Riceviamo e volentieri pubblichiamo dal compositore Massimo Buffetti: Firenze,
17 maggio 2011 Tony Banks, Seven e ‘New Music’ di Marco Di Battista Sono stato
contento di ascoltare Seven di Tony Banks e per questo ringrazio Marco Di Battista
e la sua ‘New Music’. Tony Banks è quasi un mio coetaneo, una generazione prima
forse……e quindi ricorda gli anni divertiti della profonda gioventù. Non posso dire
che i Genesis siano stati il mio mito, sebbene li abbia sempre molto apprezzati, ma
Firth of Fifth , per fare solo un esempio, resta ancora oggi un ‘cult’ e i ragazzi
di oggi continuano a voler conoscere e apprendere questo tipo di musica (credo di
parlare con cognizione di causa, occupandomi, oltre che di composizione, anche di
pianoforte moderno sia nella professione che a livello didattico). Quindi un Tony
Banks alle prese con le così dette ‘grandi forme’ mi incuriosiva. Volevo capire quelle
particolari strutture formali che caratterizzavano i pezzi di allora in cosa potevano
essersi trasformate ed evolute nel frattempo. Capire quale era diventato il suo pensiero
con il passare degli anni. Devo ammettere, subito dopo aver terminato l’ascolto
ho pensato: se avessi scritto una composizione di quel tipo, probabilmente non avrei
mai avuto il piacere di ascoltarla, e lo dico con ammirazione e forse, ahimè, anche
con una punta di invidia. Ci voleva l’importanza del suo Nome, temo…… Intendo
dire, forse, e sottolineo il ‘forse’ che si tratta di musica che non aggiunge niente
a quanto già espresso in certi ambiti già nella prima metà del secolo scorso, penso
a certo Nord Europa o anche forse a certa Nord America, sebbene, a mio avviso, si
tratti tuttavia di musica ben orchestrata e ben architettata. Certi spunti li ho anche
trovati significativi, come ad esempio il secondo movimento. Magari ci si poteva
aspettare un qualcosa che riprendesse e sviluppasse, evolvendolo, lo stesso tipo di
discorso iniziato da Bank stesso a suo tempo, chissà…, o magari un qualcosa di più
marcatamente personale, forse un po’ come per certi versi mi sembra abbia fattoun
Frank Zappa ai tempi delle sue divagazioni ‘colte’. Del resto Banks il suo lo
aveva già fatto ai tempi dei Genesis e non si è certo trattato di poca cosa a giudicare
dalle ore che i ragazzini di oggi passano ad imparare i suoi pezzi al pianoforte.
Non gli si può certo chiedere di rivoluzionare anche l’odierno sistema appartenente
alla musica cosìddetta colta ( mi si vorrà perdonare l’orribile termine), ma non perché
la cosa non gli competa, ma semplicemente perché forse certe energie le ha già spese.
Però si rafforza in me l’impressione che il segno lasciato a suo tempo con gli
album storici pubblicati dai Genesis è il frutto comunque di una mente ‘capace’, anzi
di più di una mente ‘capace’, visto anche il modo in cui un Peter Gabriel ha saputo
evolversi, continuando una ricerca in campo musicale attraverso la quale ha anche
saputo contribuire all’apertura di spazi preziosi per realtà musicali significative
provenienti da mondi diversi e spesso dimenticati. Comunque onore al merito di
essersi messo lì a divertirsi concependo comunque un qualcosa di rispettabile. C’è
anche chi non riesce a ‘liberarsi’ da se stesso e finisce con gli anni per diventare
una insopportabile ripetitiva e nauseabonda caricatura del proprio personaggio, assomigliando
sempre più a un fantoccio (senza fili, per giunta). Banks invece ‘sforna’ pur
sempre un Seven, mentre Gabriel reinterpreta i suoi brani con un’orchestra sinfonica,
operazione questa comune a molti in questi ultimi tempi, e forse anche di moda, per
chi può permetterselo, magari ad una certa età. Però l’esperienza di Gabriel in
questo senso non mi sembra così banale. La trovo assolutamente vera e da non confondersi
con quella di altri artisti non meno noti, appartenenti all’area moderna, popolare.
Quindi ben vengano certi tentativi e lo spazio per la loro diffusione. Non dico
che quello che avviene oggi nel campo della musica più popolare o commerciale sia
tutto da buttare, però: non è che da una trentina di anni a questa parte si stia
rischiando di ripetere sempre le stesse cose? Non è che forse i ragazzi se ne rendono
perfettamente conto perché poi non sono così scemi, anche se non studiano per decine
di anni in conservatori e accademie? In fondo, come ricordava Carlo Prosperi (1921-1990),
compositore fiorentino, allievo e amico di Dallapiccola, scrivere una bella canzone
non è certo meno difficile che scrivere un qualunque altro pezzo di buona musica a
qualunque livello lo si voglia pensare. Lo sforzo nel saper cogliere il ‘nocciolo’
della bellezza resta lo stesso: difficile, misterioso e inafferrabile al tempo stesso
ed è quella la cosa che conta. In questo forse abbiamo molto da imparare da certa
mentalità americana e lo dico da profondo ammiratore e devoto della cultura ‘Mittleeuropea’.
Massimo Buffetti Composer