La "Sala Matisse" dei Musei Vaticani, lo stupore di un genio davanti al mondo. Intervista
con Antonio Paolucci
È stata inaugurata in questi giorni la nuova “sala Matisse” ai Musei Vaticani, interamente
dedicata all’unica produzione di arte sacra dell’artista francese, la Cappella del
Rosario di Vance, in Provenza. Un’occasione per ribadire l’importanza riservata in
ambito pontificio all’arte del Novecento. Michele Raviart ne ha parlato con
il prof. Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani.
R. – Uno
dei tesori più preziosi che esistono al mondo, la storia dell’arte del ‘900, è quell’insieme
di disegni, oggetti e progetti che Henry Matisse, negli anni che vanno dagli ultimi
‘40 ai primi ’50, ha fornito per la Cappella del Rosario di Vance. E’ un fenomeno
molto singolare, quasi provvidenziale in un certo senso, se si pensa a quest’uomo,
questo grande artista che aveva attraversato tutte le avanguardie del '900, un uomo
agnostico, a quanto si sa, in fatto di fede, che incontra una suora domenicana, madre
Agnes de Jesus. Tra quest’uomo e questa donna si stabilisce un rapporto affettuoso,
di reciproca stima fra una suora ed un artista che è ormai al crepuscolo della vita
– morirà tra pochi anni – e vuole fare quest’omaggio alla religione.
D.
– Come si inquadra quest’opera nella storia dell’arte sacra del ‘900?
R.
– Probabilmente, il fatto più significativo è l’attenzione di un grande artista moderno
per i valori della Chiesa cattolica e per la rappresentazione visuale del "dramma
della Messa". Queste meravigliose carte dipinte furono poi donate dall’erede di Matisse,
suo figlio Pierre, nel 1980 ai Musei Vaticani. Perché questa donazione? Perché qualche
anno prima, nel 1973, quel grande intellettuale del Novecento che risponde al nome
di Paolo VI aveva voluto riaprire il dialogo con l’arte moderna e contemporanea e
nel 1973 aveva aperto il Dipartimento di Arte Religiosa Moderna e Contemporanea, tuttora
esistente.
D. – Di questo materiale, cosa verrà esposto ai Musei?
R.
– Abbiamo inaugurato – dopo un lavoro durato anni – l’esposizione di questi fragilissimi
materiali, perché sono dipinti fatti di cartone. Chiunque va, vede esposti i disegni
preparatori colorati per le vetrate, vede esposte le casule – che sembrano prati fioriti
in primavera -, che sono bellissime, perché il genio di Henry Matisse è proprio questo:
la sua gioia di vivere, la sua capacità di stupire come fa un bambino dinanzi all’iridescente
bellezza del mondo. Si vede quel Cristo filiforme, destinato all’altare della Cappella,
si vede questo pauperismo felice. Del resto, lui stesso ebbe a dire – lo ha proprio
scritto – che considerava quest’arredo della Cappella di Vance ‘il suo capolavoro’.
(vv)