2011-05-24 15:11:47

Il 30 maggio, convegno al Policlinico Gemelli sui disturbi da ADHD che colpisce il 3% dei bambini


Si conclude stasera un convegno sulle Nuove prospettive nell’ADHD, Attention Deficit Hyperactivity Disorder, cioè "Disturbo da deficit di attenzione, iperattività e impulsività". L’incontro è promosso dalla Sinpia, la Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, e avrà luogo presso l’Aula Brasca del Gemelli. Saranno presenti i Gruppi di Studio Sinpia dell’Università di Tor Vergata, il Policlinico Universitario Agostino Gemelli, l’Università degli Studi de L’Aquila, l’Azienda Sanitaria Roma B e l’Ospedale Sandro Pertini. Eliana Astorri ha domandato alla prof.ssa Maria Giulia Torrioli, associato di neuropsichiatria infantile del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma, in cosa consista questo disturbo e come sia possibile curarlo:RealAudioMP3

R. – Le caratteristiche di questo disturbo sono una iperattività, cioè una difficoltà del bambino a rimanere fermo a lungo, alla quale si unisce una impulsività: sono bambini che agiscono prima di aver pensato. Inoltre, a ciò si aggiunge una distraibilità: non sono bambini che non riescono a concentrarsi, ma che non riescono a mantenere a lungo la concentrazione. Sono spesso anche bambini molto intelligenti e brillanti - non sempre naturalmente - e molto intuitivi: si rendono conto in pochi secondi di tutto quello che li circonda e proprio perché non c’è un filtro nella loro attenzione prestano attenzione a tutto e quindi non riescono a concentrarsi su una determinata cosa. Questo, ovviamente, nei compiti scolastici è fonte di grandi difficoltà. Per fare una diagnosi di ADHD è indispensabile che, oltre a esserci questi comportamenti, vi sia un disagio nel bambino e nell’ambiente che lo circonda.

D. – Quindi una diagnosi si basa su questo tipo di comportamenti quando è portato all’eccesso?

R. – All’eccesso e a un disagio. Sono bambini che nessuno vuole a casa propria, che spesso neanche i nonni sopportano. Sono bambini che non vengono invitati alle feste. Non sto parlando di un disturbo lieve, ma di qualcosa che incide pesantemente sulla qualità di vita del bambino.

D. – Si è a conoscenza delle cause che provocano questo disturbo?

R. – Parzialmente. Sappiamo che sono cause biologiche e che ci si nasce, anche se qualche volta può essere una problematica acquisita. Oltre che essere da danno neurologico, molto spesso è genetico: il 40 per cento dei genitori dei bambini ADHD è stato a sua volta un ADHD, più o meno riconosciuto. Si sa che ci sono differenze maturative - e alle volte non solo maturative - nello sviluppo di alcune particolari aree del cervello.

D. – Una volta emessa la diagnosi cosa si fa, come si cura il bambino?

R. – La prima cosa da fare è spiegare al bambino e alla famiglia che cosa sta succedendo. Questo primo tipo di intervento è spesso molto utile, perché se il bambino si rende conto che non è cattivo - se io posso spiegare alla maestra che probabilmente basta lasciar fare al bambino un giretto ogni ora perché lui si comporti meglio, posso avere già ottimi risultati. Se questo non è sufficiente a ridurre in maniera importante il disagio che il bambino lamenta, c’è un altro tipo di intervento, sempre non farmacologico, che può essere fatto e che è un intervento cognitivo comportamentale: cioè, si cerca di aiutare il bambino a controllare la sua impulsività e a migliorare i tempi di attenzione. Se anche tutto questo non è sufficiente, allora si ricorre ai farmaci. Invece, per trattare le complicanze dell’ADHD - nel senso che ci possono essere disturbi specifici di apprendimento, disturbo oppositivo-provocatorio, sono diversi - l’intervento dovrà essere sia sui sintomi cardine dell’ADHD, con un intervento farmacologico o non farmacologico, sia sulla comorbidità, quindi con un intervento riabilitativo o psicoterapico, a seconda di quale sia il problema che ogni bambino presenta. (bf)







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