Afghanistan: l'impegno dei militari per la ricostruzione, nonostante gli attacchi
dei talebani
In Italia è in pieno svolgimento il dibattito sulla presenza militare in Afghanistan,
dopo l’attentato, rivendicato dai talebani, al contingente italiano a difesa del Gruppo
per la Ricostruzione Provinciale di Herat (Prt). Cinque i militari feriti. Per una
riflessione su questo attacco all’interno della strategia talebana, Fabio Colagrande
ha intervistato Marco Lombardi, docente di sociologia presso l’Università
Cattolica di Milano e coordinatore del progetto dell’ateneo proprio ad Herat, in Afghanistan:
R. – Quello
che i talebani stanno cercando di fare in questo momento è interferire con un processo
di pacificazione. Un processo nel quale l’Italia e tutte le altre forze sono impegnate.
Ci aspettavamo una ripresa delle ostilità, come sempre accade in estate, ma forse
non ci si aspettava un attacco così forte ad Herat, anche se "era nell’aria".
D.
– Potremmo dire che questi eventi sono la dimostrazione che l’azione di pacificazione
in quell’area è efficace?
R. – In un certo senso sì. Quello che dobbiamo
fare in questo momento in Afghanistan - e che il Prt sta facendo - è far germogliare
il seme dello sviluppo tra gli afgani. Il Prt ha costruito quasi 70 scuole. Andare
a scuola, oggi, in Afghanistan, è l’effetto più dirompente che si può avere nei confronti
dei talebani ed è la ragione per cui noi della "Cattolica" lavoriamo con il Prt: loro
costruiscono le scuole e noi costruiamo i maestri.
D. – Il Prt, lei
lo ha già anticipato, è una struttura mista, civile e militare, impegnata nello sviluppo
di opere, scuole, strade e progetti di infrastruttura. E’ gestito dal 132.mo Reggimento
Artiglieria Terrestre della Brigata Ariete di Maniago, in provincia di Pordenone,
ed è comandato dal colonnello Paolo Pomella. Lei conosce come lavora questo Prt?
R.
– Al Prt si succedono ogni sei mesi delle diverse truppe a presiederlo. Il loro lavoro,
in termini di continuità, è sempre stato quello di costruire infrastrutture – scuole
e case – insieme agli esperti del Ministero degli Affari Esteri o ad altri esperti,
come l’Università "Cattolica". E’ davvero un enorme successo. I medici del Prt aiutano
le donne, le visitano. Inoltre, il Prt ha aiutato a costruire l’ospedale pediatrico,
lavora al Governor Centre, dove si trovano le donne afgane che si immolano, bruciandosi,
per protestare rispetto alle violenze che subiscono. Quindi il Prt, nella forma militare,
è comunque impegnato nella promozione della società civile afgana e questo dà molto
fastidio.
D. – La città di Herat fa parte di un gruppo di sette province
e località la cui sicurezza passerà, a luglio, dalla coalizione internazionale ad
esercito e polizia afghani. Dal suo punto di vista, come osservatore, come vede questa
transizione?
R. – Difficile ma necessaria, se vogliamo sintetizzare,
nel senso che è fondamentale che ormai le istituzioni afgane prendano in mano le redini
del Paese e questo comporterà dei rischi. L’affiancamento c’è stato, continuerà ad
esserci ma la transizione è cominciata. Certo è che quanto accaduto è una pesantissima
sfida, anche se, per quanto ne sappiamo, i primi a farne le spese sono stati proprio
la polizia e i militari afghani, che normalmente fanno da "cordone" e presiedono esternamente
il nostro Prt. (vv)