2011-05-21 15:36:59

Festival di Cannes: dieci minuti di applausi per Paolo Sorrentino


A un giorno dalla conclusione del Festival di Cannes, si possono tirare le somme e non sono sicuramente entusiasmanti per quello che viene considerato a giusto titolo il più importante avvenimento cinematografico del mondo. A fronte della presenza di qualche bel film, il programma della competizione ufficiale, nonostante le buone premesse e i grandi nomi, ha un po’ deluso. Se qualcosa di buono è lecito attendersi da “La source des femmes” di Radu Mihaileanu in programma questa sera, in queste ultime battute i grandi film latitano. Con “La piel que abito”, Pedro Almodovar mette insieme i pezzi delle sue personali ossessioni, gli spunti di una cinefilia mal digerita e il consueto spirito iconoclasta, per raccontare la storia di un chirurgo plastico in preda alla follia e quella di una sua vittima, un giovane trasformato in donna per soddisfare la sua sete di vendetta. Il film rinvia a un autore classico come Franju, alle atmosfere del genere horror e all’attrazione verso la femminilità del regista spagnolo, ma lo fa senza quella necessaria distanza che caratterizzava i film di qualche anno fa, dove la malinconia del mélo e l’umorismo della commedia si fondevano in maniera quasi perfetta. Anche “Drive” di Nicolas Winding Refn, storia di un geniale pilota alle prese col sottobosco criminale di Los Angeles, pur rivelando le buone potenzialità espressive del suo regista, si riduce a un film di genere, dove il numero spettacolare dell’inseguimento automobilistico si alterna allo splatter dei corpi massacrati e i buchi di sceneggiatura non sono compensati dalla brillantezza della messa in scena. In tal senso molto meglio si rivelano “Ichimei” di Takashi Miike e “This must be the place” di Paolo Sorrentino. Il regista giapponese, autore di culto fra i cinefili dell’ultima generazione per i suoi film estremi, allo stesso tempo violentissimi e astratti, prende tutti in contropiede con un lavoro di grande rigore formale. Al centro del film una storia di samurai poveri, che in tempo di pace non sanno più cosa farsene dell’abilità guerriera. Costretti a mendicare, per non perdere onore e rispetto, s’inventano la pantomima del suicidio rituale, che consiste nel chiedere a un feudatario di potere fare harakiri per sfuggire alla loro condizione. Di solito i signori s’impietosiscono e loro ne ricavano qualche moneta che gli permette di sopravvivere senza perdere la faccia. Ma la cosa diventa un’abitudine e ben presto i potenti si stancano del gioco. Così quando un giovane sprovveduto con moglie e figlio malati, cerca di ricorrere allo stesso artificio, egli è costretto davvero ad uccidersi. Rispettoso dell’iconografia tradizionale, dalla pittura alle architetture in cui si svolge l’azione, Takashi applica allo spirito della tradizione e del genere quella furia distruttiva che abitualmente esercita sui corpi dei suoi protagonisti; e, così facendo, rende cosciente lo spettatore della vuota retorica del potere. Se Takashi affascina e costerna, Sorrentino coinvolge tutti con una strana storia di formazione. Ne è protagonista una vecchia rockstar col fisico intaccato dagli abusi di droghe e lo spirito fiaccato dal senso di colpa. Un tempo fu giovane e ribelle, in continua lotta contro il mondo. Oggi, ricco e solitario, vive osservando la gente da lontano. Ma poi il mondo lo richiama a sé, costringendolo a un confronto con la figura del padre, con le sue origini, con la sua storia. Dalla verde Irlanda prende così il via un lungo viaggio sulla strada, attraverso l’America, in compagnia di personaggi bizzarri e della musica dei Talking Heads che dà il titolo al film. Sorrentino vi conferma tutto il bene che si dice di lui: perfetto controllo della messa in scena, empatia coi personaggi, battute sorprendenti e una sorta di energia benevola che trascina tutti, personaggi e spettatori, sulle strade del mondo. (Da Cannes, Luciano Barisone) RealAudioMP3







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