India: per la polizia false accuse contro i cristiani dietro i massacri in Orissa
e in Karnataka
La polizia indiana ha provato senza ombra di dubbio che erano del tutto false le accuse
scagliate contro i cristiani, pretesto per sferrare la massiccia aggressione che ha
prodotto i massacri negli stati di Orissa e Karnataka nel 2008. Per questo, chiedono
i cristiani indiani, “movimenti come il Vishwa Hindu Parishad (Vhp), responsabili
delle violenze, devono fare pubblica ammenda, e devono restare sotto lo stretto controllo
delle forze dell’ordine, per prevenire nuovi attacchi”. E’ stato così finalmente svelato,
spiega all'agenzia Fides l’organizzazione ecumenica “Global Council of Indian Christians”,
il perverso meccanismo alla radice della violenza anticristiana: diffondere false
accuse per poi scatenare la violenza. Nel caso dei massacri dell’Orissa, i fedeli
furono ingiustamente accusati di aver ucciso il leader estremista indù (appartenente
al Vhp) Laxmanananda Saraswati. Da qui la violenza anticristiana di massa che portò
all’omicidio di oltre 100 fedeli e al saccheggio di case e chiese cristiane. Ma oggi
la polizia afferma di aver raccolto prove inconfutabili sul fatto che i responsabili
sono il leader maoista Sabyasachi Panda e sei complici, dunque le accuse servirono
solo per accendere la scintilla di un’operazione pianificata dal sapore di “pulizia
etnica”. Anche la persecuzione in Karnataka, nello stesso anno, è stata organizzata
facendo leva sugli stessi sentimenti anticristiani, fomentati tramite false accuse.
Oggi, nota il Gcic, esiste il rischio che i colpevoli restino del tutto impuniti:
come sta accadendo per i due uomini che hanno stuprato suor Meena Behra, la religiosa
cattolica violentata a Kandhamal, in Orissa, che sono stati liberati su cauzione.
“I cristiani hanno perso la fiducia nelle forze di polizia locali, che si sono rivelate
complici degli aggressori, assistendo alla violenza senza intervenire” nota il Gcic,
chiedendo che il processo ai due responsabili venga spostato fuori dall’Orissa, presso
una Corte che possa garantire realmente l’imparzialità. (R.P.)