Aborto. Uno studio australiano conferma: la pillola Ru486 non è innocua
La pillola abortiva Ru486 è più pericolosa dell’aborto chirurgico. E’ una delle conclusioni
di uno studio pubblicato in Australia sulla rivista Australian Family Physicians.
L’analisi di quasi 7000 aborti eseguiti nel biennio 2009 2010 – spiegano le autrici
dello studio – indica che il 3,3% delle donne che hanno fatto ricorso all’aborto chimico
nel primo trimestre di gravidanza ha dovuto rivolgersi al pronto soccorso di un ospedale,
contro il 2,2% di chi aveva subito l’intervento chirurgico. Per il presidente dell’Associazione
Scienza e Vita, Lucio Romano, si tratta di una conferma indiscutibile di dati
già noti e ribadisce che “l’aborto è la soppressione di una vita umana e non può mai
essere banalizzato”. Massimiliano Menichetti lo ha intervistato:
R. – Nella
pubblicazione sono riportate in maniera molto specifica le complicazioni della RU486
che, sotto il profilo “percentuale”, sono di gran lunga superiori rispetto a quelle
evidenziate dopo un aborto di tipo chirurgico. Il che rende ragione ulteriormente
- qualora ce ne fosse ancora bisogno - che l’aborto chimico è un aborto estremamente
rischioso. Questo non vuol dire che l’Associazione Scienza e Vita sia a favore dell’aborto
chirurgico rispetto all’aborto chimico: siamo comunque e sempre contro l’aborto. Ma
la banalizzazione che ha portato l’introduzione della Ru486 dell’aborto è estremamente
pericolosa. Vige ancora una cultura - tra donne e tra ginecologi a favore della Ru486
- che il ricorso all’aborto chimico sia innocuo, che non porti effetti collaterali
che sia da preferire. D. - Si aprono spazi per poter modificare
l’assunzione di questa pillola in Italia?
R. – Che si possa rivedere
e riportare in termini di legalità l’assunzione della Ru486, sicuramente sì. Auspichiamo
non solo un ritorno all’ospedalizzazione, ma una rigorosa somministrazione delle due
molecole che deve avvenire in ospedale non a casa. Non credo però che oggi in Italia
si usi la Ru486 in ragione di quello che è stato indicato dal Ministero. Su questo
grava un altro pericolo: si vorrebbe introdurre in Italia la cosiddetta “pillola dei
5 giorni dopo” che non è altro che una molecola che appartiene allo stesso gruppo
farmacologico della Ru486.
D. - Voi ribadite: bisogna applicare quella
parte della legge sull’aborto che in realtà indica alle donne altre alternative …
R.
– Bisogna dare la possibilità a queste donne di poter essere a conoscenza delle vie
alternative all’aborto, quindi di una cultura a difesa e a tutela della vita, e far
capire la gravità dell’intervento che porta alla soppressione di una vita e le cui
ripercussioni si avranno anche psicologicamente nella donna negli anni a venire. Solo
una cultura per la vita può essere la via d’uscita da una spirale che ci porta a cadere
sempre più in basso e a banalizzare un evento che è drammatico. (bf)