Asia Bibi, la fede nell'inferno del carcere. Un libro racconta la sua storia
“Ho bisogno di voi”: è l’appello di Asia Bibi, pakistana di 45 anni, madre di cinque
figli, cristiana, condannata a morte per impiccagione con l’accusa di blasfemia. La
donna attende ora il processo di appello presso l’Alta Corte di Lahore. Da due anni
in prigione, è lei stessa a raccontare la sua storia nel libro, uscito in questi giorni
ed edito da Mondadori, “Blasfema. Condannata a morte per un sorso d’acqua”. Scritto
con la giornalista francese Anne-Isabelle Tollet, il testo ripercorre la sua drammatica
vicenda, fatta di momenti di disperazione ma anche di fede e di attimi di gioia, come
quando ebbe la notizia dell’appello del Papa per la sua liberazione. Il servizio è
di Debora Donnini:
“Vi scrivo
dal fondo del mio carcere, a Sheikhupura, in Pakistan, dove sto vivendo i miei ultimi
giorni. Forse le mie ultime ore. Così ha deciso il tribunale che mi ha condannata
a morte. Ho paura”. Questo grido di dolore è l’incipit del libro “Blasfema”, dove
Asia Bibi ricostruisce la sua vicenda. Quella di una donna cristiana, analfabeta,
una contadina di un piccolo villaggio del Punjab. Una donna che non ha mai ucciso
o rubato eppure è stata condannata a morte. L’accusa: blasfemia, nella quale rientra
l’offesa in qualche modo al Corano o a Maometto. Sono innocente, rispetto il profeta
- dice Asia - ma in Pakistan con l’accusa di blasfemia “si può togliere di mezzo chiunque,
quali che siano il suo credo religioso o le sue idee”. “Secondo i giornalisti, dieci
milioni di pakistani sarebbero pronti a uccidermi con le loro mani”, racconta e un
mullah ha promesso a chi la ucciderà 500 mila rupie: una fortuna in Pakistan. Le vittime
dell’accusa sono i musulmani stessi, non sono solo i cristiani, gli indù e i seguaci
di una setta non riconosciuta dal governo come musulmana, gli ahmadi.
“Le
lacrime sono le mie compagne di cella”, racconta Asia che da due anni si trova in
carcere, lontano dal suo amatissimo marito e dai suoi cinque figli. Tutto inizia un
giorno d’estate, con 45 gradi: da una domenica di lavoro nei campi per 250 rupie e
dal desiderio di bere un po’ d’acqua da un pozzo. Alcune donne dicono che così ha
contaminato l’acqua, in quanto cristiana. Quindi nasce una discussione nella quale
Asia Bibi viene accusata di blasfemia. La situazione precipita. Asia viene incarcerata.
Arrivano gli oltraggi e le umiliazioni nella cella sporca e buia e la consapevolezza
che né lei né la sua famiglia avrà più pace. Un calvario spezzato da attimi di gioia,
come quando le raccontano dell’appello che Benedetto XVI ha fatto per lei all’udienza
generale del 17 novembre 2010: “Chiedo - disse il Papa - che, al più presto, le sia
restituita la piena libertà”. O come quando vanno a farle visita in carcere il governatore
del Punjab, la regione dove abita, Salman Taseer, e Shahbaz Bhatti, cattolico, ministro
per le Minoranze religiose, che vive il suo impegno come una testimonianza della fede
in Cristo. Entrambi si sono battuti per la sua liberazione e si sono opposti alla
legge sulla blasfemia. Per questo hanno pagato con la vita: uccisi nei primi mesi
del 2011. “Un musulmano e un cristiano, che versano il loro sangue per la stessa causa:
forse in questo c’è un messaggio di speranza”, dice Asia. La sensazione dopo questi
eventi è di essere perduta, ma il suo avvocato le ricorda che c’è ancora Paul
Bhatti, il fratello di Shahbaz, che ha deciso di continuare la sua battaglia
ed è diventato consigliere speciale del primo ministro del Pakistan per gli Affari
delle minoranze religiose. A lui abbiamo chiesto cosa si sta facendo per Asia Bibi
in questo momento:
“Ci stiamo muovendo indirettamente o attraverso
il governo. Abbiamo seguito la sua famiglia, che è chiaramente un po’ nascosta. Quello
che ora stiamo facendo, lo stiamo facendo con le forze diplomatiche, in modo tale
che questo, diciamo, non ci esponga ad ulteriori rischi e, quindi, per cercare di
liberarla in maniera più mite: senza creare problemi. Noi, insieme a tanti altri politici
e insieme anche alle persone che la pensano alla stessa maniera, stiamo facendo la
nostra parte per Asia Bibi”.
“Supplico la Vergine Maria di aiutarmi
a sopportare un altro minuto senza i miei figli”. Il suo è, infatti, soprattutto un
libro di un combattimento nella fede, racconta di una donna che continua ad avere
fiducia nell’amore di Dio, sapendo di essere un innocente. A volte subentra la disperazione
ma poi la certezza: “Se oggi, nonostante tutto, sono ancora viva, certamente non è
per caso, ma perché Dio mi ha affidato una missione”. Ma Asia Bibi, con i suoi grandi
occhi neri, chiede qualcosa, a tutti i lettori: “Fate sapere quello che mi è capitato…
Ho bisogno di voi! Salvatemi!”.