Una campagna internazionale contro i monopoli dei brevetti in agricoltura
L’attuale tendenza verso la brevettazione di specie vegetali e la conseguente creazione
di monopoli su piante e semi da parte di imprese multinazionali impedisce le attività
informali di innovazione agricola, che garantiscono la conservazione della biodiversità.
Tutto ciò favorisce, inoltre, la perdita dei mezzi di sussistenza da parte dei piccoli
produttori agricoli. Per informare e sensibilizzare l’opinione pubblica su questo
fenomeno è stata di recente promossa la campagna d’informazione “Sblocchiamoli – cibo,
salute e saperi senza brevetti”, co-finanziata dalla Commissione europea e realizzata
da ong, associazioni e atenei di Italia, Spagna, Bolivia, India ed Ecuador. Ma cosa
s’intende con “sblocchiamoli”? Lucas Duran lo ha chiesto a Nicoletta Dentico,
rappresentante della campagna per il settore salute, già direttore generale di “Medici
senza frontiere Italia”:
R. – “Sblocchiamoli”
vuol dire tante cose. Vuol dire sblocchiamo una gestione "feudale" del sapere, che
sta progressivamente privatizzando tutte le forme di conoscenza nel campo dei saperi
tradizionali, dell’agricoltura, della salute. Questo è un problema difficile da raccontare,
perché poi ha implicazioni anche molto tecniche e riguarda non soltanto i Paesi in
via di sviluppo, ma tutti i cittadini del mondo. Bisogna sbloccare, però, anche una
certa resistenza degli attori politici a livello nazionale e anche a livello locale
rispetto a questa materia, perché queste decisioni vengono prese nelle sedi internazionali
dalle varie organizzazioni, soprattutto dall’Organizzazione mondiale del commercio,
con un deficit di conoscenza – e anche, vorrei dire, di democrazia – che dovrebbe
preoccupare tutti noi cittadini del mondo. Queste decisioni vengono prese nella perfetta
non consapevolezza da parte delle autorità, che poi si vedono costrette ad adottare
politiche presso le loro comunità che hanno un impatto enorme. Questo vale soprattutto
nei Paesi in via di sviluppo, per quanto riguarda la salute; ma per quanto riguarda
l’agricoltura le implicazioni sono a 360 gradi. E’ necessario sbloccare una resistenza
della politica a considerare anche questi come temi della politica che devono essere
presentati ai cittadini e devono diventare un patrimonio di un dialogo pubblico che
oggi, purtroppo, dopo anni e anni non vediamo.
Uno degli obiettivi della
campagna è l’ottenimento del libero utilizzo dei semi da parte degli agricoltori.
Cosa implica quest’obiettivo e quali sono i rischi se questo obiettivo non venisse
garantito? Riccardo Bocci, agronomo rappresentante del settore
agricoltura della campagna:
R. – Possiamo dire che sempre di più, in
questi ultimi anni, abbiamo un controllo da parte di poche ditte, soprattutto multinazionali,
sulle sementi a livello internazionale. Questo – anche se noi non ce ne accorgiamo
– nella vita di tutti giorni cosa significa? Che ciò che mangeremo in futuro, che
sarà determinato dai semi che pianteremo in futuro, non sarà più legato alle scelte
che faranno gli agricoltori, sulla base di indicazioni che possono dare loro anche
i consumatori, oppure delle necessità locali, ma sarà dettato a livello internazionale
da chi controllerà questi semi. Quindi, non facciamo soltanto una battaglia ideologica,
perché siamo contro i monopoli o perché siamo a favore di una innovazione gestita
in maniera diversa: è una battaglia su cosa vogliamo mangiare, su cosa vogliamo che
ci sarà nei nostri piatti tra 15, 20 anni. Inoltre, cerchiamo di far riflettere i
cittadini – che al momento sono poco forse consapevoli di questo, poiché c’è una forte
mancanza di democrazia in queste scelte – e informarli dei rischi che corrono non
conoscendo ciò di cui si sta discutendo attualmente, o le decisioni che si stanno
prendendo in questi anni.
D. – Quali sono le possibilità reali, forse
già in corso, di incidere in maniera costruttiva su quanto stiamo dicendo?
R.
– Le possibilità sono molte, perché non stiamo lavorando in un vuoto. Abbiamo in Europa
organizzazioni di agricoltori che stanno riprendendo il proprio potere sui semi, cioè
agricoltori che si organizzano, lavorano in maniera collettiva e si riappropriano
sia delle conoscenze legate alle sementi, sia materialmente delle sementi stesse.
Questo, dunque, è un primo segno che ci deve in qualche modo tranquillizzare. Inoltre,
abbiamo consumatori – che chiamerei piuttosto cittadini – sempre più attenti a queste
tematiche e in grado quindi di andare incontro a questi agricoltori: è grazie alla
conoscenza reciproca che possiamo poi condurre azioni che abbiano un impatto sul futuro.
La cosa importante è che questi movimenti non sono solo movimenti biologici, ma hanno
capacità tecniche da un punto di vista agronomico - quindi parlo dei semi - e delle
capacità propositive legali molto importanti, che li mette in condizioni di parlare
con organizzazioni internazionali, per esempio con la Ue a Bruxelles.(bf)