L’attenzione speciale per l’aspetto umano di ciascun individuo è l’elemento che ha
ispirato l’operato di Giovanni Paolo II per l’intera durata del suo Pontificato. Questa
premura costante si è concretamente tradotta, in particolar modo, nel sostegno rivolto
alle persone svantaggiate, agli oppressi, e nell’amore incondizionato di Papa Wojtyla
per l’Africa. Un continente nel quale egli ha compiuto sedici viaggi dal 1980 al 2000,
visitando ben 41 paesi, alcuni dei quali più volte.
Nella piena coscienza
che lo sviluppo coerente del continente è stato inevitabilmente compromesso dai secoli
di schiavitù e di colonizzazione, l’impegno di Karol Wojtyla fu in larga parte rivolto
a facilitare l’incontro tra il Vangelo e la realtà delle Chiese locali, dunque l’unione
tra i valori cristiani universali e l’elemento culturale africano. Non a caso, proprio
sotto il suo Pontificato è stato introdotto il concetto di « inculturazione », una
forma di divulgazione della religione che tiene conto dei contributi originali provenienti
dalle comunità cristiane autoctone e che si lascia in parte modellare da esse. Sin
dal primo viaggio apostolico in Africa, in Repubblica Democratica del Congo e in Congo
Brazzaville, Papa Wojtyla ha affrontato i problemi inerenti all’approfondimento dello
spirito cristiano e alla cosiddetta “africanizzazione” della Chiesa. Giovanni Paolo
II predicava in favore di una Chiesa che potesse farsi carico anche dei problemi familiari,
attenta all’autodeterminazione dell’essere umano e al suo sviluppo integrale, ma in
un’ottica d’incontro con i fratelli, in una prospettiva di avvicinamento alla dimensione
universale della Famiglia Umana e della comunità ecclesiale. “La vostra Chiesa dovrà
approfondire la sua dimensione locale, africana, senza mai scordare la propria dimensione
universale...”: questo l’invito che Giovanni Paolo II rivolse ai fedeli congolesi,
nel lontano 1980, all’arrivo nell’aeroporto di Kinshasa. Nel corso di quella prima
visita pastorale, « l’inculturazione del Vangelo » e « l’africanizzazione » del messaggio
cristiano e della realtà ecclesiale furono rivendicate come aspetti imprescindibili
per la diffusione del Cristianesimo presso le popolazioni locali. Emerse allora l’idea
che, sebbene la fede cristiana non si identifichi con una specifica cultura, il
Vangelo possa aiutare i fedeli a vivere appieno la propria dimensione culturale, accompagnando
la nascita di originali espressioni di vita, di celebrazione liturgica e di pensiero
cristiane, a partire proprio dalle varie tradizioni ancestrali. Giovanni Paolo
II - che aveva vissuto in prima persona gli sforzi compiuti dalla Nazione polacca
per la difesa della propria sovranità – si è dimostrato sempre favorevole ai processi
di autodeterminazione dei popoli africani, invitando i cittadini a prendere in mano
il proprio destino ed esserne artefici. Il suo appoggio era rivolto ai movimenti ispirati
dai principi di giustizia e dignità nazionale, ai gruppi che rivendicavano la tutela
della ricchezza e della specificità delle culture, il rispetto delle relazioni familiari
e dei legami sociali propri della collettività. Come è scritto nella sua prima Enciclica
« Redemptor Hominis », del 4 marzo 1979, “L’uomo è la via della Chiesa…Ogni uomo in
ogni società e in tutto il mondo. Cristo è il Redentore degli uomini.” Nel 1992,
durante la celebre visita nell’Isola senegalese di Gorée, porto di partenza delle
navi di schiavi e santuario della sofferenza causata dalla schiavitù, Giovanni Paolo
II manifestò la sua angoscia per il vissuto storico della tratta, esprimendo tutta
la sua solidarietà al popolo africano, che ne fu vittima. Chiese perdono per coloro
i quali furono capaci di una tale crudeltà ai danni di propri fratelli e sorelle,
ma con la ferma convinzione che solo il « Vangelo liberatore » avrebbe potuto curare
queste piaghe profonde e restituire agli africani un senso di dignità, di identità
e di orgoglio legittimo per il valore della propria cultura. In quanto Successore
di Pietro, in ogni occasione Giovanni Paolo II ha compiuto lo sforzo di leggere la
realtà africana attraverso la prospettiva del Vangelo, cercando inoltre di inquadrare
l’attualità del continente in un contesto geografico più ampio, ovvero interpretandola
alla luce degli eventi che interessavano le altre aree del mondo. Le parole contenute
nell’Omelia del 17 agosto 2002, della Santa Messa e Dedicazione del Santuario della
Divina Misericordia a Kraków-Łagiewniki, in Polonia, forniscono un’ulteriore conferma
del suo pensiero riguardo alle dinamiche della storia umana e all’importanza dell’amore
di Dio: “Quanto bisogno della misericordia di Dio ha il mondo di oggi! In tutti i
continenti, dal profondo della sofferenza umana, sembra alzarsi l’invocazione della
misericordia. Dove dominano l’odio e la sete di vendetta, dove la guerra porta il
dolore e la morte degli innocenti occorre la grazia della misericordia a placare le
menti e i cuori, e a far scaturire la pace. Dove viene meno il rispetto per la vita
e la dignità dell’uomo, occorre l’amore misericordioso di Dio, alla cui luce si manifesta
l’inesprimibile valore di ogni essere umano. Occorre la misericordia per far sì che
ogni ingiustizia nel mondo trovi il suo termine nello splendore della verità”.
Giovanni
Paolo II spinse l’Africa ad assumere un ruolo attivo, originale e di primo piano nell’ambito
della Famiglia umana. Sulla scia di questo entusiasmo, nel 1994 decise di riunire
in Vaticano i rappresentanti delle Chiese cattoliche del continente, per dare luogo
al primo Sinodo Speciale per l’Africa. L’Assemblea dei vescovi africani aveva per
scopo di rielaborare l’intero approccio dell’opera di Evangelizzazione in Africa,
di fare luce sulle debolezze e sulle forze del continente e delle comunità ecclesiali
locali. “La Chiesa - disse all’Angelus del 27 febbraio 1994 - ponendo l’Africa
al centro della sua attenzione, intende assolvere un debito di gratitudine. Nella
storia del cristianesimo, le Chiese africane hanno scritto, sia nell’antichità che
in tempi a noi più vicini, pagine luminose di martirio e di santità. (…) L'Africa
ha urgente bisogno di solidarietà. Ma essa ha anche molto da offrire, in un fecondo
scambio di doni, attingendo alle sue grandi ricchezze umane e spirituali, a cui la
Chiesa guarda con rispetto ed ammirazione, giacché l'annuncio di Cristo non mortifica
le varie culture, al contrario ne assume gli autentici valori, portandoli alla loro
pienezza”. In Giovanni Paolo II i vescovi africani trovarono un sostegno importante.
Seguendo le sue indicazioni, approfondirono il dialogo con le altre culture, con le
varie componenti sociali e con le altre religioni - soprattutto quella tradizionale,
che costituisce il quadro culturale originario di buona parte dei fedeli oggi convertiti
al Cristianesimo – facendone lo strumento principale per alimentare un nuovo slancio
nell’opera di evangelizzazione. Le importanti riflessioni interne che attraversarono
in quegli anni la Chiesa, aiutarono a individuare nei valori della « famiglia africana
» la specificità delle comunità ecclesiastiche locali : in sostanza, il fulcro del
contributo originale che la Chiesa africana può apportare alla Chiesa universale.
E – come emerge dall’Esortazione post-sinodale, il documento elaborato a conclusione
del primo Sinodo per il continente - la cultura africana nel suo complesso iniziò
ad essere valorizzata come veicolo per la divulgazione della Parola di Dio. Un
cambiamento di prospettive che rivela, in qualche modo, il principio alla base della
missione di Giovanni Paolo II per l’Africa. (A cura di Marie José Muando Buabualo,
del programma francese per l'Africa)