Siria: rivolta a Banias per fermare l'avanzata dei carri armati
E’ sempre più grave la situazione in Siria. Secondo l'organizzazione umanitaria locale
Sawasiah, citata dalla tv panaraba al Arabiya, sono circa 800 i morti dall'inizio
delle proteste anti-regime, a metà del marzo scorso. Solo ieri, negli scontri in diverse
località del Paese, la repressione ordinata da Bashar Al Assad aveva provocato oltre
trenta vittime. Oggi poi, alcuni abitanti di Banias hanno formato degli scudi umani
per impedire ai carri armati governativi di giungere fino ai quartieri meridionali
della città. L'esercito di Damasco è entrato stamani all’alba nella località costiera,
dopo che fino a due giorni fa era rimasto a Deraa, la città meridionale dov’è nato
il movimento di protesta. Sui motivi dell’acuirsi della crisi in Siria, Giada Aquilino
ha intervistato il prof. Franco Rizzi, segretario generale dell’Unione delle
Università del Mediterraneo e autore del libro "Mediterraneo in rivolta", edito da
Castelvecchi-Rx:
R. – Si è
arrivati a questo punto perché, secondo me, è una storia che evidentemente non interessa
soltanto la Tunisia e l’Egitto ma ormai tutto il mondo arabo. Vi sono poi delle questioni
che riguardano espressamente la Siria. Quando il 16 aprile Assad è intervenuto pubblicamente,
ha fatto una serie di concessioni: sulla legge riguardante lo stato di emergenza,
sui partiti politici, sulla corruzione e così via. Tutto questo avrebbe potuto in
qualche modo catturare l’opinione pubblica, ma a condizione che la polizia e l’esercito
si fossero comportati diversamente. La polizia e l’esercito hanno invece compiuto
vere e proprie stragi e questo è stato il punto di rottura: la gente non ha più creduto
a quello che diceva Assad.
D. – Perché ad essere presi di mira ora a
Banias sarebbero i quartieri sunniti, dove è più accesa la protesta contro Assad e
contro i clan alawiti suoi alleati?
R. – Bisogna considerare la complessità
della situazione interna in Siria. Ci sono gruppi di etnie diverse, di confessioni
diverse: si va dai curdi agli alawiti, ai cristiani, ai drusi e ai sunniti. La pericolosità
della situazione in Siria, a differenza delle altre crisi, è che si inneschi un processo
tipo quello libanese o quello iracheno. Le concessioni che Assad ha fatto ai sunniti
- per esempio quella di reintegrare le insegnanti che erano state cacciate dalle scuole
perché avevano il niqab, oppure l’aver concesso la cittadinanza a 120 mila curdi -
non sono state sufficienti. Perché nel mondo arabo si è detto: “Basta”!
D.
– Gli Stati Uniti, e non solo, minacciano una forte risposta internazionale; eppure,
Damasco non ferma le repressioni. E’ mancato qualcosa nella comunità internazionale,
fino ad oggi?
R. – La comunità internazionale è una comunità che vive
a sua volta delle contraddizioni. Questa è la realtà. (gf)