L'Italia festeggia i 65 anni della Repubblica nel 150.mo dell'Unità
Grande festa oggi a Roma per i 65 anni della Repubblica e per i 150 dell’Unità d’Italia.
Presenti oltre 40 capi di Stato e più di 80 delegazioni provenienti da tutto il mondo,
che questa mattina hanno assistito alla parata militare ai Fori Imperiali con il Capo
dello Stato Napolitano. Stasera la cena al Quirinale. Nel pomeriggio a Villa Pamphili
molti incontri bilaterali del premier Berlusconi. Servizio di Giampiero Guadagni
In
molti hanno ribadito che questa è una festa per rafforzare i valori condivisi, a partire
dall’unità del Paese. Alessandro Guarasci ha sentito il costituzionalista dell’Università
Cattolica Enzo Balboni:
R. - Mai come
in questo periodo gli elementi di democrazia sostanziale, il voto largamente partecipato
di domenica scorsa, ed anche adesso poter fare i referendum, segnalano che abbiamo
un Paese che, in qualche modo, si sta risvegliando. Io, a prescindere dai risultati,
ho visto molti giovani - finalmente - di nuovo interessati alla politica, alla Costituzione
e alla Repubblica. Questo è un bellissimo segno.
D. - C’è però il federalismo
che continua ad essere vissuto, in una parte del Sud, un po’ come un’imposizione…
R.
- Il federalismo di adesso ha, in realtà, una qualche riforma fiscale che pure è necessaria
per aumentare l’autonomia ma anche la responsabilità di Regioni e Comuni. Il federalismo
non lo vedo più così male o così dirompente dell’unità nazionale, come potevamo temere
cinque anni fa.
D. - Professore, un 2 giugno per mettere fine anche al clima
di rissa che ha caratterizzato la politica negli ultimi mesi?
R. - Il fatto
che Berlusconi cominci ad essere meno in primo piano e che nella vita politica emergano
anche altre personalità, secondo me fa bene a tutti: una giusta leadership nel centrodestra,
altrettanto nell’opposizione, e nel Terzo Polo se avrà la capacità di imporsi. Direi
che rispetto all’anno scorso è un 2 giugno migliore. (mg)
Sul significato di
questa festa si sofferma al microfono di Luca Collodi l’ordinario militare
per l’Italia, mons. Vincenzo Pelvi:
R. - Quest’anno
la felice coincidenza - nascita della Repubblica e 150 anni dell’Unità d’Italia -
diventa una spinta, una scossa di cuore, perché dobbiamo cambiare il modo di vedere
le situazioni della storia ed essere aperti alla democrazia e alla solidarietà.
D.
- Quali auguri possiamo formulare per la festa della Repubblica Italiana e delle Forze
Armate?
R. - Riprendo il pensiero del nostro presidente della Repubblica: riferiscono
quanto è nello spirito della preghiera recentemente vissuta a Santa Maria Maggiore
con il Santo Padre e i vescovi italiani: “L’Italia è una ed è indivisibile”. Penso
che questo possa essere l’augurio più bello: un Paese sempre più amalgamato, al di
là dei soggettivismi e degli egoismi, e una patria che il Signore ci ha donato e che
dobbiamo custodire nelle sue radici cristiane. (mg)
Nel 1946, per la prima
volta in Italia le donne si avvalsero del diritto di voto e il 2 giugno furono chiamate
alle urne per scegliere tra Monarchia o Repubblica e per l’elezione dell’Assemblea
costituente: le donne votarono nella stessa percentuale degli uomini e 21 vennero
elette. Anche grazie a loro furono inseriti nella Carta diritti fondamentali e venne
introdotto l’articolo 3 che, oltre a dichiarare tutti i cittadini uguali indipendentemente
dal sesso, stabiliva che la Repubblica avrebbe dovuto agire per rimuovere gli ostacoli
che a quell’uguaglianza si frapponevano. Al microfono di Paolo Ondarza sentiamo
la storica e saggista Giulia Galeotti.
R. – Ricordare
il 2 giugno 1946 è estremamente importante, perché in quell’occasione le donne votarono
per la prima volta. Si temeva non si presentassero al voto: i giornali dell’epoca
lo sottolineavano in continuazione. Invece, se poi andiamo a consultarli, gli stessi
giornali dell’epoca pubblicavano immagini in cui sembrava che ci fossero solo donne
in fila per votare; le 21 donne che poi furono elette all’Assemblea costituente –
nove democristiane, nove comuniste, due socialiste e una donna dell’“Uomo qualunque”
di Giannini - furono veramente le donne che permisero – e questo è un obbligo morale,
da parte della Repubblica, ricordarlo – l’introduzione di quei principi costituzionali
che favorirono l’emancipazione femminile.
D. – E oggi, la parità è stata raggiunta?
R.
– Direi che da un punto di vista legislativo, tutto sommato – anche se ci sono voluti
anni, decenni – la parità, sulla carta, almeno, è stata raggiunta. Quello che invece
rimane ancora da fare è un lavoro sul piano sociale, della mentalità. Le faccio un
esempio: nel 1996, il Parlamento italiano è riuscito a cambiare la legge sulla violenza
sessuale che prima era un reato contro l’onore e finalmente – e solo dal 1996! – è
diventato invece un delitto contro la persona. Se però noi entriamo in un’aula di
tribunale e vediamo il modo in cui, ancora, la nostra società si relaziona con la
violenza sessuale ci accorgiamo di una persistente mentalità secondo la quale le donne
sono ancora ritenute inferiori e quindi il fatto che si abusi di loro è considerato
come qualcosa di socialmente giustificabile.
D. – Persistono anche difficoltà
di accesso al mondo del lavoro?
R. – Questo è un grande problema che rimane.
Penso che forse, a molte di noi sotto i 40 anni sia successo di ricevere durante colloqui
di assunzione per lavori più o meno precari, la famosa domanda se si è sposate e intenzionate
ad avere un figlio: la maternità è ancora percepita, dai datori di lavoro, come un
handicap.
D. – Una soluzione potrebbe essere il potenziamento, ad esempio,
dei congedi di paternità …
R. – Esatto. Ma è un po’ come un cane che si morde
la coda: infatti, i congedi parentali sono legati allo stipendio e finché gli uomini
continueranno a guadagnare di più, anche a parità di mansioni, sarà difficile – per
ragioni anche comprensibili – che in una coppia sia l’uomo a decidere di rimanere
a casa.
D. – Diceva che da un punto di vista legislativo oggi, tutto sommato,
c’è un’uguaglianza riconosciuta tra uomo e donna …
R. – Le dirò di più: ci
sono forse delle leggi che sembrano tutelare quasi più le donne che gli uomini. So
che entriamo in un terreno minato: mi riferisco alla legge 194. Come noi sappiamo
benissimo, questa legge non ammette in alcun modo che l’uomo, e quindi il padre, abbia
voce in capitolo. Mettiamo tanta enfasi sul ruolo paterno però poi, quando si tratta
di decidere se interrompere o meno la gravidanza, anche laddove questa avvenga all’interno
di una matrimonio, l’uomo non è mai chiamato in causa, non ha possibilità di decidere.
D.
– Non giova sicuramente alla piena parità uomo-donna una certa ideologia che, purtroppo,
ha accompagnato il processo di emancipazione femminile …
R. – Questo, sicuramente,
è vero. Abbiamo creduto che, per emanciparci, dovessimo in qualche modo diventare
molto simili agli uomini – quasi uguali agli uomini. E di questo, secondo me, oggi
stiamo pagando le conseguenze. Aver diritto all’uguaglianza, alla parità non significa
fingere che le differenze non esistano: perché le differenze ci sono ed è anche un
bene che ci siano. Sono un valore, sicuramente, non un disvalore. (gf)