Mons. Vegliò: unire le forze contro la tratta di essere umani
“Building Bridges of Freedom”, “Costruire ponti di libertà”: è il titolo di una conferenza
internazionale sulla lotta al traffico di persone, in corso al Palazzo vaticano della
Cancelleria a Roma, per iniziativa dell’ambasciata degli Stati Uniti presso la Santa
Sede e dell’Università cattolica St. Thomas di Miami. L’evento è stato aperto dagli
interventi dell’arcivescovo Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio
per i Migranti e gli Itineranti e dell’ambasciatore statunitense presso la Santa Sede,
Miguel H. Diaz. Il servizio di Alessandro Gisotti:
Possano le
persone sfruttate riprendere il possesso delle proprie vite, possano i trafficanti
essere toccati dalla sofferenza delle vittime. Si è aperta con questa toccante invocazione
dell’arcivescovo Antonio Maria Vegliò la conferenza “Costruire ponti di libertà”,
un evento che riunisce, per una giornata, esponenti di diverse fedi, docenti universitari,
rappresentanti di Ong, ma anche politici ed imprenditori, a sottolineare la complessità
dell’impegno per sradicare la piaga della tratta di esseri umani. L’ambasciatore americano
presso la Santa Sede, Miguel H. Diaz, ha evidenziato come questo sia purtroppo un
fenomeno globale che necessita dunque una risposta concertata a più livelli. Un’esigenza
di partnership richiamata anche dall’ambasciatore Luis CdeBaca, consigliere del presidente
Obama per la lotta al traffico di persone. Nel suo intervento, in cui ha più volte
citato il Concilio Vaticano II, il diplomatico ha messo l’accento sul contributo delle
comunità religiose in difesa e sostegno delle vittime dello sfruttamento ed ha rammentato
come storicamente la fede sia sempre stata una forza contro la schiavitù. Particolarmente
significativa al riguardo è stata la testimonianza di suor Estrella Castalone, coordinatrice
di "Talitha Kum", rete internazionale di religiose contro la tratta, un’associazione
impegnata in cinque continenti che - ha detto suor Castalone - vuole innanzitutto
testimoniare l’amore di Gesù verso gli ultimi. La conferenza, che nel pomeriggio s’incentrerà
sul ruolo della società civile in questa battaglia di civiltà, si concluderà con l’intervento
di mons. Franklin Casale, presidente della St. Thomas University di Miami, ateneo
cattolico da anni impegnato nella formazione di esperti in diritti umani.
Sulle
strategie per “costruire ponti di libertà” volte a contrastare il fenomeno della tratta
di essere umani, Alessandro Gisotti ha intervistato l’arcivescovo Antonio
Maria Vegliò, presidente del dicastero vaticano per i Migranti:
R. - Un aspetto
molto interessante di questa conferenza è la cooperazione tra i diversi partecipanti:
appartenenti a varie fedi, industrie e multinazionali, la società civile e il mondo
politico. Insieme è possibile fare la differenza. La tratta di essere umani può essere
combattuta attraverso un approccio basato sul rispetto dei diritti umani, che tenga
conto della triste diffusione del fenomeno in tutto il mondo. Il traffico degli esseri
umani è un problema molto vasto, che riguarda il lavoro forzato - come per esempio
nell’ambito dell’agricoltura, dove da diversi anni sussiste un certo tipo di schiavitù
per la raccolta dei pomodori nel Sud Italia. Tuttavia, ciò capita anche in Germania
nella manovalanza del settore edile, oppure nel sistema sanitario in Gran Bretagna.
Una gravissima forma di tratta riguarda ancora la situazione dei bambini soldato,
così come ad esempio lo sfruttamento dei minori nella produzione dei palloni da calcio
o nella lavorazione dei tappeti. Più noto è lo sfruttamento sessuale delle donne obbligate
a mercificare il proprio corpo da uomini coinvolti nella criminalità. Un’altra forma,
ben conosciuta in Asia, riguarda lo sfruttamento del lavoro legato all’indebitamento
della povera gente, costretta con i propri bambini a lavorare in situazioni di schiavitù.
La conferenza di oggi si impegna a trovare strategie comuni atte a contrastare tale
fenomeno. Si studierà come coinvolgere le diverse comunità di fede, come controllare
la destinazione dei nostri investimenti e l’utilizzo che ne fanno le banche – relativamente
al tema dell’etica sugli investimenti –, e come i governi possano proteggere le vittime,
introducendo legislazioni per tutelarle e mettendo i loro interessi al primo posto,
punendo i criminali e confiscando profitti finanziari ottenuti illegalmente nella
tratta di esseri umani.
D. - Le vittime della tratta sono sempre i
più deboli, spesso sono proprio i migranti. Cosa sta facendo il suo Dicastero per
contrastare questa piaga?
R. - Parte del lavoro di questo Dicastero
è rivolto a sensibilizzare l’opinione pubblica e a creare consapevolezza nelle Chiese
locali. Nel passato abbiamo organizzato diverse conferenze sulla lotta alla prostituzione
e allo sfruttamento sessuale nelle strade. Abbiamo preparato un questionario specifico
su questo problema per i vescovi che fanno visita al nostro Dicastero. Le Chiese locali
sempre più si pronunciano su questo grave problema e sono state pubblicate diverse
lettere pastorali sulla prostituzione forzata. In particolare, i vescovi delle Filippine
hanno fatto una Dichiarazione contro la vendita di organi, la Conferenza episcopale
di Nigeria ha dedicato una lettera pastorale a questi problemi nel Paese, mentre l’episcopato
del Sud Africa ha rivolto nel 2006 particolare preoccupazione alla tratta internazionale
di donne e bambini in Botswana, Sud Africa e Swaziland. In Kenya la Conferenza episcopale
cerca di diffondere la conoscenza del problema con volantini e dibattiti periodici.
Nel mondo le più attive in questo ambito sono le Congregazioni internazionali di religiose.
Queste si adoperano per quanto riguarda l’assistenza, il ritorno e la reintegrazione
delle vittime della tratta. È stata creata una rete internazionale chiamata "Talitha
Kum".
D - Quanto è importante l’aspetto culturale, il cambio di mentalità
della gente che spesso guarda con indifferenza alla tratta di essere umani?
R.
– Come scritto da Benedetto XVI nell’Enciclica “Spe Salvi”: “La misura dell’umanità
si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo
vale per il singolo come per la società”. La diffusa indifferenza esiste in parte
perché non è possibile immaginare cosa significhi essere gravemente sfruttati. Infatti,
lo sfruttamento è un fenomeno nascosto, invisibile. È la nostra mentalità che deve
cambiare. Per questo, è importante per esempio conoscere le circostanze in cui vengono
fabbricati i prodotti che acquistiamo.A volte non vogliamo
sapere, o semplicemente ignoriamo, ciò che accade. Gli articoli di abbigliamento,
venduti da molti negozi, molte volte sono prodotti in condizioni di sfruttamento.
Si potrebbe introdurreun’etichettaper indicare
se il capo è stato realizzato senza sfruttamento del lavoratore e quindi rientra nell'etica
del commercio equo e solidale. L’etichettatura funziona, come abbiamo visto
nell’industria del cacao e del cioccolato, dove è entrato in funzione il cosiddetto
Protocollo Harkin-Engel, sostenuto dalla Fondazione Mondiale del Cacao e dall’Associazione
Manifatturieri Cioccolato. Esso obbligal'industriaacombatterele forme peggioridilavoro
minorile. Tutto ciò comporta un costo più alto, siamo dispostiapagarlo?È anchevero,
comunque,che esiste una differenzatra il cattivo
comportamento del datore di lavoroe le
situazioni di schiavitù. Nontuttigli
abusiin materiadilavoroe
servizi, infatti, possono essereconsiderati traffico
di esseri umani.La Commissioneper il Lavorodella Conferenza episcopalecattolicadell'India
si è assunta l’impegno di contrastare il lavoro legato al debito - che
ancora sussiste in alcune tradizioni. Come affermato da Papa Benedetto
XVI: “Nuovi problemi e nuove schiavitù, infatti, emergono nel nostro tempo ... La
Chiesa deve rinnovare costantemente il suo impegno di portare Cristo, di prolungare
la sua missione messianica per l’avvento del Regno di Dio, Regno di giustizia, di
pace, di libertà, di amore”.