2011-06-26 14:06:31

“11 Settembre”: un libro sulla storia dei sopravvissuti, 10 anni dopo l’attacco alle Torri Gemelle


Cosa fanno oggi gli eroi dell’11 settembre? Come è cambiata la vita dei sopravvissuti e dei familiari delle vittime? Muove da questi interrogativi il libro “11 Settembre. Una storia che continua”, scritto dal giornalista e collega, Alessandro Gisotti, e pubblicato in questi giorni dalla Effatà editrice. La prefazione porta la firma del cardinale Francis E. George, arcivescovo di Chicago, già presidente della Conferenza episcopale Usa. Il libro propone una serie di toccanti testimonianze raccolte da Gisotti a New York e Washington, tra vigili del fuoco, poliziotti, soccorritori e familiari delle vittime. In questa intervista di Alessandro De Carolis, l’autore si sofferma sui contenuti del suo libro:RealAudioMP3

R. – L’11 settembre ha modificato un po’ la vita di tutti noi, ma quanto ha modificato la vita dei poliziotti, dei Vigili del Fuoco di New York, di chi a New York – come a Washington – ha perso un amico, un familiare? E’ partito tutto da qui. Nel decimo anniversario dell’attacco alle Torri Gemelle, ma anche a Washington e all’aereo diretto verso la Casa Bianca e schiantatosi in Pennsylvania, ho voluto cercare di capire com’è cambiata la vita delle persone, al di là della “grande storia” che rimane sullo sfondo di questo libro.

D. – Che cosa hai capito di quello che è cambiato della vita… dieci anni dopo, qual è la consapevolezza profonda che hanno gli americani di quella tragedia?

R. – Ho capito, guardando negli occhi le persone che ho incontrato a Washington e a New York e ascoltando l’emozione nelle loro voci, che questa pagina non è stata ancora girata, che la ferita è ancora molto profonda. Ci sono dei sentimenti molto contrastanti tra i familiari delle vittime, tra i soccorritori, tra i poliziotti e i vigili del fuoco, tra le persone che hanno vissuto sulla propria pelle la tragedia dell’11 settembre. Da una parte, la voglia di andare avanti: in qualche modo il mio libro, intitolato icasticamente “11 settembre”, si sarebbe anche potuto chiamare “12 settembre”, perché poi nelle storie che racconto si parla soprattutto di come la vita è cambiata dal giorno dopo, dal 12 settembre del 2001. Quindi, questa voglia di andare avanti che, forse, è anche un po’ propria dello spirito americano. Tuttavia, c’è anche un altro sentimento, che è appunto contrastante rispetto a questo, ed è quello di non riuscire ancora, a tutt’oggi, dieci anni dopo, a metabolizzare quanto è successo. Anche perché consideriamo che ogni lutto, ogni situazione tragica per una persona viene amplificata, ogni volta, nell’anniversario dell’11 settembre. Ed immaginiamo quanto potrà accadere quest’anno con il decimo anniversario. Il lutto non è più solo privato, diventa collettivo.

D. – Un libro di testimonianze è un libro che comunica alla mente, ma parla soprattutto al cuore. Al tuo cuore quale testimonianza, di quelle che hai raccolto, ha detto qualcosa di particolare?

R. – Nella prefazione del libro, io rilevo che non è stato facile scriverlo, perché finché ci si confronta con queste storie leggendo un articolo, guardando un film o ascoltando un’intervista è un qualcosa. Ma incontrare queste persone, poterle abbracciare, poter – in un qualche modo – mettere la propria vita insieme alla loro è molto più toccante… Ti cambia, anche… E non è stato, quindi, innaturale che io parlassi anche della mia famiglia, oltre che ascoltare come era cambiata la vita delle loro famiglie. E’ dunque difficile scegliere una storia tra quelle che racconto nel mio libro, perché poi ognuna, di per sé, mi ha dato ed immagino – lo spero – dia qualcosa a chi leggerà questo libro. Certo, una delle storie che mi ha colpito è quella di una famiglia, una famiglia di Baltimora che non ce l’ha fatta ad incontrarmi per parlare della propria figlia morta nel volo che, probabilmente, gli attentatori avrebbero voluto dirigere verso la Casa Bianca o il Campidoglio e che si schiantò invece in un campo in Pennsylvania… Avevo chiesto di incontrarli, ma non ce l’hanno fatta. Mi hanno risposto via e-mail, comunque raccontandomi quali fossero le loro difficoltà e le loro emozioni. Questo ci dice molto: dieci anni dopo, ancora c’è chi non riesce a parlare faccia a faccia di una tragedia così grande. (mg)







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