A Deauville, in Normandia, l'apertura del G8 con appelli a Libia e Siria a cessare
la violenza
Vertice dei capi di stato e di governo del G8 a Deauville, in Normandia e che vedrà
domani, ultimo giorno del summit, la sessione allargata alla partnership con l’Africa.
Dieci i paesi africani presenti, più i capi di Onu, Ue, Fondo monetario internazionale,
Banca Mondiale e Unione Africana. Francesca Pierantozzi
Nell’incontro
tra i rappresentanti degli otto grandi della Terra, in discussione anche l’emergenza
nucleare in Giappone, la situazione economica mondiale a quasi tre anni dall'inizio
della crisi finanziaria globale, il processo di pace israelo-palestinese e tanti temi
caldi del momento. Di fronte ad un’agenda così vasta con quale stato d’animo guardare
a questo G8? Giancarlo La Vella ha raccolto il parere di Sergio Marelli, presidente
della Focsiv, la Federazione Organismi Cristiani di Servizio Internazionale Volontario:
R. – Quello
di comprendere come ancora un club di Paesi, che non riveste più la maggioranza delle
economie e del prodotto interno lordo mondiale, potrà e saprà ritagliarsi un ambito
di discussione distinto, non sovrapposto a quello del G20, quell’ambito che ormai
per le questioni economiche e finanziarie globali ha assunto il ruolo di protagonista
nello scenario internazionale. E’ un G8 dove i Paesi industrializzati devono ridimostrare
la tenuta della propria leadership e della propria valenza sullo scenario internazionale.
D.
– Di fronte al gruppo dei tradizionali potenti del mondo si vanno affermando anche
economie emergenti come il Brasile, la Russia, l’India, la Cina o il Sudafrica, il
cosiddetto gruppo “BRICS”. Ci sono interessi divergenti tra queste due parti?
R.
– Purtroppo io penso, invece, che ci sia una convergenza di interessi. Questi Paesi,
alcuni dei quali fino a un po’ di tempo fa erano anche i portabandiera della voce
dei Paesi poveri, nel momento in cui le loro economie sono state ammesse nel gotha
della finanza internazionale, sembrano aver profondamente modificato i loro atteggiamenti,
facendoli diventare molto simili a quelli dei vecchi Paesi industrializzati, che da
sempre hanno dominato l’economia e la finanza a livello mondiale. La speranza è che
essi non si dimentichino di essere appena usciti da una situazione di povertà e nella
quale hanno direttamente sperimentato la necessità di soluzioni democratiche, di soluzioni
che coinvolgano la società civile e di prospettive che tengano conto del destino e
del benessere di tutti e non solamente della promozione di interessi particolari di
pochi.
D. – In questi vertici sembra rimanere, purtroppo, sempre a margine
quella che è la tematica sociale e umanitaria. Per quale motivo?
R. – Sicuramente,
perché oggi l’interesse dei governanti è fortemente attratto dalle questioni della
crisi economica che ha colpito i Paesi industrializzati e non solo negli ultimi anni.
Non si è compreso, invece, che non occuparsi delle questioni sociali, non occuparsi
della questione delle povertà e delle miserie del mondo, non occuparsi del destino
di quei tre miliardi di persone che stanno fuori dalle economie che ce l’hanno fatta,
non può essere la via per trovare una soluzione. Io considero questa scelta una grande
miopia politica. (bf)