India. Aborti selettivi in crescita: mancano all’appello 12 milioni di bimbe
Ben 12 milione di bambine mancano all’appello in India, a causa degli aborti selettivi,
praticati negli ultimi tre decenni dalle famiglie che preferiscono avere un figlio
maschio, specie quando il primogenito è femmina. Il servizio di Roberta Gisotti:
Il nuovo
allarme – perché il fenomeno non è certo una novità – è stato lanciato dalla prestigiosa
rivista scientifica The Lancet, che riporta uno studio dell’Università di Toronto
in Canada sui dati del censimento 2011 condotto nel Paese grande asiatico, che oggi
conta 1 miliardo 210 milioni di abitanti, con un saldo positivo di 38 milioni di uomini
rispetto alle donne, fra la popolazione adulta. The Lancet definisce una “strage silenziosa”
quella che vede ogni giorno in India sopprimere feti femminili, anche in Paesi ospitanti
comunità indiane consistenti, come Regno Unito, Stati Uniti e Canada. Così accade
che in India manchino all’appello, negli ultimi 30 anni, 12 milioni di bimbe soppresse
nell’utero a causa del loro sesso, ma pure in Gran Bretagna negli ultimi 15 anni risultino
‘mancanti’ nelle comunità indiane d’Inghilterra e Galles 1500 bambine, sebbene sia
le leggi indiane dal 1994 che britanniche dal 1993 vietino l’aborto selettivo. Oltre
agli squilibri demografici portati dal calo delle nascite di donne, vi sono fenomeni
altrettanto gravi, che alcuni analisti collegano ai feticidi femminili: l’incremento
degli stupri, il crimine con il più alto tasso di aumento in India, e della ‘tratta
delle spose’, anche da altri Paesi, specie in zone dove gli uomini non riescono a
trovare mogli, e sovente una stessa donna viene acquistata per essere ‘condivisa’
da un’intera famiglia di fratelli.
Siamo dunque di fronte al fallimento
di politiche governative ma forse anche di campagne internazionali condotte dall’Onu?
Lo abbiamo chiesto a Donata Lodi, responsabile dei Programmi
Unicef-Italia: R. – Direi di no. Il problema degli aborti selettivi,
in India, è di vecchia data. In passato, la pratica dell’infanticidio era estremamente
diffusa in molte regioni dell’Asia meridionale e orientale. In tempi recenti, purtroppo,
è prevalsa questa pratica dell’aborto selettivo che ha portato ad una costante riduzione
del numero di bambine rispetto ai maschi.
D. – Dalle statistiche si
capisce che il fenomeno cresce nei centri urbani e tra i ceti medio-alti, sfatando
l’idea che il fenomeno sia conseguenza di povertà e di ignoranza …
R.
– Assolutamente sì. Diciamo che in passato in ambiti rurali prevaleva l’infanticidio
femminile, come avveniva, del resto, anche in Cina; ci sono ancora casi isolati ma
in linea di massima questa pratica è stata sconfitta dalle campagne di educazione
di massa, anche dalle stesse campagne governative, però negli ambienti urbani il maggiore
livello di ricchezza, soprattutto in India, ha reso possibile un aumento degli aborti
selettivi.
D. – Ma come si spiega questo paradosso, che pur crescendo
il reddito, pur crescendo la cultura, la discriminazione verso il sesso femminile
aumenti?
R. – La discriminazione probabilmente rimane la stessa, perché
è un trend profondo della società ed è legato a fattori come, per esempio, la tradizione
della dote per cui una figlia femmina è comunque un 'peso' per una famiglia di ceto
medio. Sicuramente è proprio il ceto medio emergente che ha però ancora grandi problemi
a mantenere un certo livello di reddito, quello dove questo fenomeno è più accentuato.
Questo è un paradosso, che però si sconfigge con un lavoro lungo, di anni, di rivalorizzazione
della figura e del ruolo sociale delle donne, ma anche con il cambiamento di alcune
tradizioni. Non basta dire ‘no’ agli aborti selettivi o ‘no’ all’infanticidio. Evidentemente,
bisogna riuscire ad impostare la cosa in termini di diritti e quindi anche di diritti
delle bambine e delle donne, per cambiare un atteggiamento profondamente radicato
nelle culture di questa regione del mondo. Sappiamo benissimo per esperienza non solo
degli ultimi anni, ma anche del passato, che cambiare questi trend culturali profondi
in una società è estremamente difficile. Il lavoro puramente repressivo o puramente
legislativo ottiene risultati apparenti ed il fenomeno riemerge in un’altra forma.
Il trend culturale ad avere solo figli maschi a fronte anche di una tendenza dei governi,
poi, a contenere le nascite, ha portato all’infanticidio selettivo.
D.
– Quindi, una sfida da tenere ben presente nei programmi dell’Unicef e delle Nazioni
Unite?
R. – Sì. Ma lo sappiamo benissimo, è un po’ quello che è successo
anche con le mutilazioni genitali femminili: le politiche puramente repressive non
servono a niente. Paradossalmente, anche in realtà di estrema povertà – non è il caso
dell’India, che è un Paese economicamente emergente – ma in tutte queste realtà occorre
lavorare dall’interno delle comunità, dall’interno delle culture e cambiare i valori
di riferimento. Altrimenti ci troveremo sempre di fronte ad un problema che oggi ha
la forma dell’aborto selettivo, in altri periodi ha avuto – ed ha tuttora negli Stati
più poveri dell’India – la forma, ad esempio, di un minore ricorso alle cure sanitarie
per le figlie femmine rispetto ai figli maschi. Abbiamo colmato in larga parte il
gap nell’istruzione: oggi, sempre più bambine vanno a scuola, e la forbice tra maschi
e femmine si sta colmando, in tutto il mondo. Ma ci sono aspetti più profondi, più
interni e anche meno pubblicamente discussi. Il problema è che di queste cose non
si parla, in queste società; bisogna incominciare a parlarne!. (gf)