Il regime di Gheddafi accusato di stupri come strumento di guerra
La guerra in Libia continua ad avere ricadute sull’aumento della popolazione in fuga
dalle violenze. Oggi il ministro degli Interni italiano, Roberto Maroni, ha illustrato
l'ipotesi di un blocco navale, per fermare il flusso di immigrati dalla Libia, ma
anche per impedire l’ingresso e l’uscita di merci dal Paese. Intanto, continua la
cruenta guerra di posizione tra i militari di Tripoli e gli insorti, mentre un’altra
gravissima accusa pesa su Muammar Gheddafi. Secondo gli Stati Uniti, così come già
avanzato dalla Corte Penale Internazionale, il rais avrebbe ordinato lo stupro come
strumento di guerra. Si aggrava, dunque, la posizione del colonnello, ma senza che
concretamente la giustizia internazionale agisca nei suoi confronti. Giancarlo
La Vella ne ha parlato con Luciano Ardesi, esperto di Nord Africa:
R. – L’intervento
militare non ha dato gli effetti sperati, quanto meno nei tempi, e naturalmente questo
pone interrogativi sul futuro di questo Paese e sulla soluzione possibile. Dall’altro,
naturalmente, tutto questo tempo passato e l’intervento del Tribunale penale internazionale
ha posto sotto la lente d’ingrandimento le azioni di Gheddafi con i crimini che aveva
compiuto prima e durante la guerra e quindi è chiaro che l’immagine di questa persona
si è notevolmente modificata.
D. – Un temporeggiare dovuto alla mancanza
di fiducia da parte della comunità internazionale nei confronti degli insorti?
R.
– Io credo che si sarebbe forse dovuto pensare ad una soluzione politica già quando
è stata progettata e programmata l’azione armata, perché è chiaro che dopo una guerra
bisogna comunque trovare una soluzione politica. Si è incominciata la guerra sperando
che questa soluzione si sarebbe poi evidenziata da sé, cosa che si è dimostrata impossibile.
D.
– Oltre che un costo politico, per così dire, c’è anche un costo sociale di questa
guerra. Erano prevedibili le conseguenze umanitarie del conflitto?
R.
– Penso di sì, perché si sarebbe dovuto tener conto della presenza di una numerosa
comunità straniera che lavorava in Libia e quindi non ci si è posto il problema del
destino di questa comunità. Inoltre, è chiaro che con la rete di complicità che il
potere aveva sul territorio, sarebbe stato per lungo tempo nelle condizioni di esercitare
un controllo e una pressione sulla popolazione libica. Questo intreccio ha fatto sì
che i bombardamenti siano paradossalmente venuti ad ostacolare anche quella dinamica
sociale che spontaneamente si mette in moto in una situazione di crisi. Invece, la
società si è in un certo modo “fermata” e cristallizzata e, a parte la dinamica della
resistenza armata da una parte e della repressione dall’altra, non si è riusciti a
trovare una via d’uscita che partisse proprio dalla società, come è accaduto negli
altri Paesi del Nord Africa. (gf)
Proteste in quasi tutta la Siria:
in alcune zone, spari sui manifestanti Proteste anti-regime sono in corso in
quasi tutte le località della Siria, e in alcune zone le forze di sicurezza avrebbero
aperto il fuoco contro i manifestanti e ci sarebbero feriti. Lo riferiscono attivisti
su Twitter e la tv panaraba Al Jazeera. In particolare l'emittente del Qatar mostra
inediti immagini “in diretta” da Daraa (sud) e da Hama (centro), teatro secondo le
fonti di rispettivi cortei con “migliaia di persone”. Al Jazeera precisa che le immagini
“in diretta” provengono da una webcam collegata a Internet. Secondo i testimoni oculari
citati dagli attivisti e da Rassd, a Homs, terza città del Paese, circa 2.000 persone
stanno marciando verso il centro cittadino per riunirsi nella piazza Firdaws (Paradiso).
Ad Aleppo, “settecento” studenti dell'università hanno inscenato proteste all'interno
della residenza universitaria che è “totalmente circondata dalle forze di sicurezza”.
In piazza anche a Daraya, sobborgo di Damasco e nel quartiere centrale di Midan, dove
sempre secondo le stesse fonti gli agenti hanno aperto il fuoco sui fedeli-dimostranti.
Così come a Banias, nel nord-ovest, teatro da aprile di violente repressioni.
Continuano
ad aumentare a ritmo elevato i profughi siriani in Tunisia Il numero dei profughi
siriani ospitati nelle tendopoli in Turchia è salito stamattina a 9.693, con un incremento
di circa 700 unità rispetto a ieri. Lo ha riferito all'Ansa una fonte del governatorato
provinciale, segnalando che Angelina Jolie, l'attrice americana ambasciatrice Onu
per i rifugiati, si recherà ad Hatay, capoluogo dell'omonima provincia dove sono allestite
le tendopoli. La star di Hollywood, precisano le fonti, visiterà nel pomeriggio il
campo di Altinozu e forse quello di Boynuyogun, ma viene esclusa una visita anche
a quello più meridionale e distante di Yayladagi.
Donne al volante in Arabia
Saudita: cominciata l’annunciata protesta Diverse donne oggi in Arabia Saudita
si sono messe al volante, sfidando il divieto di guida imposto nel Regno alla popolazione
femminile e aderendo alla prima giornata di disobbedienza civile lanciata attraverso
i social network da “Women2drive”. Ancora a notte fonda, la prima donna a salire in
macchina e a guidare è stata una cittadina di Riad, capitale del Regno. Ha messo su
YouTube il filmato che la ritrae mentre, in una città semivuota, si dirige al supermercato.
Indossava un niqab, un velo nero che lascia scoperti solo i suoi occhi. Il nome indicato
è 2Nassaf. Nel frattempo, su Twitter e Facebook, molte altre cittadine saudite stanno
raccontando la loro protesta. Chi accompagna i figli a scuola, chi si dirige in ospedale.
Così come era stato indicato dal vademecum diffuso nei giorni scorsi, ognuna svolge
la propria vita quotidiana, usando l'auto. Non ci sono assembramenti e, al momento,
nessuna ha riferito di problemi con la polizia. La protesta è solo agli inizi.
La
Tunisia prepara le elezioni Il 23 e 24 ottobre prossimi la Tunisia è chiamata
alle urne per le prime libere elezioni del Paese. Gli elettori voteranno per eleggere
l’Assemblea Costituente che avrà il compito primario di redigere la nuova costituzione
democratica. Lo ha annunciato oggi a Venezia il ministro per le Riforme Rafàa Ben
Achour intervenendo alla sessione plenaria della Commissione per la Democrazia attraverso
il Diritto del consiglio d’Europa (comunemente più conosciuta come Commissione di
Venezia), che da quando il Paese ha manifestato la volontà di modernizzarsi sta assistendo
la Tunisia nel processo di democratizzazione. Il ministro ha anche spiegato che il
nuovo parlamento tunisino sarà composto in uguale misura da uomini e donne. “La Tunisia
guarda all’Europa come un esempio di modernità, di libertà e di progresso”, ha dichiarato
il presidente della Commissione di Venezia, Gianni Buquicchio. “Ecco perché l’Europa
deve essere vicina alla Tunisia e a tutti i Paesi arabi che manifestano l’ambizione
di evolversi e dimostrarsi disponibile ad assisterli e condividere i valori giuridici
e sociali. Guai se la Tunisia e gli altri Paesi in fermento dovessero sospettare che
l’Europa non rappresenta la modernità con tutti gli ideali che li ha spinti a ribellarsi
alla dittatura e all’ingiustizia”.
Continua la battaglia ad Al Qaeda: la
risposta Usa al successore di Bin Laden La successione di Ayman Al Zawahiri
alla guida di Al Qaeda non cambia la strategia degli Stati Uniti nella lotta al terrorismo.
Questa la risposta di Washington alla nomina del medico egiziano per il dopo Bin Laden,
resa nota ieri da un comunicato del comando generale di Al Qaeda, ripreso dalla tv
satellitare Al Arabiya. Al Zawahiri e Al Qaeda continuano ad essere una minaccia per
gli Stati Uniti “ma, come abbiamo cercato e ucciso Bin Laden, allo stesso modo faremo
con Zawahiri”, ha detto il capo degli Stati maggiori congiunti delle Forze Armate
Usa, l'ammiraglio Mike Mullen. Gli ha fatto eco il segretario alla Difesa americano,
Robert Gates, spiegando come alcuni analisti ritengano che Al Zawahiri non possieda
la stessa caratura del suo predecessore e che siano in molti all'interno di Al Qaeda
a non considerarlo un riferimento. Giada Aquilino ha raccolto il commento di
Paolo Mastrolilli, esperto di questioni statunitensi e capo redattore del quotidiano
"La Stampa":
R. – C’erano
dei dubbi su chi sarebbe stato il successore di Osama Bin Laden. Era molto probabile
che si trattasse di Al Zawahiri, ma c’era stata una questione interna ad Al Qaeda
per decidere il successore. Non c’erano dubbi, invece, sulla risposta americana. Per
gli Stati Uniti non fa differenza che il capo di Al Qaeda sia Al Zawahiri o Osama:
loro sono tutti considerati responsabili di quello che è accaduto l’11 settembre e,
soprattutto, sono gli obiettivi di una campagna americana contro il terrorismo per
evitare che atti del genere si ripetano. Quindi, chiunque avesse preso il posto di
Osama Bin Laden avrebbe ricevuto la stessa risposta da parte degli Stati Uniti.
D.
– Robert Gates ha detto che Bin Laden era il capo di Al Qaeda fin dalla sua fondazione
e aveva un carisma particolare che Al Zawahiri non possiede. Perché?
R.
– Tutti gli analisti dicono che ormai Al Qaeda è diventata un’organizzazione in franchising,
le cui cellule in giro per il mondo operano anche autonomamente. Da questo punto di
vista, è anche indifferente il fatto che il capo sia Al Zawahiri o un’altra persona:
il pericolo rimane. È la minaccia che Al Qaeda pone alla sicurezza degli Stati Uniti
e di tutti i Paesi occidentali. Per questo la lotta degli Stati Uniti contro il terrorismo
continua invariata, indipendentemente da chi sia il capo dell’organizzazione.
D.
– Quale strategia verrà privilegiata dagli Stati Uniti a questo punto?
R.
– Gli Stati Uniti hanno cambiato strategia con l’avvento dell’amministrazione Obama.
Si sono concentrati molto sull’intelligence per cercare di prevenire nuove azioni
terroristiche e andare chirurgicamente a cercare i responsabili di quelle che sono
già avvenute. Ciò ha portato all’uccisione di Osama Bin Laden. E questa probabilmente
è la strategia che continueranno ad adottare, sia per prevenire nuovi attacchi terroristici
sia per andare a trovare Zawahiri che, come nuovo capo di Al Qaeda, adesso dovrà prendere
iniziative e fare delle mosse che forse potrebbero esporlo alla cattura o all’uccisione,
com’è capitato a Osama Bin Laden. (gf)
Rimpasto di governo in Grecia In
Grecia è stato presentato l’annunciato rimpasto di governo: nomi nuovi per le finanze,
ma anche per gli Esteri e gli Interni dopo mesi di proteste e scioperi contro il piano
di austerity proposto nella fase di grave crisi economica. Il servizio di
Fausta Speranza:
Dopo
settimane di trend più che preoccupante, stamane, si è subito attenuata la pressione
sui titoli di Stato della Grecia con i rendimenti che segnano un calo dopo aver toccato
livelli record. Ma resta tutto l’allarme. Alla nuova squadra di governo spetterà di
sanare quell’instabilità politica che impediva all’Unione Europea di avere fiducia
nei confronti di Atene per poter assicurare il sostegno di Bruxelles. Ieri, la Commissione
europea ma anche il Fondo monetario internazionale hanno chiarito che per la Grecia
non esiste un 'piano B'. L'unica strada percorribile è quella di concedere subito
i 12 miliardi della quinta tranche del prestito Ue-Bce-Fmi e trovare poi un'intesa,
al più tardi entro settembre, sul secondo piano di salvataggio. Sempre che ad Atene,
appunto, il nuovo governo e il Parlamento trovino prestissimo un'intesa per realizzare
il programma di risanamento e di riforme concordato proprio con le istituzioni internazionali.
Da parte sua, il presidente dell’eurogruppo Juncker fa sapere che anche per la cosiddetta
seconda tranche di aiuti non si dovrebbe aspettare fino a settembre. In realtà tra
i 27 e la Bce resta da chiarire come assicurare risorse per salvare la Grecia, in
particolare sulle modalità di partecipazione dei privati. A questo proposito, nell’atteso
incontro con il presidente francese Sarkozy, la cancelliera tedesca Merkel ha sottolineato
che la partecipazione dei creditori privati al salvataggio della Grecia può avvenire
solo su base volontaria. In conferenza stampa congiunta i leader di Germania e di
Francia hanno ribadito la necessità di evitare un default della Grecia sostenendo
anche per la Grecia l'iniziativa di Vienna, che prevede che le banche rinnovino su
base volontaria i prestiti evitando così l'insolvenza. È stata la strategia adottata
nel 2009 per i Paesi dell'Europa dell'Est.
Israele ribadisce il no allo
Stato palestinese prima degli accordi Un nuovo monito israeliano ai dirigenti
dell'Anp, affinchè si astengano dal richiedere all'Onu, a settembre, il riconoscimento
di uno Stato indipendente è stato lanciato dal ministro israeliano degli Esteri Avigdor
Lieberman, durante un colloquio con Catherine Ashton, Alto rappresentante per la politica
estera della Unione europea. Lieberman ha avvertito - secondo radio Gerusalemme -
che se i palestinesi cercheranno di ottenere una proclamazione unilaterale dello Stato
(ossia al di fuori di trattative di pace), Israele non si sentirà più vincolato dagli
accordi raggiunti con loro negli ultimi 18 anni, a partire dalle intese di Oslo del
1993. Polemizzando con il presidente dell'Anp Abu Mazen (Mahmud Abbas) Lieberman ha
affermato che questi non è interessato ad alcun accordo con Israele, bensì cerca un
confronto. Israele desidera riprendere i negoziati con l'Anp - ha assicurato – ma
ormai “la palla è nel loro campo”. La Ashton è impegnata in una spola che la vedrà
domenica a Ramallah (Cisgiordania), ospite dell'Anp. Nei giorni scorsi ha fatto appello
ad Israele e all'Anp affinchè riprendano al più presto negoziati di pace sulla base
delle proposte espresse il mese scorso dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama.
Più
Caschi blu Onu in Sudan L'Onu invierà altri Caschi blu di rinforzo a quelli
già presenti nel Sud Kordofan (Stato del Sudan centrale) teatro di violenti combattimenti,
e intende trasformare la loro principale base in un centro di accoglienza per gli
sfollati. Lo hanno annunciato ieri fonti delle Nazioni Unite. Oltre 120 soldati del
Bangladesh saranno inviati a Kadugli, principale città del Sud Kordofan, dove aspri
combattimenti sono ricominciati il 5 giugno scorso fra l'esercito di Khartoum, appoggiato
da milizie arabe locali, e combattenti legati all'Esercito popolare di liberazione
del Sudan (Spla), gli ex ribelli del Sud diventati ora l'esercito del futuro Stato
la cui indipendenza sarà proclamata il 9 luglio prossimo. Il capo delle operazioni
dell'Onu di mantenimento della pace, Alain Le Roy, ha affermato al Consiglio di sicurezza
che circa 6 mila persone sono già rifugiate intorno alla base dell'Unmis. Secondo
l'Onu sono già circa 60 mila le persone fuggite dalle violenze.
Maltempo
nel sud della Cina: 550 mila evacuati nella provincia del Zhejiang Oltre 550
mila persone sono state evacuate dalle regioni della Cina colpite da violente inondazioni,
e l'esercito è stato messo in stato d'allerta e si tiene pronto a intervenire in aiuto
delle vittime. Lo affermano oggi i mezzi d'informazione cinesi, secondo i quali ieri
venti persone sono morte e una decina sono disperse nella provincia meridionale del
Zhejiang, una di quelle più pesantemente colpite dal maltempo. Per i prossimi giorni
si prevedono ancora piogge torrenziali e venti forti. Secondo il governo provinciale
le inondazioni sono le peggiori a verificarsi nella zona dal 1955.
Ancora
arresti nella zona di Guangzhou nel sud della Cina In Cina, altre 19 persone
sono state arrestate in seguito ai violenti scontri che si sono verificati nello scorso
fine settimana a Xintang, un sobborgo della metropoli meridionale di Guangzhou. Lo
scrive oggi il locale Guangzhou Daily. Gli arresti si aggiungono a quelli di circa
30 persone effettuati nei giorni scorsi dopo che migliaia di persone, in gran parte
immigrati dalle province più povere che lavorano per le imprese esportatrici, hanno
attaccato uffici governativi e pattuglie della polizia. A scatenare le violenze -
che si sono protratte per tre giorni e sono state fermate da un massiccio intervento
della polizia anti-sommossa - è stato il maltrattamento da parte di agenti di polizia
di una venditrice ambulante, che è in attesa di un bambino. Secondo il giornale, gli
arrestati sono accusati di aver impedito a impiegati pubblici di svolgere il loro
lavoro, di aver dato vita a violente dispute e di aver intenzionalmente danneggiato
la proprietà pubblica.
Risoluzione Onu contro le discriminazioni in base
all'orientamento sessuale Con 23 voti a favore, 19 contrari e tre astensioni,
il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite ha approvato nella tarda mattinata
di oggi, a Ginevra, una risoluzione che promuove l'uguaglianza degli individui indipendentemente
dal loro orientamento sessuale. La discussione sul testo, presentato dal Sudafrica
ha causato – riferisce l’agenzia France Presse – “un acceso dibattito all'interno
del gruppo africano presieduto da Nigeria, contrario alla risoluzione”. “La risoluzione
- ha detto il rappresentante del Sudafrica presentando il testo - non cerca di imporre
certi valori ai Paesi, ma cerca di favorire il dialogo”. Contattato telefonicamente
poco dopo il voto, l’osservatore permanente della Santa Sede all’Onu di Ginevra, l’arcivescovo
Silvano Maria Tomasi, ha detto che la “maggior parte” degli Stati firmatari, anche
quelli contrari alle unioni omosessuali, non attribuisce altre interpretazioni alla
risoluzione. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)
Bollettino
del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 168