Oggi a Lubecca la cerimonia di Beatificazione dei tre sacerdoti martiri del nazismo
Si svolgerà questa mattina nella chiesa del Sacro Cuore della città, la cerimonia
di Beatificazione dei Martiri di Lubecca: tre sacerdoti uccisi durante il nazismo.
A concelebrare il rito, il presidente emerito del Pontificio Consiglio per l’Unità
dei Cristiani, il cardinale Walter Kasper, l’arcivescovo di Amburgo, Werner Thissen
e il vescovo di Osnabrück, Franz-Josef Bode. In rappresentanza del Santo Padre, il
prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il cardinale Angelo Amato. Il
servizio di Roberta Barbi:
Furono decapitati
uno dopo l’altro nel giro di pochi minuti in una fredda sera d’autunno, il 10 novembre
del 1943, nel carcere di Holstenglacis ad Amburgo. Le loro colpe, come da sentenza
del Tribunale del Popolo nazionalsocialista, erano “disfattismo, malizia, favoreggiamento
del nemico e ascolto di trasmissioni ostili”. Johannes Prassek, Hermann Lange ed Eduard
Müller erano solo tre sacerdoti tedeschi, cresciuti nella Parola di Dio e nell’adorazione
dell’Eucaristia, che avevano in comune la cura pastorale dei fedeli e l’educazione
dei giovani, l’assistenza agli ammalati e un amore per la vita così forte - come insegnava
il loro modello, l’allora vescovo Clemens August von Galen - che li spinse a condannare
con forza e senza appello l’ideologia nazista, che riteneva lecita la soppressione
di vite definite “improduttive”. Per questo condivisero l’arresto e poi la morte,
come racconta il cardinale Angelo Amato, al microfono di Roberto
Piermarini:
“Erano consapevoli della gravità della loro situazione
e nello stesso tempo erano convinti di dover difendere la Chiesa e la fede cattolica
dalle prevaricazioni del regime. Il giorno dell’esecuzione ricevettero il conforto
dei Sacramenti ed espressero il perdono per i loro uccisori. Solo il parroco di Behnen
poté accompagnare ciascuno dei tre sacerdoti, divenendo così testimone dell’evento.
E questo parroco racconta del nobile gesto di perdono dei tre sacerdoti verso i loro
carnefici”.
Oggi i tre sacerdoti sono noti come i Martiri di Lubecca,
città fortemente martirizzata durante la Seconda Guerra Mondiale, sulla quale venne
sperimentata l’odiosa tecnica della “tempesta di fuoco” la notte tra il 28 e il 29
marzo 1942, in cui morirono 320 persone. Ai tre sacerdoti viene spesso affiancato
il pastore protestante Karl Friedrich Stellbrink, che fu giustiziato assieme a loro:
Papa Benedetto XVI, nel suo discorso al nuovo ambasciatore tedesco del 13 settembre
2010, ha definito i quattro ecclesiastici “luminose indicazioni” per i credenti; “uomini
che insegnano a dare la propria vita per la fede, per il diritto a esercitare il proprio
credo e per la libertà di parola, per la pace e per la dignità”. Il cardinale Amato
spiega cosa può insegnare, oggi, il loro sacrificio:
“Il martirio di
questi sacerdoti è di grande significato per i laici e i sacerdoti a non appiattirsi
sull’agenda culturale laicista di oggi, ma a riproporre con coraggio e chiarezza la
verità evangelica, soprattutto in fatto di etica familiare e sociale”. Nella società di oggi, libera e democratica, verrebbe da chiedersi se ci
sono ancora cristiani che si fanno garanti della propria fede. Ma di fronte al terrore
nazista, come dimostra il numero dei Beati che risalgono a quel periodo, è stata fortissima
la testimonianza dei credenti in difesa della Chiesa cattolica, che dai nazisti fu
duramente perseguitata:
“È storicamente documentato l’odium
fidei contro i cattolici e soprattutto contro quei sacerdoti coraggiosi
che criticavano il regime. Bastava, del resto, essere sacerdote cattolico per rischiare
l’arresto, il processo-farsa e l’uccisione. I tre cappellani di Lubecca rappresentavano
una vera spina nel fianco del regime. Furono giustiziati perché nessuno di essi rinunciò
alla propria fede e alla morale cattolica”.
Soltanto di uno dei tre
sacerdoti le spoglie mortali furono restituite alla famiglia; gli altri due vennero
cremati e le loro ceneri disperse nel vento. Di loro restarono i ricordi di chi li
aveva conosciuti, come il compagno di cella di padre Müller, che scrisse: “Non dimenticherò
mai il modo in cui mi dava il buongiorno ogni mattina, né come mi salutava la sera
prima di dormire. Non dimenticherò mai i suoi occhi dolci”.