2011-05-23 15:17:55

Tony Banks dai Genesis alla grande orchestra


Riceviamo e volentieri pubblichiamo dal compositore Massimo Buffetti:
Firenze, 17 maggio 2011
Tony Banks, Seven e ‘New Music’ di Marco Di Battista
Sono stato contento di ascoltare Seven di Tony Banks e per questo ringrazio Marco Di Battista e la sua ‘New Music’.
Tony Banks è quasi un mio coetaneo, una generazione prima forse……e quindi ricorda gli anni divertiti della profonda gioventù. Non posso dire che i Genesis siano stati il mio mito, sebbene li abbia sempre molto apprezzati, ma Firth of Fifth , per fare solo un esempio, resta ancora oggi un ‘cult’ e i ragazzi di oggi continuano a voler conoscere e apprendere questo tipo di musica (credo di parlare con cognizione di causa, occupandomi, oltre che di composizione, anche di pianoforte moderno sia nella professione che a livello didattico).
Quindi un Tony Banks alle prese con le così dette ‘grandi forme’ mi incuriosiva. Volevo capire quelle particolari strutture formali che caratterizzavano i pezzi di allora in cosa potevano essersi trasformate ed evolute nel frattempo. Capire quale era diventato il suo pensiero con il passare degli anni.
Devo ammettere, subito dopo aver terminato l’ascolto ho pensato: se avessi scritto una composizione di quel tipo, probabilmente non avrei mai avuto il piacere di ascoltarla, e lo dico con ammirazione e forse, ahimè, anche con una punta di invidia.
Ci voleva l’importanza del suo Nome, temo……
Intendo dire, forse, e sottolineo il ‘forse’ che si tratta di musica che non aggiunge niente a quanto già espresso in certi ambiti già nella prima metà del secolo scorso, penso a certo Nord Europa o anche forse a certa Nord America, sebbene, a mio avviso, si tratti tuttavia di musica ben orchestrata e ben architettata. Certi spunti li ho anche trovati significativi, come ad esempio il secondo movimento.
Magari ci si poteva aspettare un qualcosa che riprendesse e sviluppasse, evolvendolo, lo stesso tipo di discorso iniziato da Bank stesso a suo tempo, chissà…, o magari un qualcosa di più marcatamente personale, forse un po’ come per certi versi mi sembra abbia fattoun Frank Zappa ai tempi delle sue divagazioni ‘colte’.
Del resto Banks il suo lo aveva già fatto ai tempi dei Genesis e non si è certo trattato di poca cosa a giudicare dalle ore che i ragazzini di oggi passano ad imparare i suoi pezzi al pianoforte. Non gli si può certo chiedere di rivoluzionare anche l’odierno sistema appartenente alla musica cosìddetta colta ( mi si vorrà perdonare l’orribile termine), ma non perché la cosa non gli competa, ma semplicemente perché forse certe energie le ha già spese.
Però si rafforza in me l’impressione che il segno lasciato a suo tempo con gli album storici pubblicati dai Genesis è il frutto comunque di una mente ‘capace’, anzi di più di una mente ‘capace’, visto anche il modo in cui un Peter Gabriel ha saputo evolversi, continuando una ricerca in campo musicale attraverso la quale ha anche saputo contribuire all’apertura di spazi preziosi per realtà musicali significative provenienti da mondi diversi e spesso dimenticati.
Comunque onore al merito di essersi messo lì a divertirsi concependo comunque un qualcosa di rispettabile. C’è anche chi non riesce a ‘liberarsi’ da se stesso e finisce con gli anni per diventare una insopportabile ripetitiva e nauseabonda caricatura del proprio personaggio, assomigliando sempre più a un fantoccio (senza fili, per giunta).
Banks invece ‘sforna’ pur sempre un Seven, mentre Gabriel reinterpreta i suoi brani con un’orchestra sinfonica, operazione questa comune a molti in questi ultimi tempi, e forse anche di moda, per chi può permetterselo, magari ad una certa età.
Però l’esperienza di Gabriel in questo senso non mi sembra così banale. La trovo assolutamente vera e da non confondersi con quella di altri artisti non meno noti, appartenenti all’area moderna, popolare.
Quindi ben vengano certi tentativi e lo spazio per la loro diffusione. Non dico che quello che avviene oggi nel campo della musica più popolare o commerciale sia tutto da buttare, però:
non è che da una trentina di anni a questa parte si stia rischiando di ripetere sempre le stesse cose? Non è che forse i ragazzi se ne rendono perfettamente conto perché poi non sono così scemi, anche se non studiano per decine di anni in conservatori e accademie?
In fondo, come ricordava Carlo Prosperi (1921-1990), compositore fiorentino, allievo e amico di Dallapiccola, scrivere una bella canzone non è certo meno difficile che scrivere un qualunque altro pezzo di buona musica a qualunque livello lo si voglia pensare.
Lo sforzo nel saper cogliere il ‘nocciolo’ della bellezza resta lo stesso: difficile, misterioso e inafferrabile al tempo stesso ed è quella la cosa che conta.
In questo forse abbiamo molto da imparare da certa mentalità americana e lo dico da profondo ammiratore e devoto della cultura ‘Mittleeuropea’.
Massimo Buffetti
Composer







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