2011-06-06 11:15:52

Le alluvioni in Pakistan un anno dopo, il lavoro di Medici senza frontiere in un contesto ancora critico


Circa 5.000 morti e 20 milioni di sfollati: sono i numeri delle vittime delle alluvioni che colpirono il Pakistan nel luglio 2010. Le piogge torrenziali devastarono gran parte del Paese spazzando via raccolti, sommergendo villaggi e lasciando migliaia di persone senza casa. Tra le numerose organizzazioni internazionali intervenute, Medici senza Frontiere è stata una delle prime a rispondere al disastro. Ma qual è la situazione attuale del Pakistan? Salvatore Cernuzio lo ha chiesto a Pierluigi Testa, capo della missione di Medici senza Frontiere, appena rientrato dal Paese asiatico:RealAudioMP3

R. - La situazione oggi è ritornata alla normalità, anche se ci sono ancora delle regioni che, essendo state colpite dalle alluvioni, sono state completamente distrutte. Questa distruzione ha portato ad uno spostamento della popolazione, soprattutto verso i centri urbani. Quindi ci troviamo in una situazione, in cui le grandi città hanno ricevuto un grande afflusso di popolazione che, avendo perso tutto nelle campagne, hanno cercato sostegno nei centri urbani.

D. - Quali sono stati i progetti in cui siete stati impegnati all’incirca un anno fa?

R. - All’inizio delle alluvioni abbiamo svolto attività medica: tutto quello che riguarda la salute della donna, della donna incinta, dei bambini malnutriti. Ci siamo poi impegnati nella distribuzione di acqua potabile e nella distribuzione di kit di igiene, per poter così assicurare a queste popolazioni condizioni di vita normali e l’accesso alle cure sanitarie, perché non avevano più alcuna struttura di riferimento dove andare.

D. - Come avete operato concretamente?

R. - Abbiamo operato nelle quattro province che formano il Pakistan, a diversi livelli. Per raggiungere le popolazioni colpite dalle alluvioni laddove non c’era accesso per le strade abbiamo usato elicotteri, mentre nelle zone ricoperte dall’acqua abbiamo usato anche i battelli. Dopo le alluvioni, al di là del ripristinare l’accesso alle cure sanitarie della popolazione, siamo dovuti intervenire anche per una epidemia di colera che ha toccato tutte e quattro le province: abbiamo aperto una ventina di centri di trattamento per il colera e di consultazione primaria, nei quali le persone potevano essere smistate e curate.

D. - Come ha reagito la gente all’aiuto che avete fornito?

R. - Inizialmente, avevano un po’ di reticenza nel venire da noi, perché in certe aree remote del Pakistan non hanno mai visto dei cittadini stranieri o gente dello staff internazionale. Col tempo, però, avendo visto che abbiamo cominciato a trattare i bambini malnutriti, a eseguire parti cesarei, ad assistere i feriti, la popolazione ha capito che la nostra organizzazione era lì per loro. Non aveva alcun fine politico, ma voleva solo rispondere ai bisogni che avevano sul terreno: loro chiedevano acqua e noi gli davamo acqua, chiedevano una tenda perché avevano perso la loro casa e noi gli davamo la tenda…

D. - Di cosa c’è bisogno ancora adesso?

R - I bisogni sono soprattutto focalizzati alla salute della donna, delle donne incinte, al trattamento dei bambini in zone dove la malnutrizione è cronica: ancora oggi abbiamo 2.500 bambini sottoposti a trattamento per malnutrizione.

D. - Lei è tornato proprio in questi giorni dal Pakistan: qual è la situazione attuale?

R. - Bisogna restare ancora in Pakistan e bisogna cercare di aumentare anche la presenza di attività mediche. Ci sono alcune zone, dove la popolazione non ha assolutamente accesso alle strutture sanitarie. Faccio un esempio: qualche giorno sono stato in una zona remota del Pakistan, dove c’era un ospedale bellissimo, nuovo, ma non c’erano né farmaci, né materiale, né personale medico e questo su una popolazione di 300 mila persone. In questa situazione ci sentiamo in dovere di fare qualcosa. Ho parlato con una signora, che mi ha detto: mia figlia è morta a casa proprio ieri, perché era incinta e non c’era alcuna struttura pubblica che poteva prenderla in carico. Quando si sentono storie come queste, abbiamo tutte le ragioni per continuare e per aumentare la presenza di Medici senza frontiere in Pakistan. (mg)







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