2011-06-26 14:05:49

Nessuna giustificazione per la violazione dei diritti umani: l’appello di Ban Ki-moon nella Giornata Onu contro la tortura


“La tortura non può essere mai giustificata, né in stato di guerra, né in situazioni d’emergenza per la sicurezza nazionale”. Sono le parole del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, in occasione della Giornata internazionale delle vittime di tortura, istituita nel 1997 dalle Nazioni Unite e celebrata ieri. Sono 98 i Paesi in cui figurano tortura e maltrattamenti. Metà della popolazione mondiale vive sotto governi che la praticano, un rifugiato su quattro è stato torturato. In Italia il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) dal 1996 è impegnato in progetti di accoglienza e cura delle vittime. Attualmente segue circa 600 persone, fornendo loro assistenza legale, sociale e psicologica. Nel tempo si sono registrati anche segnali positivi nella lotta a questo drammatico fenomeno. Lo conferma Christopher Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati, intervistato da Francesca Sabatinelli:RealAudioMP3

R. – Qualcosa in senso positivo è successo in questo periodo: c’è stato, ad esempio, lo sviluppo delle competenze penali internazionali del Tribunale dell’Aja, che ha anche la facoltà di giudicare e condannare i torturatori o i mandanti della tortura. Questo è un importantissimo segnale per molti Paesi e per molti regimi, ma anche per torturatori individuali: non c’è più una "zona franca" dove è possibile fuggire alla giustizia, perché ormai la giustizia è internazionale!

D. – C’è comunque da ricordare che ci sono Paesi – e l’Itala è tra questi – che non contemplano nel Codice Penale il reato di tortura…

R. – Questo effettivamente è scandaloso! E’ un obbligo ormai internazionale da quando l’Italia ha firmato e ratificato la Convenzione internazionale delle Nazioni Unite contro la tortura, in base alla quale c’è l’obbligo di inserire nel Codice Penale nazionale il reato di tortura. C’erano delle proposte; un dibattito era iniziato alla Camera, ma ad oggi questo reato non c’è nel Codice...

D. – Noi siamo legati all’immagine della tortura allo scopo di estorcere notizie, ma esiste la tortura anche fine a se stessa?

R. – Sì. C’è la tortura – se così si può dire – dovuta a puro sadismo: tutti ricordiamo le foto e le immagini del carcere di Abu Ghraib, in Iraq, dove non c’era neanche l’intento di estorcere confessioni o notizie, ma si trattava di sadismo puro. Certamente c’è anche il fenomeno della tortura come atto di punizione, più che dovuta all’idea di ottenere informazioni. Il dibattito su tutto questo è certamente aperto, le forme ed anche le intenzioni dell’applicazione della tortura possono essere diverse da situazioni a situazione, da Paese a Paese, ma hanno comunque un comun denominatore: la tortura è sempre una sistematica offesa perpetrata sul corpo e sulla mente di un individuo, con il solo scopo di annientarlo!

D. – Il Cir ci ricorda che la tortura è anche molto vicina a noi europei, perché un rifugiato su quattro, di quelli che arrivano in Europa, ha personalmente subito esperienze di tortura…

R. – Effettivamente riscontriamo l’aumento del numero di donne, di ragazze provenienti da Paese africani, ma non solo, che arrivando raccontano della tortura subita, spesso anche sotto forma di violenza sessuale: e questo viene perpetrato spesso non solo nel Paese di origine, ma anche e proprio durante il viaggio per arrivare in Europa.

D. – Prevenire la tortura prevede la possibilità di monitorare luoghi che potrebbero essere a rischio. Voi avete espresso timori per alcune situazioni specifiche dell’Italia, come quelli nei Cie, Centri di identificazione ed espulsione…

R. – Questi centri non sono assolutamente accessibili: né per i giornalisti né per gli operatori delle Organizzazioni non governative e neanche per gli avvocati, se non quelli prescelti dalle autorità di Polizia stessa. Questo è di per sé un rischio di atti di violenza, che potrebbero risultare anche in atti di tortura. (mg)







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