Istruzione "Universae Ecclesiae" per l'applicazione del "Summorum Pontificum" sulla
liturgia preconciliare
Fornire alla Chiesa una serie di norme per regolare la celebrazione della Messa in
latino, secondo il rito in vigore fino al 1962, che a tutt’oggi è considerato una
“ricchezza” della Liturgia romana. È questo il motivo di fondo dell’Istruzione Universae
Ecclesiae, resa nota oggi dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei e scritta
per disciplinare l’applicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto
XVI, pubblicato nel 2007. Il servizio di Alessandro De Carolis:
La parte
introduttiva dell’Istruzione Universae Ecclesiae chiarisce in modo semplice
e immediato i suoi scopi: nella Chiesa esistono gruppi di fedeli, e sono “in aumento”,
i quali, essendosi “formati allo spirito delle forme liturgiche precedenti al Concilio
Vaticano II”, desiderano ancora oggi “conservare la tradizione antica”, cioè la facoltà
di poter celebrare la Messa o altri Sacramenti secondo i canoni in vigore fino al
1962, quelli contenenti gli ultimi aggiornamenti apportati da Giovanni XXIII e contenuti
nel Missale Romanum del tempo. Il complesso di questi riti del passato non è mai stato
abolito né in qualche modo rinnegato dalla Chiesa post-conciliare, che invece considera
tuttora le antiche formule una sua grande “ricchezza”, da “conservare con il debito
onore”. Il fatto è che – una volta entrata in vigore la riforma liturgica del Vaticano
II con il nuovo Messale approvato da Paolo VI nel 1970 – mancava una normativa dettagliata
che disciplinasse l’uso del vecchio ed è per questo che Benedetto XVI, spiega l’Istruzione,
ha scritto nel 2007 il Motu Proprio Summorum Pontificum: proprio per “colmare”
questa lacuna giuridica.
Circa il fatto della coesistenza della forma
liturgica antica (che la Chiesa chiama forma extraordinaria) accanto a quella
attuale (la forma ordinaria), il Papa si era espresso con chiarezza già tre
anni fa, nella Lettera con la quale aveva accompagnato il Motu Proprio. Anche l’Istruzione
Universae Ecclesiae, che porta la data del 30 aprile 2011, cita le sue parole:
“Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Messale Romano. Nella
storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le
generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere
improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso”. Né vi è alcuna
incongruenza sul fatto che l’Istruzione della Commissione Ecclesia Dei detti le regole
per l’applicazione del Motu Proprio a distanza di oltre tre anni. Il direttore della
Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, spiega in una nota che ciò era stato
previsto dal Papa stesso, il quale nel 2007 aveva per l’appunto invitato i vescovi
a scrivere “tre anni dopo l’entrata in vigore” del Motu Proprio, segnalando eventuali
“difficoltà”, alle quali si sarebbero cercate vie di “rimedio”.
Ciò
detto, e dopo aver ricordato i compiti e i doveri della Commissione Ecclesia Dei,
incaricata di sovrintendere alla corretta applicazione del Summorum Pontificum,
i numeri dal 12 al 35 dell’Istruzione stabiliscono cosa fare nel caso in cui esistano
in diocesi o parrocchie dei “gruppi di fedeli stabili,” che chiedano di celebrare
secondo le antiche liturgie latine. Anzitutto, si legge, i vescovi hanno il compito
di “adottare le misure necessarie per garantire il rispetto della forma extraordinaria
del Rito Romano”. Anche i singoli sacerdoti, parroci o rettori, sono esortati a uno
“spirito di generosa accoglienza” nel valutare la richiesta di tali gruppi. Tuttavia,
si specifica al n. 16, nel caso in cui un sacerdote si presenti occasionalmente in
una parrocchia e chieda di celebrare in latino, il parroco o comunque il responsabile
della Chiesa “ammettano – si afferma – tale celebrazione”. Dal canto loro, i gruppi
di fedeli che chiedono di poter celebrare secondo l’uso antico in una chiesa parrocchiale,
in un oratorio o in una cappella, possono essere costituiti anche da persone provenienti
“da diverse parrocchie o diocesi”. Al contrario (n. 19), vieta che questi fedeli appartengano
o sostengano gruppi “contrari alla validità o legittimità della Santa Messa o dei
Sacramenti celebrati nella forma ordinaria” e che si dichiarino contro il Papa “come
Pastore Supremo della Chiesa universale”.
L’Istruzione ricorda, fra
l’altro, che la possibilità di celebrare in forma extraordinaria è estesa ai “santuari
e ai luoghi di pellegrinaggio”; che i suddetti gruppi di fedeli possono richiederla
per la celebrazione del Triduo pasquale e anche che è possibile utilizzarla per il
rito della Cresima e in alcuni casi per l’ordinazione sacerdotale. La normativa individua
pure nella “conoscenza basilare” della lingua latina una delle caratteristiche che
rendono “idoneo” il sacerdote a celebrare secondo le antiche formule, e sollecita
quindi i seminari a dotare i futuri presbiteri di una “preparazione adeguata” in materia.
Altre norme disciplinano l’uso dei libri liturgici e del breviario, della celebrazione
della Messa cosiddetta “senza popolo”, delle letture della Messa che, secondo il Messale
del ’62, possono essere proclamate o “esclusivamente in lingua latina”, oppure seguite
dalla traduzione in “lingua vernacola”, o ancora, nelle cosiddette “Messe lette”,
nella sola lingua vernacola.
L’Istruzione stabilisce che in caso di
contrasti, per esempio contro eventuali decisioni adottate da un vescovo contrarie
al Motu proprio, si possa fare ricorso presso la Commissione Ecclesia Dei – ferma
restando, ricorda padre Lombardi nella sua nota, “la possibilità di impugnare ulteriormente
le decisioni della Commissione stessa presso il Tribunale supremo della Segnatura
Apostolica”. A lettura compiuta, chiosa il direttore della Sala Stampa vaticana, “rimane
l’impressione di un testo di grande equilibrio, che intende favorire – secondo l’intenzione
del Papa – il sereno uso della liturgia precedente alla riforma da parte di sacerdoti
e fedeli che ne sentano il sincero desiderio per il loro bene spirituale; anzi, che
intende garantire la legittimità e l’effettività di tale uso nella misura del ragionevolmente
possibile. Allo stesso tempo – conclude padre Lombardi – il testo è animato da fiducia
nella saggezza pastorale dei vescovi, e insiste molto fortemente sullo spirito di
comunione ecclesiale che deve essere presente in tutti – fedeli, sacerdoti, vescovi
– affinché la finalità di riconciliazione, così presente nella decisione del Santo
Padre, non venga ostacolata o frustrata, ma favorita e raggiunta”.