2011-06-17 15:37:22

Il regime di Gheddafi accusato di stupri come strumento di guerra


La guerra in Libia continua ad avere ricadute sull’aumento della popolazione in fuga dalle violenze. Oggi il ministro degli Interni italiano, Roberto Maroni, ha illustrato l'ipotesi di un blocco navale, per fermare il flusso di immigrati dalla Libia, ma anche per impedire l’ingresso e l’uscita di merci dal Paese. Intanto, continua la cruenta guerra di posizione tra i militari di Tripoli e gli insorti, mentre un’altra gravissima accusa pesa su Muammar Gheddafi. Secondo gli Stati Uniti, così come già avanzato dalla Corte Penale Internazionale, il rais avrebbe ordinato lo stupro come strumento di guerra. Si aggrava, dunque, la posizione del colonnello, ma senza che concretamente la giustizia internazionale agisca nei suoi confronti. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Luciano Ardesi, esperto di Nord Africa:RealAudioMP3

R. – L’intervento militare non ha dato gli effetti sperati, quanto meno nei tempi, e naturalmente questo pone interrogativi sul futuro di questo Paese e sulla soluzione possibile. Dall’altro, naturalmente, tutto questo tempo passato e l’intervento del Tribunale penale internazionale ha posto sotto la lente d’ingrandimento le azioni di Gheddafi con i crimini che aveva compiuto prima e durante la guerra e quindi è chiaro che l’immagine di questa persona si è notevolmente modificata.

D. – Un temporeggiare dovuto alla mancanza di fiducia da parte della comunità internazionale nei confronti degli insorti?

R. – Io credo che si sarebbe forse dovuto pensare ad una soluzione politica già quando è stata progettata e programmata l’azione armata, perché è chiaro che dopo una guerra bisogna comunque trovare una soluzione politica. Si è incominciata la guerra sperando che questa soluzione si sarebbe poi evidenziata da sé, cosa che si è dimostrata impossibile.

D. – Oltre che un costo politico, per così dire, c’è anche un costo sociale di questa guerra. Erano prevedibili le conseguenze umanitarie del conflitto?

R. – Penso di sì, perché si sarebbe dovuto tener conto della presenza di una numerosa comunità straniera che lavorava in Libia e quindi non ci si è posto il problema del destino di questa comunità. Inoltre, è chiaro che con la rete di complicità che il potere aveva sul territorio, sarebbe stato per lungo tempo nelle condizioni di esercitare un controllo e una pressione sulla popolazione libica. Questo intreccio ha fatto sì che i bombardamenti siano paradossalmente venuti ad ostacolare anche quella dinamica sociale che spontaneamente si mette in moto in una situazione di crisi. Invece, la società si è in un certo modo “fermata” e cristallizzata e, a parte la dinamica della resistenza armata da una parte e della repressione dall’altra, non si è riusciti a trovare una via d’uscita che partisse proprio dalla società, come è accaduto negli altri Paesi del Nord Africa. (gf)

Proteste in quasi tutta la Siria: in alcune zone, spari sui manifestanti
Proteste anti-regime sono in corso in quasi tutte le località della Siria, e in alcune zone le forze di sicurezza avrebbero aperto il fuoco contro i manifestanti e ci sarebbero feriti. Lo riferiscono attivisti su Twitter e la tv panaraba Al Jazeera. In particolare l'emittente del Qatar mostra inediti immagini “in diretta” da Daraa (sud) e da Hama (centro), teatro secondo le fonti di rispettivi cortei con “migliaia di persone”. Al Jazeera precisa che le immagini “in diretta” provengono da una webcam collegata a Internet. Secondo i testimoni oculari citati dagli attivisti e da Rassd, a Homs, terza città del Paese, circa 2.000 persone stanno marciando verso il centro cittadino per riunirsi nella piazza Firdaws (Paradiso). Ad Aleppo, “settecento” studenti dell'università hanno inscenato proteste all'interno della residenza universitaria che è “totalmente circondata dalle forze di sicurezza”. In piazza anche a Daraya, sobborgo di Damasco e nel quartiere centrale di Midan, dove sempre secondo le stesse fonti gli agenti hanno aperto il fuoco sui fedeli-dimostranti. Così come a Banias, nel nord-ovest, teatro da aprile di violente repressioni.

Continuano ad aumentare a ritmo elevato i profughi siriani in Tunisia
Il numero dei profughi siriani ospitati nelle tendopoli in Turchia è salito stamattina a 9.693, con un incremento di circa 700 unità rispetto a ieri. Lo ha riferito all'Ansa una fonte del governatorato provinciale, segnalando che Angelina Jolie, l'attrice americana ambasciatrice Onu per i rifugiati, si recherà ad Hatay, capoluogo dell'omonima provincia dove sono allestite le tendopoli. La star di Hollywood, precisano le fonti, visiterà nel pomeriggio il campo di Altinozu e forse quello di Boynuyogun, ma viene esclusa una visita anche a quello più meridionale e distante di Yayladagi.

Donne al volante in Arabia Saudita: cominciata l’annunciata protesta
Diverse donne oggi in Arabia Saudita si sono messe al volante, sfidando il divieto di guida imposto nel Regno alla popolazione femminile e aderendo alla prima giornata di disobbedienza civile lanciata attraverso i social network da “Women2drive”. Ancora a notte fonda, la prima donna a salire in macchina e a guidare è stata una cittadina di Riad, capitale del Regno. Ha messo su YouTube il filmato che la ritrae mentre, in una città semivuota, si dirige al supermercato. Indossava un niqab, un velo nero che lascia scoperti solo i suoi occhi. Il nome indicato è 2Nassaf. Nel frattempo, su Twitter e Facebook, molte altre cittadine saudite stanno raccontando la loro protesta. Chi accompagna i figli a scuola, chi si dirige in ospedale. Così come era stato indicato dal vademecum diffuso nei giorni scorsi, ognuna svolge la propria vita quotidiana, usando l'auto. Non ci sono assembramenti e, al momento, nessuna ha riferito di problemi con la polizia. La protesta è solo agli inizi.

La Tunisia prepara le elezioni
Il 23 e 24 ottobre prossimi la Tunisia è chiamata alle urne per le prime libere elezioni del Paese. Gli elettori voteranno per eleggere l’Assemblea Costituente che avrà il compito primario di redigere la nuova costituzione democratica. Lo ha annunciato oggi a Venezia il ministro per le Riforme Rafàa Ben Achour intervenendo alla sessione plenaria della Commissione per la Democrazia attraverso il Diritto del consiglio d’Europa (comunemente più conosciuta come Commissione di Venezia), che da quando il Paese ha manifestato la volontà di modernizzarsi sta assistendo la Tunisia nel processo di democratizzazione. Il ministro ha anche spiegato che il nuovo parlamento tunisino sarà composto in uguale misura da uomini e donne. “La Tunisia guarda all’Europa come un esempio di modernità, di libertà e di progresso”, ha dichiarato il presidente della Commissione di Venezia, Gianni Buquicchio. “Ecco perché l’Europa deve essere vicina alla Tunisia e a tutti i Paesi arabi che manifestano l’ambizione di evolversi e dimostrarsi disponibile ad assisterli e condividere i valori giuridici e sociali. Guai se la Tunisia e gli altri Paesi in fermento dovessero sospettare che l’Europa non rappresenta la modernità con tutti gli ideali che li ha spinti a ribellarsi alla dittatura e all’ingiustizia”.

Continua la battaglia ad Al Qaeda: la risposta Usa al successore di Bin Laden
La successione di Ayman Al Zawahiri alla guida di Al Qaeda non cambia la strategia degli Stati Uniti nella lotta al terrorismo. Questa la risposta di Washington alla nomina del medico egiziano per il dopo Bin Laden, resa nota ieri da un comunicato del comando generale di Al Qaeda, ripreso dalla tv satellitare Al Arabiya. Al Zawahiri e Al Qaeda continuano ad essere una minaccia per gli Stati Uniti “ma, come abbiamo cercato e ucciso Bin Laden, allo stesso modo faremo con Zawahiri”, ha detto il capo degli Stati maggiori congiunti delle Forze Armate Usa, l'ammiraglio Mike Mullen. Gli ha fatto eco il segretario alla Difesa americano, Robert Gates, spiegando come alcuni analisti ritengano che Al Zawahiri non possieda la stessa caratura del suo predecessore e che siano in molti all'interno di Al Qaeda a non considerarlo un riferimento. Giada Aquilino ha raccolto il commento di Paolo Mastrolilli, esperto di questioni statunitensi e capo redattore del quotidiano "La Stampa":RealAudioMP3

R. – C’erano dei dubbi su chi sarebbe stato il successore di Osama Bin Laden. Era molto probabile che si trattasse di Al Zawahiri, ma c’era stata una questione interna ad Al Qaeda per decidere il successore. Non c’erano dubbi, invece, sulla risposta americana. Per gli Stati Uniti non fa differenza che il capo di Al Qaeda sia Al Zawahiri o Osama: loro sono tutti considerati responsabili di quello che è accaduto l’11 settembre e, soprattutto, sono gli obiettivi di una campagna americana contro il terrorismo per evitare che atti del genere si ripetano. Quindi, chiunque avesse preso il posto di Osama Bin Laden avrebbe ricevuto la stessa risposta da parte degli Stati Uniti.

D. – Robert Gates ha detto che Bin Laden era il capo di Al Qaeda fin dalla sua fondazione e aveva un carisma particolare che Al Zawahiri non possiede. Perché?

R. – Tutti gli analisti dicono che ormai Al Qaeda è diventata un’organizzazione in franchising, le cui cellule in giro per il mondo operano anche autonomamente. Da questo punto di vista, è anche indifferente il fatto che il capo sia Al Zawahiri o un’altra persona: il pericolo rimane. È la minaccia che Al Qaeda pone alla sicurezza degli Stati Uniti e di tutti i Paesi occidentali. Per questo la lotta degli Stati Uniti contro il terrorismo continua invariata, indipendentemente da chi sia il capo dell’organizzazione.

D. – Quale strategia verrà privilegiata dagli Stati Uniti a questo punto?

R. – Gli Stati Uniti hanno cambiato strategia con l’avvento dell’amministrazione Obama. Si sono concentrati molto sull’intelligence per cercare di prevenire nuove azioni terroristiche e andare chirurgicamente a cercare i responsabili di quelle che sono già avvenute. Ciò ha portato all’uccisione di Osama Bin Laden. E questa probabilmente è la strategia che continueranno ad adottare, sia per prevenire nuovi attacchi terroristici sia per andare a trovare Zawahiri che, come nuovo capo di Al Qaeda, adesso dovrà prendere iniziative e fare delle mosse che forse potrebbero esporlo alla cattura o all’uccisione, com’è capitato a Osama Bin Laden. (gf)

Rimpasto di governo in Grecia
In Grecia è stato presentato l’annunciato rimpasto di governo: nomi nuovi per le finanze, ma anche per gli Esteri e gli Interni dopo mesi di proteste e scioperi contro il piano di austerity proposto nella fase di grave crisi economica. Il servizio di Fausta Speranza:RealAudioMP3

Dopo settimane di trend più che preoccupante, stamane, si è subito attenuata la pressione sui titoli di Stato della Grecia con i rendimenti che segnano un calo dopo aver toccato livelli record. Ma resta tutto l’allarme. Alla nuova squadra di governo spetterà di sanare quell’instabilità politica che impediva all’Unione Europea di avere fiducia nei confronti di Atene per poter assicurare il sostegno di Bruxelles. Ieri, la Commissione europea ma anche il Fondo monetario internazionale hanno chiarito che per la Grecia non esiste un 'piano B'. L'unica strada percorribile è quella di concedere subito i 12 miliardi della quinta tranche del prestito Ue-Bce-Fmi e trovare poi un'intesa, al più tardi entro settembre, sul secondo piano di salvataggio. Sempre che ad Atene, appunto, il nuovo governo e il Parlamento trovino prestissimo un'intesa per realizzare il programma di risanamento e di riforme concordato proprio con le istituzioni internazionali. Da parte sua, il presidente dell’eurogruppo Juncker fa sapere che anche per la cosiddetta seconda tranche di aiuti non si dovrebbe aspettare fino a settembre. In realtà tra i 27 e la Bce resta da chiarire come assicurare risorse per salvare la Grecia, in particolare sulle modalità di partecipazione dei privati. A questo proposito, nell’atteso incontro con il presidente francese Sarkozy, la cancelliera tedesca Merkel ha sottolineato che la partecipazione dei creditori privati al salvataggio della Grecia può avvenire solo su base volontaria. In conferenza stampa congiunta i leader di Germania e di Francia hanno ribadito la necessità di evitare un default della Grecia sostenendo anche per la Grecia l'iniziativa di Vienna, che prevede che le banche rinnovino su base volontaria i prestiti evitando così l'insolvenza. È stata la strategia adottata nel 2009 per i Paesi dell'Europa dell'Est.

Israele ribadisce il no allo Stato palestinese prima degli accordi
Un nuovo monito israeliano ai dirigenti dell'Anp, affinchè si astengano dal richiedere all'Onu, a settembre, il riconoscimento di uno Stato indipendente è stato lanciato dal ministro israeliano degli Esteri Avigdor Lieberman, durante un colloquio con Catherine Ashton, Alto rappresentante per la politica estera della Unione europea. Lieberman ha avvertito - secondo radio Gerusalemme - che se i palestinesi cercheranno di ottenere una proclamazione unilaterale dello Stato (ossia al di fuori di trattative di pace), Israele non si sentirà più vincolato dagli accordi raggiunti con loro negli ultimi 18 anni, a partire dalle intese di Oslo del 1993. Polemizzando con il presidente dell'Anp Abu Mazen (Mahmud Abbas) Lieberman ha affermato che questi non è interessato ad alcun accordo con Israele, bensì cerca un confronto. Israele desidera riprendere i negoziati con l'Anp - ha assicurato – ma ormai “la palla è nel loro campo”. La Ashton è impegnata in una spola che la vedrà domenica a Ramallah (Cisgiordania), ospite dell'Anp. Nei giorni scorsi ha fatto appello ad Israele e all'Anp affinchè riprendano al più presto negoziati di pace sulla base delle proposte espresse il mese scorso dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama.

Più Caschi blu Onu in Sudan
L'Onu invierà altri Caschi blu di rinforzo a quelli già presenti nel Sud Kordofan (Stato del Sudan centrale) teatro di violenti combattimenti, e intende trasformare la loro principale base in un centro di accoglienza per gli sfollati. Lo hanno annunciato ieri fonti delle Nazioni Unite. Oltre 120 soldati del Bangladesh saranno inviati a Kadugli, principale città del Sud Kordofan, dove aspri combattimenti sono ricominciati il 5 giugno scorso fra l'esercito di Khartoum, appoggiato da milizie arabe locali, e combattenti legati all'Esercito popolare di liberazione del Sudan (Spla), gli ex ribelli del Sud diventati ora l'esercito del futuro Stato la cui indipendenza sarà proclamata il 9 luglio prossimo. Il capo delle operazioni dell'Onu di mantenimento della pace, Alain Le Roy, ha affermato al Consiglio di sicurezza che circa 6 mila persone sono già rifugiate intorno alla base dell'Unmis. Secondo l'Onu sono già circa 60 mila le persone fuggite dalle violenze.

Maltempo nel sud della Cina: 550 mila evacuati nella provincia del Zhejiang
Oltre 550 mila persone sono state evacuate dalle regioni della Cina colpite da violente inondazioni, e l'esercito è stato messo in stato d'allerta e si tiene pronto a intervenire in aiuto delle vittime. Lo affermano oggi i mezzi d'informazione cinesi, secondo i quali ieri venti persone sono morte e una decina sono disperse nella provincia meridionale del Zhejiang, una di quelle più pesantemente colpite dal maltempo. Per i prossimi giorni si prevedono ancora piogge torrenziali e venti forti. Secondo il governo provinciale le inondazioni sono le peggiori a verificarsi nella zona dal 1955.

Ancora arresti nella zona di Guangzhou nel sud della Cina
In Cina, altre 19 persone sono state arrestate in seguito ai violenti scontri che si sono verificati nello scorso fine settimana a Xintang, un sobborgo della metropoli meridionale di Guangzhou. Lo scrive oggi il locale Guangzhou Daily. Gli arresti si aggiungono a quelli di circa 30 persone effettuati nei giorni scorsi dopo che migliaia di persone, in gran parte immigrati dalle province più povere che lavorano per le imprese esportatrici, hanno attaccato uffici governativi e pattuglie della polizia. A scatenare le violenze - che si sono protratte per tre giorni e sono state fermate da un massiccio intervento della polizia anti-sommossa - è stato il maltrattamento da parte di agenti di polizia di una venditrice ambulante, che è in attesa di un bambino. Secondo il giornale, gli arrestati sono accusati di aver impedito a impiegati pubblici di svolgere il loro lavoro, di aver dato vita a violente dispute e di aver intenzionalmente danneggiato la proprietà pubblica.

Risoluzione Onu contro le discriminazioni in base all'orientamento sessuale
Con 23 voti a favore, 19 contrari e tre astensioni, il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite ha approvato nella tarda mattinata di oggi, a Ginevra, una risoluzione che promuove l'uguaglianza degli individui indipendentemente dal loro orientamento sessuale. La discussione sul testo, presentato dal Sudafrica ha causato – riferisce l’agenzia France Presse – “un acceso dibattito all'interno del gruppo africano presieduto da Nigeria, contrario alla risoluzione”. “La risoluzione - ha detto il rappresentante del Sudafrica presentando il testo - non cerca di imporre certi valori ai Paesi, ma cerca di favorire il dialogo”. Contattato telefonicamente poco dopo il voto, l’osservatore permanente della Santa Sede all’Onu di Ginevra, l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, ha detto che la “maggior parte” degli Stati firmatari, anche quelli contrari alle unioni omosessuali, non attribuisce altre interpretazioni alla risoluzione. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 168







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