Libia. Gheddafi alla Nato: “rimarrò a Tripoli, vivo o morto”
Mattinata di tregua in Libia, all’indomani intensi bombardamenti della Nato contro
la città di Tripoli. Ma a tenere banco è sempre l’audio messaggio di Gheddafi, diffuso
ieri dalla Tv di Stato, in cui il rais dice che resterà nella capitale, vivo o morto.
Servizio di Marco Guerra:
All’indomani
dei massicci bombardamenti su Tripoli e in particolare sull’area dove si trova il
complesso residenziale del colonnello Gheddafi, è guerra di cifre tra il regime libico
e la Nato. Un portavoce del governo di Tripoli ha parlato di 31 morti e decine di
feriti provocati da oltre 60 bombe lanciate dagli aerei dell’Alleanza. Dal quartier
generale di Bruxelles, i vertici militari hanno dichiarato tuttavia di non poter confermare
la notizia ma di “rammaricarsi” per eventuali vittime. E di fronte all’intensificarsi
dei raid, Gheddafi non mostra segni di cedimento. “Resterò a Tripoli, vivo o morto”,
ha detto attraverso un messaggio audio diffuso dalla Tv di Stato. Il colonnello, successivamente
ripreso con alcuni leader tribali, ha quindi fatto sapere che non ha alcuna intenzione
di lasciare il suo Paese. Immediata la replica del presidente Usa Obama, secondo il
quale la pressione sul leader libico si intensificherà fino a quando non lascerà il
potere. La comunità internazionale prova però a lasciare aperto un canale di dialogo:
l'inviato speciale delle Nazioni Unite Al Khatib è arrivato a Tripoli per una visita
che non era stata annunciata. Al Khatib si era già recato a in Libia metà maggio facendo
pressioni per un cessate il fuoco. Intanto torna a Mosca con un nulla di fatto l'inviato
russo, Mikhail Margelov, presso il Consiglio Nazionale di Transizione di Bengasi.
Margelov ha potuto solo constatare che le divisioni tra gli insorti e Tripoli restano
troppo profonde per tentare una soluzione politica. A credere ancora nella mediazione
è invece il vicario apostolico di Tripoli, mons. Giovanni Innocenzo Martinelli,
il quale mette in guardia circa una possibile spaccatura all’interno del popolo libico.
Siria,
violenze La Siria nel caos dopo il susseguirsi di notizie relative ad insurrezioni
armate, arresti arbitrari, repressioni e di supposte defezioni tra i diplomatici di
Damasco, prima tra tutte quella dell’ambasciatrice a Parigi, la quale ha tuttavia
smentito la notizia con un video in cui assicura “il suo servizio per il Paese”. Intanto,
nuove violenze tra oppositori del governo e forze di sicurezza si registrano stamane
nella città di Arida, nei pressi del confine con il Libano. Secondo fonti libanesi
si contano almeno tre morti tra i civili e due tra i militari. Infine non si arresta
l’esodo in Turchia di cittadini siriani in fuga dalla repressione. Nelle ultime 24
ore, altri 120 – fra cui donne e bambini - hanno attraversato il confine. Dal canto
suo il premier turco, Recep Tayyip Erdogan, ha assicurato che la Turchia “non chiuderà
le sue porte" ai profughi.
Yemen, Saleh sarà operato in Arabia Saudita Situazione
esplosiva nello Yemen, dopo il ricovero in Arabia Saudita del presidente Saleh, ferito
venerdì scorso nell'assalto al palazzo presidenziale. Oggi le condizioni del Capo
di Stato sono state definite “stabili”, in attesa di un intervento di chirurgia estetica
per le ustioni riportate. Intanto continuano i combattimenti e le violenze in varie
zone del Paese, mentre nella capitale Sanaa ieri decine di migliaia di giovani manifestanti
hanno dimostrato contro il rientro di Saleh e per chiedere la costituzione di un Consiglio
presidenziale transitorio. A tentare la mediazione con le opposizioni potrebbe essere
il Consiglio di cooperazione del Golfo.
Medio Oriente Dopo quattro
giorni di chiusura che hanno suscitato forti proteste fra i palestinesi, è stato riaperto
il valico di Rafah, fra la Striscia di Gaza e l'Egitto. Il responsabile della parte
palestinese, Ayub Abu Shaar, ha dichiarato che le operazioni sono riprese in seguito
ad un accordo con la parte egiziana, “che tutti hanno accettato".
Tunisia,
fissata data elezioni politiche In Tunisia si svolgeranno il 23 ottobre le
prime elezioni dell’era post Ben Ali. Lo ha annunciato poco fa il premier ad interim,
al termine di una riunione con i rappresentanti dei partiti e della società civile.
La tornata originariamente era previste per il 24 luglio, ma la commissione elettorale
ha chiesto più tempo per organizzare serenamente il voto, nonostante il parere contrario
di alcuni partiti e dello stesso governo transitorio.
Iran, nucleare L’Iran
torna a sfidare la comunità internazionale sul versante del nucleare e annuncia che
procederà con l’arricchimento dell’uranio al 20 per cento nel nuovo sito di Fordo,
che si trova 150 Kilometri a sud della capitale nei pressi della città di Qom. Il
capo dell’Organizzazione Atomica iraniana ha inoltre annunciato che la produzione
sarà aumentata "di tre volte".
Afghanistan Mohammad Jawad Zahak,
il presidente del Consiglio provinciale afghano di Bamyan, è stato ucciso dai suoi
rapitori. Il corpo senza vita dell’uomo è stato rivenuto ieri nel distretto di Siah
Gird. Ferma la condanna del presidente, Hamid Karzai, che ha attribuito il barbaro
assassinio ai “nemici dell’Afghanistan”, che invano tentano di ritardare lo sviluppo
del Paese. Intanto è attesa per oggi la pubblicazione del rapporto del Congresso americano
sui risultati del programma di aiuti all’Afghanistan. Ad anticiparlo il Washington
Post, secondo cui il documento esorta l'Amministrazione Usa a ripensare con urgenza
i propri programmi di assistenza alla luce dei “successi limitati”, proprio mentre
il presidente Obama si appresta ad avviare il ritiro delle truppe nell'estate prossima.
Pakistan,
attacco Attentato nel Pakistan occidentale. Otto autobotti con carburante destinato
alle truppe della Nato in Afghanistan sono state distrutte la notte scorsa nella Khyber
Agency. L’azione terroristica non ha, fortunatamente, causato vittime.
Pakistan,
minoranze religiose La difesa delle minoranze religiose in Pakistan è ancora
un problema grave e irrisolto. E’ quanto si evince dall’ultimo rapporto del Jinnah
Institute di Islamabad, sul tema: “Una questione di fede”. Lo studio – 70 pagine –
copre il periodo tra dicembre 2010 ed aprile 2011 e ricorda l’uccisione del governatore
del Punjab, Salman Taseer, e del ministro per le Minoranze, Shahbaz Bhatti; denuncia
numerosi casi di violenze su membri di minoranze religiose, comprese conversioni forzate
all’Islam; e punta il dito contro i ritardi del governo nella modifica della controversa
Legge sulla blasfemia, considerata la più dura di tutto il mondo islamico.
Costa
d’Avorio In Costa d’Avorio, importanti ong internazionali hanno lanciato un’allarme
sulle violazioni dei diritti dell’uomo, che continuerebbero anche dopo la fine degli
scontri armati. Sulla situazione ivoriana, Davide Maggiore ha intervistato
Anna Bono, docente di Storia e istituzioni dell’Africa all’Università di Torino:
R. – Io penso
che queste prime settimane dopo la crisi post-elettorale diano dei segnali abbastanza
allarmanti. Decine di persone – si parla di almeno 150 persone – sono state uccise
in regolamenti di conti dalle forze del presidente oggi in carica, Alassane Ouattara,
che hanno infierito e forse continuano ad infierire sui sostenitori del precedente
presidente, Laurent Gbagbo. Non è certo il modo di avviare una reale soluzione di
una crisi che non si è sicuramente conclusa. La condizione – è opinione generale –
per avviare una soluzione della crisi era la costituzione di un governo di unità nazionale.
D.
– Che possibilità ci sono per un processo di verità e riconciliazione sul modello
sudafricano?
R. – Che si arrivi ad istituire una commissione non è per
niente improbabile. Quello che importa è poi la composizione della commissione ed
il suo comportamento. Una commissione, affiancata per esempio dalla Corte penale internazionale,
richiede prima soprattutto una stabilizzazione della situazione.
D.
– Quali sono a questo punto le prospettive politiche per la Costa d’Avorio?
R.
– Il problema fondamentale è che interessi contrastanti, soprattutto tra la parte
settentrionale e quella meridionale del Paese, non sono stati superati con la parziale
conclusione di questa crisi. Ed è su questo fronte che il nuovo governo e tutte le
forze politiche e sociali del Paese dovrebbero impegnarsi.(ap)
Caso
Battisti: oggi la sentenza Ultimo atto in Brasile per il caso Cesare Battisti.
Oggi la Corte Suprema deciderà il destino dell’ex terrorista, condannato all’ergastolo
in Italia. In particolare, verrà stabilito se la decisione presa dall’ex presidente,
Luiz Inacio Lula da Silva, di negare l’estradizione di Battisti in Italia sia in linea
o meno con il Trattato di estradizione italo-brasiliano firmato a Roma nel 1989. (Panoramica
internazionale a cura di Marco Guerra)
Bollettino del Radiogiornale
della Radio Vaticana Anno LV no. 159