"Sprazzi di luce fra intricati rovi": le esperienze dei detenuti di Rebibbia raccolte
in un libro
E’ stato presentato questa mattina, nel carcere di Rebibbia “Sprazzi di luce fra intricati
rovi”, il volume che raccoglie le testimonianze dei detenuti del penitenziario romano.
Nel corso della cerimonia, alla quale ha preso parte anche una rappresentanza della
Radio Vaticana, il concerto del coro polifonico “Musica Insieme” diretto da Ida Scanu.
Ha seguito l’evento Davide Dionisi:
"Ci avete
fatto pervenire pagine d’intensa ricchezza umana, che hanno aperto uno spiraglio di
luce sul mondo interiore, che vibra anche dietro le sbarre. Spesso a nostra insaputa".
Con queste parole Suor Rita Del Grosso, religiosa canossiana volontaria a Rebibbia,
ha presentato questa mattina nell’Istituto di pena romano, la raccolta delle testimonianze
dei detenuti, intitolata “Sprazzi di luce fra intricati rovi”. Un vero e proprio diario
di viaggio che i ragazzi hanno voluto regalare a chi crede ancora che il carcere non
sia un luogo che custodisce, ma che educa, un valore e non una misura estrema. Sull’importanza
dell’iniziativa editoriale, presentata nella Cappella di Santa Maria del Cammino,
ascoltiamo il direttore dell’Istituto di Pena, Stefano Ricca:
R.
- Questa pubblicazione di poesie e di scritti diversi testimonia ancora una volta
la necessità di rendere il carcere un luogo vivo, un luogo dove il pensiero sia tenuto
sempre vivo, sia presente e dove le persone possano esprimere la propria individualità,
le proprie preoccupazioni e le proprie speranze.
D. – Quanto è importante
un’esperienza del genere?
R. – E’ fondamentale proprio perché consente
a ciascuno di sentirsi individuo. Il carcere, purtroppo, tende a massificare questo
senso di appiattimento dell’individualità: invece, proprio attraverso l’espressione
del pensiero del singolo, rappresentata attraverso la formazione di scritti e di poesie,
c'è un'opportunità per cui il soggetto viene considerato come tale e quindi come individuo.
Un
ruolo determinante, in una realtà come quella carceraria, lo assume sempre di più
il volontario. Il perché nelle parole di padre Roberto Fornara,
cappellano a Rebibbia:
R. – E’ un’importanza fondamentale, perché –
come in ogni ambito della società dove si sperimenta l’emarginazione e le ferite dell’umanità,
dove si sperimenta la sofferenza – il volontariato è un seme di positività, un seme
di bene, un seme di carità che lenisce le ferite dell’umanità e che contribuisce a
ridare speranza.
D. – Se vogliamo veramente aiutare chi vive questa
triste esperienza è importante risolvere un equivoco grande: non identificare la persona
che abbiamo di fronte con l’errore che ha commesso. Ma come risolvere questo equivoco,
secondo lei?
R. – Dal punto di vista cristiano, il punto di partenza
fondamentale è quello di non porsi nell’atteggiamento di chi ha qualcosa da donare,
ma nell’atteggiamento di chi vuole scoprire e vuole incontrare il volto di Cristo
nell’altro, di ogni altro: il volto di Cristo sofferente, il volto di Cristo paziente,
il volto di Cristo ferito, emarginato. Questo incontro con Cristo è qualcosa che induce
alla reciprocità: io porto qualcosa all’altro e, piuttosto, io ricevo anche qualcosa
dall’altro. In questo dare e ricevere, e riscoprendo nell’altro il dono di Cristo,
penso ci sia la radice dell’atteggiamento del volontariato cristiano.
D.
– Quanto sono importanti iniziative come queste all’interno del carcere?
R.
– Sono importanti a livello culturale, ma anche a livello spirituale e umano. Sono
possibilità di donare semi di speranza in un orizzonte dove si fa fatica a trovare
la speranza. Ogni iniziativa, come questa, è un balsamo sulle ferite. (mg)