Poveri e solidarietà: a Napoli concluso il convegno promosso dall'arcidiocesi e dalla
Comunità di Sant'Egidio
Si è chiusa ieri sera a Napoli la due giorni di lavori sul tema “Il dono e la speranza,
gli amici dei poveri a convegno”: il primo appuntamento mondiale per mettere al centro
i bisognosi ma anche i tanti uomini e donne di buona volontà che si spendono per loro.
La manifestazione organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Diocesi di Napoli
ha visto la partecipazione di oltre 1500 volontari in rappresentanza di 157 organizzazioni
che hanno voluto celebrare la carità, come ricchezza autentica, vera e propria riserva
di umanità. Per un bilancio, Cecilia Seppia ha sentito Mario Marazziti,portavoce della Comunità di Sant’Egidio:
R. - Direi
che il punto anzitutto è sulla carità. Io credo che sia un’autoconvocazione dal basso
- 150 movimenti, associazioni e comunità, veramente amici dei poveri - per dire: “Oggi
non contano solo i soldi. Oggi i poveri possono aiutarci a ritrovare un umanesimo,
un umanesimo cristiano di cui ha bisogno il nostro Paese”.
D. - La carità
come ricchezza e come risorsa per ciascuno e quindi per il singolo, per la Chiesa,
per il Paese…
R. - I poveri tornano al centro della Chiesa, il Vangelo
dei poveri torna al centro dell’agenda e della vita personale: l’incontro col povero
cambia la vita, la forza debole della preghiera e i poveri che in realtà interrogano
i nostri stili di via… Questa parte non la può fare lo Stato: a noi non interessa
né l’assistenza né il sostituirci ai servizi pubblici. C’è il problema di riumanizzare,
di ritrovare la “pietas”, di ritrovare l’arte del vivere insieme. Tutto quello che
sembra che il nostro Paese abbia un po’ smarrito.
D. - Benedetto XVI
ha detto che “i poveri sono il tesoro della Chiesa”: lo scopo di questo convegno è
anche ribadirlo alla società civile? Fare in modo che sia un pensiero condiviso?
R.
- Io credo assolutamente di sì. Io penso sia stata una grande festa dello Spirito
Santo. Immagini tutte le storie di condivisione, le innovazioni, le invenzioni per
stare accanto ai poveri: il bambino disabile che non ha più i capelli dietro la testa
perché nessuno lo ha mai preso in braccio e poi, pian piano, ricrescono perché si
comincia a prenderlo in braccio, magari perché adottato. In realtà, i poveri hanno
una forza: hanno la forza di interrogarci e di farci essere come dobbiamo e come possiamo
essere. Tutto questo oggi è il bene che manca all’Italia: è un’Italia che ha smarrito
se stessa. Gli immigrati che sembrano essere sempre un pericolo; i rom che sembrano
essere sempre un pericolo; gli anziani che sembrano essere sempre più un peso: è una
società che ha smarrito perfino le parole per dire come è la realtà; una società che
chiama clandestini quelli di cui abbiamo bisogno. Noi abbiamo ritrovato un linguaggio
e il linguaggio è - banalmente - che sono nostri fratelli… Questo non è buonismo,
ma è essere semplicemente noi stessi e che tutto questo fa di noi persone - uomini
e donne - che possono aiutare l’Italia a ritrovare un pensiero e una umanità.
D.
- Molte testimonianze a confronto, tanti gruppi, tante associazioni uniti dalla scoperta
di un bagaglio comune: quello di voler fare qualcosa insieme per un unico obiettivo...
R.
- Io direi ancora di più, più di un bagaglio comune. Lei immagini la comunione e dove
si riscopre l’ecumenismo? Dove si riscopre la centralità del Vangelo dei poveri, dove
don Benzi diventa patrimonio di tutti, dove il servizio della Comunità di Sant’Egidio
diventa un servizio a tutti. Io credo che questo sia un tesoro straordinario e che
questa sia la normale festa dell’essere cristiani. Non c’è una ricetta, non c’è un
documento finale, ma c’è molto di più: c’è una comunione che è stata una festa dello
Spirito, è la Pentecoste con i poveri.(mg)