Il Convegno della Cei per i separati e i divorziati risposati, percorso di crescita
tra carità e verità
E’ dedicata alle persone separate e ai divorziati risposati, presenti nella comunità
cristiana, la Settimana di formazione promossa dalla Conferenza episcopale italiana,
in corso fino a domenica a Salsomaggiore. Rivolto in particolare agli animatori della
pastorale familiare delle diocesi e alle associazioni familiari, il Convegno prevede
un intenso lavoro di approfondimento con relazioni di esperti, laboratori e testimonianze.
L'iniziativa, la prima di questo tipo, segna una nuova presa di coscienza riguardo
a una realtà dolorosa purtroppo in crescita? Adriana Masotti lo ha chiesto
a don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio nazionale di Pastorale familiare
della Cei:
R. – Diciamo
che si tratta di un cammino, iniziato da molti anni e che giunge ad una maturazione.
Ci sono stati infatti già due precedenti convegni – uno nel ’99 a Roma sui matrimoni
in difficoltà; e un altro a Paestum nel 2006 sul disagio e crisi di coppia – che hanno
in qualche modo anticipato questo convegno. Perché questo è il primo convegno che
mette al centro, con questa attenzione della Chiesa come madre e maestra, la situazione
delle famiglie che vivono la separazione o che vivono il divorzio e le nuove unioni.
Certamente è una realtà, nel nostro Paese, che è notevolmente cresciuta in questi
ultimi anni come presenza rilevante e, allo stesso tempo, anche come esperienze pastorali
di accompagnamento, che via via stanno nascendo in varie diocesi proprio per annunciare
la verità e la carità del Vangelo di Cristo.
D. – "Coniugare carità
e verità": con questa affermazione ci si riferisce chiaramente al divieto di ricevere
il Sacramento dell’Eucaristia per i risposati. Ma cosa vuol dire in senso più ampio?
R.
– Si avverte, talvolta, una certa confusione di comportamenti diversi, che vanno in
certi casi da parrocchia a parrocchia. Questo crea, certamente, ancora più sofferenza
in chi è già profondamente ferito. La verità del Vangelo è la verità anche dell’indissolubilità
del matrimonio, sulla quale - se c’è chiarezza - è facile comprendere che corrisponda
anche l’indicazione della Chiesa, per coloro che hanno acquisito una nuova unione,
di astenersi dalla Comunione eucaristica. Questo, però, non toglie di essere accolti
nella Chiesa con tutte le altre presenze di Cristo, che sono nella Parola, nella preghiera,
nella comunità cristiana e nel sentirsi figli amati di Dio Padre e della Chiesa Madre.
L’altro aspetto è quello della carità e talvolta sembra che ci sia una certa rigidità:
ci sono addirittura persone che sono state abbandonate dal proprio coniuge, che vivono
nell’orizzonte della fedeltà al Sacramento del matrimonio e alle quali magari sono
state date indicazioni - in certi casi erronee - di non accostarsi ai Sacramenti.
L’idea è di aiutare, in qualche modo, una maggiore chiarezza e, dall’altra, mostrare
la Chiesa madre e maestra: una Chiesa che allarga le braccia, ma che indica la verità
del Vangelo di Cristo.
D. – Si ha un po’ l’impressione che sia necessario
un cambiamento di mentalità, anche in mezzo alla comunità dei credenti…
R.
– Tra l’altro, queste situazioni dolorose portano anche una nuova ricchezza nella
comunità cristiana, perché una persona che è passata per la separazione di solito
diventa maggiormente consapevole anche del significato del Sacramento del matrimonio
e, allo stesso tempo, anche di ciò che significa la parola perdono, trovandosi spesso
a viverlo nei confronti del proprio coniuge. Tutto questo può essere una grande risorsa
anche per la comunità cristiana. Pensiamo quindi ai separati e alle famiglie dei separati
come soggetto, e non soltanto come oggetto di attenzione. Questa è anche la mentalità
nuova che si può acquisire, pur nel rispetto delle indicazioni del magistero.
D.
– Una delle richieste che è emersa, in questi giorni al Convegno, è quella di aiutare
a prevenire le crisi coniugali: quali iniziative può mettere in campo la Chiesa in
questo senso?
R. – Qui abbiamo tutta una rete di laboratori di riflessione
pastorale. Uno di questi laboratori – sono 12 – si intitola proprio
“Da famiglie spezzate a nuovi percorsi di accompagnamento alle nozze”: l’idea è che
la presenza dei fallimenti matrimoniali richiama a un accompagnamento dei fidanzati
che parta più da lontano, in una stretta collaborazione con la pastorale giovanile,
con l’Ufficio catechistico. Come dice la Familiaris Consortio: non solo una
preparazione immediata, ma anche prossima e soprattutto anche remota, che parta quindi
fin dai primi anni dello sviluppo della persona, nell’ottica dell’amore sponsale.
E’ l’idea di farsi compagni di viaggio, così abbiamo posto quattro tappe: accogliere,
discernere – perché non tutte le situazioni sono le stesse – accompagnare
mettendosi accanto ed educare. Che poi è un po’ il grande tema di questo decennio:
illuminare orizzonti e luci di speranza per la famiglia ferita. (mg)