2011-07-02 15:21:45

I 40 anni della Caritas italiana nelle parole di mons. Vittorio Nozza e mons. Domenico Pompili


Quarant'anni fa, per volere di Paolo VI, nasceva la Caritas Italiana con lo scopo di promuovere la carità e dedicare particolare attenzione agli ultimi. Ieri, a Roma, sono stati presentati gli eventi in programma per celebrare l’anniversario. Si tratta di dieci appuntamenti che si svolgeranno lungo tre direttive: memoria, fedeltà e profezia. Eugenio Bonanata ha parlato della ricorrenza con mons. Vittorio Nozza, direttore di Caritas Italiana, e con mons. Domenico Pompili, sottosegretario della Conferenza episcopale italiana e direttore dell’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali:RealAudioMP3

D. – Mons. Vittorio Nozza, qual è il bilancio di questi 40 anni?

R. – Quarant’anni ricchi di un patrimonio di ascolto, di attenzione, di cura, di intervento. Ma anche ricchi di animazione, di promozione, di capacità educativa, generata non tanto da ulteriori parole, quanto da bei fatti, da belle opere messe in atto come pulpito dentro la storia a servizio dei poveri e ad animazione delle comunità ecclesiali dell’intero territorio.

D. – Voi per primi avete segnalato le difficoltà delle famiglie, dei nuovi poveri: la crisi e la precarietà stanno colpendo il volontariato?

R. – Nel momento in cui viene meno la possibilità di avere un vissuto solido, garantito da un punto di vista di una sicurezza del lavoro e di un abitare confacente, diventa anche molto difficile proiettarsi in termine di disponibilità e di gratuità a servizio degli altri. Anche se dobbiamo costatare che i volontari non mancano: ci troviamo, però, in un contesto diverso rispetto a 15-20 anni.

D. – Qual è il rischio principale oggi?

R. – La grande preoccupazione è che, di anno in anno, – in un tempo appesantito anche dalla crisi economico-finanziaria, che purtroppo colpisce un vasto mondo, ma che non colpisce direttamente tutti – stiamo assistendo allo sgretolarsi o all’indebolirsi del tessuto sociale. Rischiamo, con la situazione attuale, di dover magari mettere in atto anche una molteplicità di buoni interventi, capaci di intercettare volti, situazioni e storie di povertà, le più diverse, ma che però venga pian piano ad affievolirsi quella che invece è la torta su cui questa ciliegina della gratuità dovrebbe collocarsi. Ecco allora l’esigenza che si torni a rafforzare la solidarietà dovuta, istituzionale, e quindi le garanzie per il bene comune, con le quali non dovrebbe mancare, diremmo, la bella e grande dimensione della gratuità e della sussidiarietà.

D. – Mons. Domenico Pompili, cosa vuol dire vivere la carità?

R. – Vuol dire avere un occhio che non si limita a sentire. Significa avere – com’è appunto scritto della Deus caritas est – un cuore che vede: vedere presuppone, però, un'apertura, perché spesso non vediamo la realtà. Al contrario, mi pare che la Caritas costituisca oggi un elemento di controinformazione, proprio perché riesce a disseppellire situazioni e fatti che spesso nell’“agenda setting” dei media vengono occultate.

D. – Attenzione sempre agli ultimi…

R. – Senz’altro, tenendo conto che gli ultimi – nella visione evangelica – sono i primi, ma che per essere accostati adeguatamente richiedono un capovolgimento delle nostre abituali prospettive. In questo Caritas – che mostra di essere vicino agli immigrati, ai ragazzi ripetenti, alle persone che hanno perso il posto di lavoro, a coloro che vivono profonde situazioni di disagio familiare – mi pare che ci indichi la strada da seguire.

D. – Cosa è cambiato rispetto a 40 anni fa?

R. – Sicuramente, non è cambiata l’esigenza di dare spazio a questa dimensione della carità, perché la semplice giustizia, che pure è l’obiettivo finale della politica, quand’anche fosse raggiunta, ha sempre bisogno di questa ulteriore dimensione.

D. – Un messaggio alla politica?

R. – Di valorizzare questo "occhio" che vede, per stare più dentro ai problemi reali. (mg)







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