Un anno fa l'uccisione di mons. Padovese. L'arcivescovo di Smirne: la Chiesa in Turchia
non ha perso la fiducia nel dialogo
Ricorre oggi il primo anniversario dell’uccisione a Iskenderun, in Turchia, di mons.
Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia. Dodici mesi fa il presule italiano
veniva barbaramente accoltellato dal suo autista lasciando sotto choc la piccola minoranza
cattolica in Turchia. Mons. Padovese fu instancabile studioso delle origini del cristianesimo
e pastore che fondava sulla carità e il dialogo il suo servizio alla verità. Verrà
ricordato domenica a Iskenderun con una celebrazione eucaristica presieduta da mons.
Ruggero Franceschini, arcivescovo di Smirne, attuale amministratore apostolico
del vicariato apostolico di Anatolia e presidente della Conferenza episcopale della
Turchia. A lui Fabio Colagrande ha chiesto come la Chiesa locale si stia preparando
a questa celebrazione:
R. – La Chiesa
turca ha risposto abbastanza bene. Sia la Chiesa docente – saranno presenti i vescovi
della Turchia, la nostra Conferenza episcopale -, sia la Chiesa discente, la Chiesa
che marcia, che impara, che studia, la Chiesa comune, tanto che non sappiamo più dove
mettere la gente. Ovviamente ci sono molti alberghi, fuori, ma tutti vorrebbero rimanere
con noi. Anche in Chiesa stiamo vivendo quest’anniversario, attraverso momenti di
preghiera. Ci siamo chiesti se possiamo fare meglio, soprattutto se possiamo finalmente
iniziare strade diverse, strade di maggior dialogo non solo proclamato ma vissuto
concretamente. Ci pare che ciò sia stato accolto molto bene dai nostri giovani, che
non vogliono rinnegare la loro origine turca ma vogliono invece completare l’educazione
turca con la formazione cristiana.
D. – Come si svolgerà la celebrazione
eucaristica di domenica 5 giugno?
R. – La celebrazione si svolgerà durante
la Messa delle 11, Messa dell’Ascensione. Abbiamo scelto di non fare una Messa di
suffragio, perché ci pare sia appropriata l’Ascensione al cielo, che è la patria comune,
ed è la patria dalla quale Luigi Padovese continua a seguire la sua Chiesa. E’ una
presenza invisibile, ma lo sentiamo comunque tra noi. Sarà un momento di forte riconciliazione,
di volontà di riconciliazione. La Chiesa di Iskenderun non sarà sola in questa giornata,
perché verranno persone da Smirne, da Istanbul, da Samsun. E’ la Chiesa di Turchia
– almeno quella che si è riconosciuta in questa chiamata – che cerca di condividere
con noi questo momento di serenità e di preghiera, che si riconosce in questa volontà
di camminare insieme.
D. – Come hanno reagito le autorità civili a queste
iniziative?
R. – Penso bene, perché ci sarà il sindaco della città,
il prefetto della regione, il vice-prefetto, il capo dei singoli distretti islamici.
Ci saranno nove o dieci arcivescovi ortodossi, qualche patriarca - della Siria, dell’Est
della Turchia ed anche della Giordania - insomma, ci sarà tanta gente. Gente che si
riconosce forse in questa volontà di cambiare il modo di vivere insieme, perché figli
dello stesso Padre, anche se con fedi diverse.
D. – Questa partecipazione
è un po’ il segno dei rapporti di stima, collaborazione ed amicizia che il vescovo
Padovese aveva stabilito durante la sua vita…
R. – Certo. E’ questo
che gli riconosciamo. Presto inizierà il processo e pensiamo – perché si sente nell’aria,
ancora la documentazione rimane riservatissima – che lo Stato senta la necessità di
non essere frettoloso nel processo ma di guardarci bene dentro. Noi abbiamo sentito
la necessità di non perdere la fiducia e di camminare insieme, anche se quello che
abbiamo pagato e forse ancora dovremo pagare è davvero molto.
D. – Nella
raccolta di contributi in memoria di Padovese, che è stata pubblicata in questi giorni,
lei scrive: “La piccola Chiesa rimasta in Anatolia è troppo povera per trovare in
se stessa le risorse per continuare a sperare almeno di esistere”. Sono parole che
suonano come un appello…
R. – Sì. Abbiamo bisogno che la Chiesa ci senta
come suoi figli, anche se lontani, anche se in un momento difficile. (vv)