Le testimonianze dei gitani durante l'incontro con il Papa
Musica, colori e danze su ritmi gitani si sono alternati a momenti di commozione autentica
suscitata dalle testimonianze di alcuni zingari che hanno raccontato al Santo Padre
il loro mondo, fatto di libertà, ma spesso anche di difficoltà e diffidenza da parte
degli altri, di esperienze drammatiche racchiuse nel loro passato, ma anche di speranza
nel futuro. Roberta Barbi:
(musica
gitana)
Rom, Sinti, Manouches, Kalé, Zingari, Yenish, Romanichals e
Travellers: da tutto il mondo oggi, in 2000, si sono dati appuntamento a San Pietro,
per essere ricevuti in udienza da Benedetto XVI, il terzo Papa nella storia che ha
voluto incontrarli, proprio nel giorno in cui ricordano il 75.mo anniversario del
martirio del gitano Zefirino Giménez Malla, che tutti affettuosamente chiamano “El
Pelé”, il primo Beato zingaro della storia. Una realtà insieme vicina e lontana, quella
degli zingari, circa 36 milioni in tutto il mondo, 170mila in Italia, come Carlo Mikic,
uno studente romano di 18 anni di etnia Rom Rudari nato e cresciuto in un campo a
Roma:
“Quando sei un bambino che vive in un campo, a scuola non sei
considerato come tutti gli altri. Quando cresci e cerchi un lavoro e nei documenti
vedono nell’indirizzo ‘campo nomadi’, ti dicono no grazie. Lo so che ci sono dei rom
che sbagliano, che si comportano male, ma la responsabilità è sempre personale e la
colpa non è mai di un’etnia o di un popolo. Quando penso al futuro, penso a città
e paesi dove ci sia posto anche per noi, a pieno titolo, come cittadini come tutti
gli altri, non come un popolo da isolare e di cui avere paura”.
Non
sono mancate testimonianze drammatiche, come quella di Ceija Stojka, una donna zingara
austriaca sopravvissuta ai campi di sterminio di Auschwitz e Bergen-Belsen, dove fu
deportata all’età di 9 anni e dove vide morire bambini come lei, ma anche anziani,
uomini e donne. Anni di vita tra i morti e quando la guerra finì, della sua famiglia,
che prima contava oltre 200 persone, erano rimasti solo in sei:
"Ich
wünsche mir eines..."
“Io desidero una cosa: che gli zingari siano
accolti con maggiore attenzione e con occhi vigili, che siano trattati con maggiore
rispetto … mai più Auschwitz, che non accada più questa cosa orribile, bruttissima,
quelle uccisioni… Potrebbe accadere di nuovo! Auschwitz: tutto lì è rimasto com’era;
ci sono anche gli uomini, che sono rimasti com’erano. Noi siamo i fiori di questo
mondo e siamo calpestati, maltrattati e uccisi”.
“Colui che fa del bene
è protetto da Dio”: con questo augurio tradizionale Sinti una giovane mamma ha ringraziato
il Papa per la sua accoglienza e ha espresso un desiderio per il futuro dei suoi figli,
che possano vivere una vita buona, essere semplici e miti proprio sull’esempio del
Beato Zefirino. È un messaggio di speranza, quello di Pamela Suffer:
“Vorrei
per i miei figli e per tutti i bambini Rom e Sinti un futuro di pace e serenità, in
cui possano crescere e vivere insieme agli altri bambini d’Europa e del mondo senza
essere esclusi e discriminati. Sinceramente davanti al Signore Gesù non mi sono mai
sentita diversa, estranea. Io so che l’uomo guarda l’apparenza, ma il Signore guarda
il cuore e Lei, oggi ce lo dimostra”.
Atanazia Holubova è una suora
zingara che viene dalla Slovacchia. Quando era adolescente conobbe un sacerdote e
un gruppo di giovani cristiani, che iniziò a frequentare di nascosto dal regime. Oggi
si occupa di Pastorale tra i Rom, la sua gente, e parla della sua vocazione con umiltà
e gratitudine verso il Signore e verso quelle persone che per prime hanno portato
nella sua vita la Parola di Gesù:
"They did not mind me being a Gipsy..."
“A
loro non importava che fossi gitana. Partecipavamo alla Messa insieme ogni giorno
e incontravamo religiose: fu allora che capii che il Signore mi chiamava a servirlo
diventando una suora. Capii che mi chiamava ad aiutare i gitani a trovare la via che
li conduce a Lui e a trovare, così, la gioia vera. Spero che il Vangelo e l’amore
di Gesù raggiungano presto molti dei nostri fratelli e delle nostre sorelle gitane
che non lo conoscono ancora e che noi possiamo essere fedeli e ardenti testimoni di
ciò che abbiamo visto e ricevuto dalla Madre Chiesa”.