Appello ecumenico del Consiglio ecumenico delle Chiese per la pace in Libia
L’azione politica nei confronti della Libia deve spostarsi dall’attuale confronto
armato per indirizzarsi, invece, verso il negoziato, «poiché questo è l’unico modo
per fermare il bagno di sangue attualmente in atto e per realmente proteggere gli
interessi e la sicurezza del popolo libico»: è quanto ha affermato il segreterio generale
del Consiglio ecumenico delle Chiese (Cec), il reverendo Olav Fykse Tveit, in un documento
diffuso mercoledì scorso dalla sede di Ginevra di questa organizzazione. Nel suo messaggio
– citato dall’Osservatore Romano - il rappresentante delle trecentoquarantanove organizzazioni
cristiane aderenti al Cec sottolinea che fin da febbraio l’organismo sta seguendo
«con crescente preoccupazione l’evoluzione della crisi in Libia e il moltiplicarsi
degli scontri armati sul suo territorio. Fin d’allora, gli sviluppi del confronto
hanno comportato conseguenze sempre più gravi, specialmente per i civili. Intere comunità
sono state sottoposte allo stato di assedio da parte delle forze armate guidate dall’attuale
regime del colonnello Muhammar Gheddafi». Affinché possa avere presto fine questa
drammatica situazione, il reverendo Olav Fykse Tveit assicura da parte dei cristiani
crescenti preghiere a Dio perché intervenga con la sua Grazia e la sua misericordia.
«Tuttavia — ricorda — spetta a tutte le autorità avere massima priorità soprattutto
nei riguardi del rispetto della vita umana e dei diritti dell’uomo». Nel documento
sulle tragiche condizioni in cui attualmente si trova la popolazione della Libia,
il segretario generale del Cec sottolinea «la necessità e l’urgenza di riuscire a
stabilire un durevole cessate il fuoco». Per Fykse Tveit la soluzione della crisi
in Libia può venire soprattutto dalla costituzione di «un’autorità messa in grado
di potere formare un governo di transizione al fine di trovare soluzioni giuste e
non violente per terminare l’attuale più che sanguinosa contesa». Nella parte finale
del documento, il segretario generale del Cec richiama la doverosa attenzione verso
«le tante persone che in Libia sono in lutto per la morte violenta dei loro cari,
per quelle che soffrono a causa delle ferite riportate durante gli scontri armati,
per coloro che prestano le loro cure per lenire le sofferenze delle tante vittime
innocenti dell’uso delle armi». Nel messaggio si citano anche «i tanti che sono dovuti
fuggire lontano dalle proprie case per via dei rischi sempre più crescenti che l’attuale
conflitto in Libia comporta». Il responsabile del Cec ricorda il lavoro di assistenza
umanitaria posto in atto in Libia, come in molti altri Paesi del mondo, dalla Act
Alliance. Gli appartenenti di questa organizzazione, che comprende tra i suoi membri
cristiani provenienti da centoundici comunità presenti in molti Paesi del mondo, lavorano
insieme su obbiettivi di sviluppo e di assistenza per le popolazioni che attualmente
si trovano in gravi difficoltà. «Tuttavia — sottolinea nel documento il segretario
generale del Cec — gli sforzi messi in atto dai membri di questa organizzazione e
da tanti altri che lavorano per la pace e che si trovano sul campo per fornire soccorso
alle vittime del conflitto in Libia non possono risultare sufficienti a risolvere
una situazione che ha bisogno di un accordo soprattutto a livello politico. Questa
soluzione è l’unica in grado di garantire un cammino verso un futuro di giustizia
e di pace».