La rivolta giovanile che attraversa il Nord Africa ha avuto ampia eco in tutto il
mondo. Non altrettanto vale per le rivendicazioni del popolo Sahrawi. Il 10 ottobre
scorso, nel Sahara Occidentale, circa 20 mila sahrawi si sono accampati a una decina
di km dalla capitale El Aiun (leggi El Aiun), per chiedere al Marocco condizioni di
vita più dignitose e la fine delle discriminazioni ai danni della popolazione. Il
campo è stato sgomberato un mese dopo dalla polizia di Rabat: è impossibile fare un
calcolo preciso delle vittime, ma la notizia ha avuto scarso rilievo sulla stampa
internazionale. E’ quanto raccontato da Ahmed Naciri, difensore dei diritti umani
dei sahrawi, in conferenza stampa a Roma, presso la sede dell’Associazione Nazionale
della Stampa Italiana. Il servizio di Silvia Koch:
“Il caso
del Sahara Occidentale dimostra che in sede Onu si usano due pesi e due misure”, è
stato detto alla conferenza. Da 35 anni il territorio è occupato dalle forze marocchine,
i sahrawi chiedono lo svolgimento di un Referendum per l’autodeterminazione, ma il
Marocco è disposto a concedere solo l’autonomia politica e le Nazioni Unite non riescono
nella mediazione tra le parti. La missione di pace Minurso è autorizzata a
svolgere un monitoraggio sul cessate-il-fuoco, ma non sulla tutela dei diritti umani,
come chiesto da Amnesty International, da altre organizzazioni umanitarie e recentemente
anche dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon. Per Luciano Ardesi, giornalista
italiano esperto della realtà nordafricana, l’eventuale concessione del voto ai sahrawi
minerebbe la stabilità politica stessa del governo marocchino. Oggi i sahrawi si apprestano
a sperimentare nuove forme di lotta, anticipa Ahmed Naciri, che
ha appena scontato 18 mesi di carcere e maltrattamenti, imprigionato al ritorno dai
campi profughi nel sud dell’Algeria, dove vive la sua famiglia. Le motivazioni del
suo viaggio in Italia:
R. – (parole in lingua hassanya) Lo
scopo del mio viaggio è quello di riuscire a sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale,
chiedendo sostegno. Il secondo per annunciarvi che nel mese prossimo farò un altro
viaggio per visitare i miei familiari che si trovano nei campi profughi nel Sud dell’Algeria:
la mia grande preoccupazione, così come degli altri attivisti, è che al nostro ritorno,
potremmo essere di nuovo messi in carcere.
La speranza di Naciri
è di riuscire con queste azioni ad abbattere quel muro fisico ed ideologico che separa
in due la popolazione sahrawi al confine con l’Algeria. (mg)