A 30 anni di distanza, due libri indagano sull'attentato in Piazza San Pietro a Papa
Wojtyla
Alla vigilia del trentennale dell’attentato a Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro,
avvenuto il 13 maggio 1981, due libri usciti in questo periodo in Italia ricostruiscono
in modo divergente la trama di una vicenda molto complessa dal punto di vista giudiziario
e internazionale. Il primo volume che vi presentiamo, scritto da due giornalisti –
Marco Ansaldo, vaticanista del quotidiano "La Repubblica", e Yasemīn Taşkin, corrispondente
in Italia del quotidiano turco "Sabah" – s'intitola “Uccidete il Papa – la verità
sull’attentato a Giovanni Paolo II”. La loro tesi sostiene che la paternità dell’attentato
non sia da attribuire al regime ex sovietico di allora – la cosiddetta “pista bulgara”
– bensì a una precisa volontà del movimento eversivo turco dei “Lupi Grigi”, nel quale
militava l’attentatore, Ali Ağca. Alessandro De Carolis ne ha parlato con uno
degli autori del libro, Marco Ansaldo:
R. - Sono
20 anni che lavoriamo al nostro libro, nel senso che soprattutto Yasemin è stata a
contatto con l’attentatore, visto che è una giornalista turca. Ovviamente c’è stato
un rapporto - come posso dire - di fiducia, continuativo e nell’ultimo anno, da quando
lui è stato liberato ed è tornato in Turchia, lo abbiamo incontrato faccia a faccia
tre volte e, naturalmente, abbiamo continuato un po’ a cercare di capire quale fosse
la verità. Lui ci ha detto, ad un certo punto, che tutte le ipotesi, le strade che
sono state seguite fino adesso erano inutili, perché l’attentato è stata una cosa
molto semplice, che è stata complicata dopo dall’intervento di molti servizi segreti
internazionali. Quindi è stato sì un complotto, ma - secondo le nostre ricostruzioni
e i documenti che abbiamo inserito nel libro “Uccidete il Papa” - è stato un complotto
organizzato ed eseguito dai "Lupi Grigi" turchi.
D. - Il motivo per
cui i "Lupi Grigi" avrebbero ordito questo assassinio del Papa qual è sostanzialmente?
R.
- I "Lupi Grigi" vennero usati come manovalanza da parte dell’allora regime militare
- nel 1979 e nell’80 - per atti di sovversione, disordini di piazza, omicidi: erano
gli “anni di piombo turchi”. I militari ebbero buon gioco a organizzare il loro golpe,
il golpe del 1980: a quel punto, però, una volta al potere, si disfecero dei "Lupi
Grigi", che vennero mandati alla forca, come usava allora in Turchia. Allora scapparono,
andarono soprattutto in Francia, in Germania e in Austria e qui - parlo dell’Austria
- si organizzarono per vendicarsi del regime militare, per mostrare di che cosa davvero
potessero essere capaci. A quel punto iniziarono a pensare una serie di obiettivi
di alto livello internazionale e questo è negli atti: la Regina di Inghilterra; la
Thatcher; Breznev; Kurt Waldheim, il segretario generale delle Nazioni Uniti; e la
presidente del Parlamento europeo, Simone Weil. Insieme a questi 5-6 obiettivi venne
messo anche il Papa, che era stato già minacciato da Ali Agca. Quando il Santo Padre
andò nel 1979 in Turchia e fece la sua visita pastorale, ci fu una lettera che l’allora
sconosciuto Memet Ali Agca inviò al quotidiano “Millet”, in cui diceva: “Ucciderò
il capo dei cristiani!”. In quell’occasione non ce la fece, ma Ali Agca ci riprovò
e compì l’attentato veramente un anno e mezzo dopo a Piazza San Pietro. (mg)
Ilario
Martella, giudice istruttore dell’inchiesta della Procura di Roma sull’attentato,
è invece l’autore di “13 maggio ’81. Tre spari contro il Papa”, edito da Ponte alle
Grazie. Il volume, partendo dall’analisi degli atti giudiziari, rafforza la cosiddetta
"ipotesi bulgara", secondo la quale alcuni servizi segreti dell’Europa dell’est ebbero
un ruolo cruciale nell’organizzazione dell’attentato. Il servizio di Michele Raviart:
Ali Agça
non è stato il solo a sparare al Pontefice quel pomeriggio del 13 maggio 1981. È quanto
sostiene il libro-inchiesta del magistrato Ilario Martella, che cerca di fare chiarezza
sulle dinamiche dell’attentato al Beato Giovanni Paolo II e sui veri mandanti di Ali
Agça: ad oggi l’unico riconosciuto giuridicamente responsabile per questo crimine.
Dalla ricostruzione balistica dell’attentato e dall’analisi di video e foto si può
dimostrare come fossero stati tre i proiettili indirizzati al Papa e due le pistole
a sparare. Ilario Martella, autore del volume:
“Tre
colpi sì - ed è indubbio che sia così - perché c’è un documento cinematografico che
attesta che la pistola di Agca ha sparato due colpi soltanto ed evidentemente, quindi,
l’altro è stato sparato dal complice, Oral Celik: tra l’altro questo complice è stato
notato mentre si allontanava dal luogo del delitto da un americano. Ho voluto scrivere
questo libro per accostarmi alla verità e, quindi, la matrice turco-bulgara è la più
accreditabile”.
Un’ipotesi che parte dalle rivelazioni dello stesso
Agça, a volte fumose e fuorvianti, altre invece perfettamente riscontrate dai fatti,
tanto da portare il magistrato Martella al rinvio a giudizio di quattro cittadini
turchi e di tre cittadini bulgari, assolti per insufficienza di prove e coperti dai
silenzi delle istituzioni dei Paesi di oltrecortina. Sviluppi che rafforzano l’idea
di una vasta copertura internazionale alle azioni di Ali Agca. Gian Franco
Svidercoschi, giornalista e vaticanista:
“Come aveva anticipato
il Papa nel suo ultimo libro 'Memorie e Identità', Alì Agca era un assassino prezzolato
e aveva qualcuno dietro che lo aveva istigato. Il problema è sapere chi lo avesse
istigato. Penso che rimanga ancora in piedi, poi avallata indirettamente dal Papa
e ancora più fortemente dal cardinale Dziwisz, il fatto che nell’attentato - risalendo
su per infinite vie misteriose - si dovesse risalire a qualche servizio segreto dell’Est,
se non addirittura il Kgb. Gli alleati sovietici sapevano fare bene le cose, per cui
non si sapeva ufficialmente: però, dopo, la responsabilità era stata loro… (mg)