Il Papa: Dio è amore che perdona, ma ha bisogno di cuori aperti al bene per salvare
l'uomo dal male
La preghiera ha in sé una forza divina capace di salvare anche l’uomo più iniquo e
di interrompere “la spirale del peccato”. Lo ha affermato Benedetto XVI, che questa
mattina, all’udienza generale in Piazza San Pietro, ha riflettuto sulla figura di
Abramo e sulla sua capacità di intercedere presso Dio per la salvezza dell’umanità.
Il Papa ha pregato perché anche oggi le città e i loro abitanti si aprano a Dio, sconfiggendo
la “tristezza” che deriva dalla sua assenza. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Quella che
il Papa racconta, in una catechesi tanto profonda quanto coinvolgente, è la storia
della forza della preghiera di intercessione, da Abramo a Gesù. Dopo aver introdotto
per due mercoledì consecutivi il nuovo ciclo di meditazioni dedicato alla preghiera
come “fenomeno universale”, perché presente in ogni cultura, Benedetto XVI prende
le mosse da un episodio che vede protagonista il grande patriarca ebreo, “padre di
tutti i credenti”. La scena è quella del capitolo 18 della Genesi: Dio è pronto a
distruggere gli abitanti di Sodoma e Gomorra per la loro malvagità, Abramo gli sta
davanti e lo supplica con coraggiosa insistenza: davvero, chiede, Dio sterminerà insieme
i giusti con i colpevoli? Davvero il Giudice giusto sarà così ingiusto da non voler
perdonare le città per intero, se in esse vi si trovassero anche solo 50 innocenti?
Con queste parole, afferma il Papa, “Abramo mette davanti a Dio la necessità di evitare
una giustizia sommaria”. Di più, appellandosi in quel modo a Dio, Abramo non si limita
a intercedere per gli innocenti, ma per tutti:
“Così facendo, mette
in gioco una nuova idea di giustizia: non quella che si limita a punire i colpevoli,
come fanno gli uomini, ma una giustizia diversa, divina, che cerca il bene e lo crea
attraverso il perdono che trasforma il peccatore, lo converte e lo salva. Con la sua
preghiera, dunque, Abramo non invoca una giustizia meramente retributiva, ma un intervento
di salvezza che, tenendo conto degli innocenti, liberi dalla colpa gli empi, perdonandoli”.
Il pensiero di Abramo, rileva Benedetto XVI, “sembra quasi paradossale”
e si potrebbe sintetizzare così: non si possono trattare gli innocenti come i colpevoli,
perché “questo sarebbe ingiusto”…
“…bisogna invece trattare i colpevoli
come gli innocenti, mettendo in atto una giustizia ‘superiore’, offrendo loro una
possibilità di salvezza, perché se i malfattori accettano il perdono di Dio e confessano
la colpa lasciandosi salvare, non continueranno più a fare il male, diventeranno anch’essi
giusti, senza più necessità di essere puniti”.
La giustizia di Dio
è “superiore” perché Dio non è la punizione, ma la misericordia. Abramo lo sa e quindi,
osserva Benedetto XVI, non chiede a Dio qualcosa che è contro la sua giustizia, ma
“bussa” al suo cuore, anzi scava “negli abissi della misericordia divina” osando di
più, strappando quasi a Dio la possibilità di salvezza per Sodoma e Gomorra anche
solo con dieci giusti, perché sa che il desiderio di Dio è sempre quello di “salvare,
dare vita, trasformare il male in bene”:
“Con la sua supplica, Abramo
sta prestando la propria voce, ma anche il proprio cuore, alla volontà divina: il
desiderio di Dio è misericordia, amore e volontà di salvezza (…) Con la voce della
sua preghiera, Abramo sta dando voce al desiderio di Dio, che non è quello di distruggere,
ma di salvare Sodoma, di dare vita al peccatore convertito”.
Purtroppo,
ricorda il Papa, neanche dieci giusti vengono trovati in Sodoma e Gomorra e le città
finiscono distrutte. Dio è buono, dice, ma ha bisogno “di una piccola particella di
bene da cui partire per salvare un grande male”, una “trasformazione dall’interno,
un qualche appiglio di bene” per tramutare “l’odio in amore, la vendetta in perdono”.
Per rintracciare “dentro la realtà malata” quel “germe di bene che può risanare e
dare la vita”:
“Che nelle nostre città si trovi il germe di bene;
che facciamo di tutto perché siano non solo dieci i giusti, per far realmente vivere
e sopravvivere le nostre città e per salvarci da questa amarezza interiore che è l’assenza
di Dio”.
Questa storia ha un epilogo straordinario. Se per Sodoma
e Gomorra la salvezza poteva dipendere dalla presenza di dieci giusti, più avanti
per Gerusalemme – come dirà il profeta Geremia – sarà sufficiente anche un solo giusto
per essere salvata. “Il numero – nota Benedetto XVI – è sceso ancora, la bontà
di Dio si mostra ancora più grande. Eppure questo ancora non basta, la sovrabbondante
misericordia di Dio non trova la risposta di bene che cerca e Gerusalemme cade sotto
l’assedio del nemico”:
“Bisognerà che Dio stesso diventi quel giusto.
E questo è il mistero dell’Incarnazione: per garantire un giusto Egli stesso si fa
uomo (…) il Giusto definitivo, il perfetto Innocente, che porterà la
salvezza al mondo intero morendo sulla croce, perdonando e intercedendo per coloro
che ‘non sanno quello che fanno’. Allora la preghiera di ogni uomo troverà la sua
risposta, allora ogni nostra intercessione sarà pienamente esaudita”.
Al
termine delle catechesi nelle varie lingue, il Papa ha salutato i sacerdoti giunti
al temine dei loro studi nelle varie Università Pontificie di Roma, esortandoli –
una volta tornati nei loro Paesi d’origine - a “mettere a frutto l'esperienza culturale
e di comunione sacerdotale” maturata negli anni di preparazione. Altri saluti particolari
hanno raggiunto i diaconi del Collegio Urbano di Propaganda Fide e i religiosi della
Congregazione del Santissimo Sacramento e dei Missionari Monfortani, riuniti in Capitolo
generale. Da questi incontri, ha auspicato Benedetto XVI, possa scaturire per entrambi
gli Istituti “un rinnovato ardore religioso per servire con gioia il Vangelo”.
Dopo
l’udienza generale il Papa ha ricevuto, in una delle salette adiacenti l’Aula Paolo
VI, il nuovo segretario della Lega Araba, Nabil al-Arabi, che poi ha incontrato anche
il segretario per i Rapporti con gli Stati, mons. Dominique Mamberti.