Fmi ai Paesi europei in crisi: dopo gli aiuti, urgenti riforme strutturali
In Portogallo e Grecia continuano le difficoltà economiche, nonostante gli ingenti
aiuti finanziari europei ed internazionali. A Lisbona il nuovo governo, che verrà
scelto dalla maggioranza di centro-destra che ha vinto le elezioni di domenica scorsa,
dovrà varare severe riforme, così come anche dovrà fare Atene, in base alle richieste
odierne del Fondo Monetario Internazionale: "bene i progressi sul debito - è stato
precisato - ma ora occorrono le riforme strutturali". Ma c’è il rischio che anche
altri Paesi possano in futuro trovarsi in crisi? Giancarlo La Vella lo ha chiesto
a Mario Deaglio, docente di economia all’Università di Torino:
R. – Questi
Paesi presentavano una situazione veramente molto deviata rispetto alla normalità.
L’Irlanda, per altri motivi, si colloca nella stessa situazione di Grecia e Portogallo,
ma sono nettamente divergenti da tutto il resto dell’Unione Europea.
D.
– C’è la possibilità di fare un passo indietro, cioè tornare a delle economie più
impermeabili e quindi, forse, meno soggette alle esigenze globali?
R.
– In linea teorica forse sì, ma quando dalla teoria si passa alla pratica è difficile
farlo senza creare molti danni. Prendiamo in esame i casi di Grecia e Portogallo:
in questo momento ci sarebbero molti vantaggi per loro ad avere una moneta autonoma,
ma il processo di uscita dall’euro non è facile e richiede comunque un tempo molto
lungo. Quindi, ci troviamo veramente in una sorta di rompicapo da cui non riusciamo
ad uscire con facilità.
D. – Stanno funzionando realmente le misure
internazionali di salvataggio nei confronti dei Paesi in difficoltà? I principi di
sussidiarietà hanno poi un’applicazione concreta?
R. – Fino ad ora hanno
funzionato nel senso che hanno evitato il collasso di questi Paesi. Una vera cura
di lungo termine, però, non è stata ancora impostata o se è stata impostata è manifestamente
inefficace. Perché questo? Soprattutto perché quando si dice “ridurre la spesa”, "are
le riforme” si vogliono usare delle buone parole per una cosa molto più dura, cioè
licenziare tanta gente. Togliere tutto questo in maniera rapida, come il resto del
mondo sembra volere, è molto doloroso e, quindi, può provocare nella popolazione –
e sta provocando – dei veri e propri moti di rivolta, perché non si vede quale sia
il vantaggio per la gente.
D. – Si tratta, forse, di aderire a parametri
un po’ troppo severi in una situazione difficile come quella che c’è ancora oggi in
tutto il mondo...
R. – Direi che i parametri usati per la Grecia sono
abbastanza severi, soprattutto nella tempistica del rientro. Se questa stessa manovra
fosse spalmata su dieci anni, probabilmente non ci sarebbero troppi problemi, ma farla
in tre o quattro è traumatizzante. Si vede, poi, la palpabile differenza che i mercati
fanno tra un Paese piccolo e debole, come la Grecia, e un Paese come gli Stati Uniti,
che ha più o meno lo stesso deficit di bilancio, ma ha molta tecnologia, ha la posizione
più importante nel mondo nella politica estera, ha un forte esercito e così via. E
allora gli si fa più credito, mentre alla Grecia che non ha nulla di tutto ciò si
vanno a vedere i conti con molta severità. (ap)