2011-06-02 15:28:39

L'Italia festeggia i 65 anni della Repubblica nel 150.mo dell'unità


L’Italia celebra oggi la Festa della Repubblica a 65 anni del referendum popolare del 1946 che abolì la monarchia. La ricorrenza ha oggi un particolare significato anche perché cade nel 150.mo dell’Unità d’Italia. In Via dei Fori Imperiali, a Roma, si è svolta la tradizionale parata militare alla presenza del capo dello Stato, Giorgio Napolitano. In molti hanno ribadito che questa è una festa per rafforzare i valori condivisi, a partire dall’unità del Paese. Alessandro Guarasci ha sentito il costituzionalista dell’Università Cattolica Enzo Balboni:RealAudioMP3

R. - Mai come in questo periodo gli elementi di democrazia sostanziale, il voto largamente partecipato di domenica scorsa, ed anche adesso poter fare i referendum, segnalano che abbiamo un Paese che, in qualche modo, si sta risvegliando. Io, a prescindere dai risultati, ho visto molti giovani - finalmente - di nuovo interessati alla politica, alla Costituzione e alla Repubblica. Questo è un bellissimo segno.

D. - C’è però il federalismo che continua ad essere vissuto, in una parte del Sud, un po’ come un’imposizione…

R. - Il federalismo di adesso ha, in realtà, una qualche riforma fiscale che pure è necessaria per aumentare l’autonomia ma anche la responsabilità di Regioni e Comuni. Il federalismo non lo vedo più così male o così dirompente dell’unità nazionale, come potevamo temere cinque anni fa.

D. - Professore, un 2 giugno per mettere fine anche al clima di rissa che ha caratterizzato la politica negli ultimi mesi?

R. - Il fatto che Berlusconi cominci ad essere meno in primo piano e che nella vita politica emergano anche altre personalità, secondo me fa bene a tutti: una giusta leadership nel centrodestra, altrettanto nell’opposizione, e nel Terzo Polo se avrà la capacità di imporsi. Direi che rispetto all’anno scorso è un 2 giugno migliore. (mg)

Sul significato di questa festa si sofferma al microfono di Luca Collodi l’ordinario militare per l’Italia, mons. Vincenzo Pelvi:RealAudioMP3

R. - Quest’anno la felice coincidenza - nascita della Repubblica e 150 anni dell’Unità d’Italia - diventa una spinta, una scossa di cuore, perché dobbiamo cambiare il modo di vedere le situazioni della storia ed essere aperti alla democrazia e alla solidarietà.

D. - Quali auguri possiamo formulare per la festa della Repubblica Italiana e delle Forze Armate?

R. - Riprendo il pensiero del nostro presidente della Repubblica: riferiscono quanto è nello spirito della preghiera recentemente vissuta a Santa Maria Maggiore con il Santo Padre e i vescovi italiani: “L’Italia è una ed è indivisibile”. Penso che questo possa essere l’augurio più bello: un Paese sempre più amalgamato, al di là dei soggettivismi e degli egoismi, e una patria che il Signore ci ha donato e che dobbiamo custodire nelle sue radici cristiane. (mg)

Nel 1946, per la prima volta in Italia le donne si avvalsero del diritto di voto e il 2 giugno furono chiamate alle urne per scegliere tra Monarchia o Repubblica e per l’elezione dell’Assemblea costituente: le donne votarono nella stessa percentuale degli uomini e 21 vennero elette. Anche grazie a loro furono inseriti nella Carta diritti fondamentali e venne introdotto l’articolo 3 che, oltre a dichiarare tutti i cittadini uguali indipendentemente dal sesso, stabiliva che la Repubblica avrebbe dovuto agire per rimuovere gli ostacoli che a quell’uguaglianza si frapponevano. Al microfono di Paolo Ondarza sentiamo la storica e saggista Giulia Galeotti.RealAudioMP3

R. – Ricordare il 2 giugno 1946 è estremamente importante, perché in quell’occasione le donne votarono per la prima volta. Si temeva non si presentassero al voto: i giornali dell’epoca lo sottolineavano in continuazione. Invece, se poi andiamo a consultarli, gli stessi giornali dell’epoca pubblicavano immagini in cui sembrava che ci fossero solo donne in fila per votare; le 21 donne che poi furono elette all’Assemblea costituente – nove democristiane, nove comuniste, due socialiste e una donna dell’“Uomo qualunque” di Giannini - furono veramente le donne che permisero – e questo è un obbligo morale, da parte della Repubblica, ricordarlo – l’introduzione di quei principi costituzionali che favorirono l’emancipazione femminile.

D. – E oggi, la parità è stata raggiunta?

R. – Direi che da un punto di vista legislativo, tutto sommato – anche se ci sono voluti anni, decenni – la parità, sulla carta, almeno, è stata raggiunta. Quello che invece rimane ancora da fare è un lavoro sul piano sociale, della mentalità. Le faccio un esempio: nel 1996, il Parlamento italiano è riuscito a cambiare la legge sulla violenza sessuale che prima era un reato contro l’onore e finalmente – e solo dal 1996! – è diventato invece un delitto contro la persona. Se però noi entriamo in un’aula di tribunale e vediamo il modo in cui, ancora, la nostra società si relaziona con la violenza sessuale ci accorgiamo di una persistente mentalità secondo la quale le donne sono ancora ritenute inferiori e quindi il fatto che si abusi di loro è considerato come qualcosa di socialmente giustificabile.

D. – Persistono anche difficoltà di accesso al mondo del lavoro?

R. – Questo è un grande problema che rimane. Penso che forse, a molte di noi sotto i 40 anni sia successo di ricevere durante colloqui di assunzione per lavori più o meno precari, la famosa domanda se si è sposate e intenzionate ad avere un figlio: la maternità è ancora percepita, dai datori di lavoro, come un handicap.

D. – Una soluzione potrebbe essere il potenziamento, ad esempio, dei congedi di paternità …

R. – Esatto. Ma è un po’ come un cane che si morde la coda: infatti, i congedi parentali sono legati allo stipendio e finché gli uomini continueranno a guadagnare di più, anche a parità di mansioni, sarà difficile – per ragioni anche comprensibili – che in una coppia sia l’uomo a decidere di rimanere a casa.

D. – Diceva che da un punto di vista legislativo oggi, tutto sommato, c’è un’uguaglianza riconosciuta tra uomo e donna …

R. – Le dirò di più: ci sono forse delle leggi che sembrano tutelare quasi più le donne che gli uomini. So che entriamo in un terreno minato: mi riferisco alla legge 194. Come noi sappiamo benissimo, questa legge non ammette in alcun modo che l’uomo, e quindi il padre, abbia voce in capitolo. Mettiamo tanta enfasi sul ruolo paterno però poi, quando si tratta di decidere se interrompere o meno la gravidanza, anche laddove questa avvenga all’interno di una matrimonio, l’uomo non è mai chiamato in causa, non ha possibilità di decidere.

D. – Non giova sicuramente alla piena parità uomo-donna una certa ideologia che, purtroppo, ha accompagnato il processo di emancipazione femminile …

R. – Questo, sicuramente, è vero. Abbiamo creduto che, per emanciparci, dovessimo in qualche modo diventare molto simili agli uomini – quasi uguali agli uomini. E di questo, secondo me, oggi stiamo pagando le conseguenze. Aver diritto all’uguaglianza, alla parità non significa fingere che le differenze non esistano: perché le differenze ci sono ed è anche un bene che ci siano. Sono un valore, sicuramente, non un disvalore. (gf)







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