso non vediamo la realtà. Al contrario, mi pare che la Caritas
costituisca oggi un elemento di controinformazione, proprio perché riesce a disseppellire
situazioni e fatti che spesso nell’“agenda setting” dei media vengono occultate.
D.
– Attenzione sempre agli ultimi…
R. – Senz’altro, tenendo conto che
gli ultimi – nella visione evangelica – sono i primi, ma che per essere accostati
adeguatamente richiedono un capovolgimento delle nostre abituali prospettive. In questo
Caritas – che mostra di essere vicino agli immigrati, ai ragazzi ripetenti, alle persone
che hanno perso il posto di lavoro, a coloro che vivono profonde situazioni di disagio
familiare – mi pare che ci indichi la strada da seguire.
D. – Cosa è
cambiato rispetto a 40 anni fa?
R. – Sicuramente, non è cambiata l’esigenza
di dare spazio a questa dimensione della carità, perché la semplice giustizia, che
pure è l’obiettivo finale della politica, quand’anche fosse raggiunta, ha sempre bisogno
di questa ulteriore dimensione.
D. – Un messaggio alla politica?
R.
– Di valorizzare questo "occhio" che vede, per stare più dentro ai problemi reali.
(mg)