"Ha aiutato i cristiani di tutto il mondo a non avere paura di dirsi cristiani": così
il Papa nell'omelia per la Beatificazione
“Con la sua testimonianza di fede, di amore e di coraggio apostolico, accompagnata
da una grande carica umana” Giovanni Paolo II “ha aiutato i cristiani di tutto il
mondo a non avere paura di dirsi cristiani, di appartenere alla Chiesa, di parlare
del Vangelo. In una parola: ci ha aiutato a non avere paura della verità, perché la
verità è garanzia di libertà”: è quanto ha affermato Benedetto XVI durante l’omelia
per la Messa di Beatificazione di Papa Wojtyla. “Ancora più in sintesi – ha aggiunto
- ci ha ridato la forza di credere in Cristo”. “Karol Wojtyła – ha proseguito - salì
al soglio di Pietro portando con sé la sua profonda riflessione sul confronto tra
il marxismo e il cristianesimo, incentrato sull’uomo. Il suo messaggio è stato questo:
l’uomo è la via della Chiesa, e Cristo è la via dell’uomo”. Con questo messaggio “ha
dato al Cristianesimo un rinnovato orientamento al futuro, il futuro di Dio, trascendente
rispetto alla storia, ma che pure incide sulla storia. Quella carica di speranza che
era stata ceduta in qualche modo al marxismo e all’ideologia del progresso, egli l’ha
legittimamente rivendicata al Cristianesimo, restituendole la fisionomia autentica
della speranza, da vivere nella storia con uno spirito di ‘avvento’, in un’esistenza
personale e comunitaria orientata a Cristo, pienezza dell’uomo e compimento delle
sue attese di giustizia e di pace”. Benedetto XVI ha concluso l’omelia con una sottolineatura
personale:
“Vorrei infine rendere grazie a Dio anche per la personale esperienza
che mi ha concesso, di collaborare a lungo con il beato Papa Giovanni Paolo II. Già
prima avevo avuto modo di conoscerlo e di stimarlo, ma dal 1982, quando mi chiamò
a Roma come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, per 23 anni ho
potuto stargli vicino e venerare sempre più la sua persona. Il mio servizio è stato
sostenuto dalla sua profondità spirituale, dalla ricchezza delle sue intuizioni. L’esempio
della sua preghiera mi ha sempre colpito ed edificato: egli si immergeva nell’incontro
con Dio, pur in mezzo alle molteplici incombenze del suo ministero. E poi la sua testimonianza
nella sofferenza: il Signore lo ha spogliato pian piano di tutto, ma egli è rimasto
sempre una “roccia”, come Cristo lo ha voluto. La sua profonda umiltà, radicata nell’intima
unione con Cristo, gli ha permesso di continuare a guidare la Chiesa e a dare al mondo
un messaggio ancora più eloquente proprio nel tempo in cui le forze fisiche gli venivano
meno. Così egli ha realizzato in modo straordinario la vocazione di ogni sacerdote
e vescovo: diventare un tutt’uno con quel Gesù, che quotidianamente riceve e offre
nell’Eucaristia”. Di seguito il testo dell’omelia:
Cari
fratelli e sorelle!
Sei anni or sono ci trovavamo in questa Piazza per
celebrare i funerali del Papa Giovanni Paolo II. Profondo era il dolore per la perdita,
ma più grande ancora era il senso di una immensa grazia che avvolgeva Roma e il mondo
intero: la grazia che era come il frutto dell’intera vita del mio amato Predecessore,
e specialmente della sua testimonianza nella sofferenza. Già in quel giorno noi sentivamo
aleggiare il profumo della sua santità, e il Popolo di Dio ha manifestato in molti
modi la sua venerazione per Lui. Per questo ho voluto che, nel doveroso rispetto della
normativa della Chiesa, la sua causa di beatificazione potesse procedere con discreta
celerità. Ed ecco che il giorno atteso è arrivato; è arrivato presto, perché così
è piaciuto al Signore: Giovanni Paolo II è beato!
Desidero rivolgere
il mio cordiale saluto a tutti voi che, per questa felice circostanza, siete convenuti
così numerosi a Roma da ogni parte del mondo, Signori Cardinali, Patriarchi delle
Chiese Orientali Cattoliche, Confratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio, Delegazioni
Ufficiali, Ambasciatori e Autorità, persone consacrate e fedeli laici, e lo estendo
a quanti sono uniti a noi mediante la radio e la televisione.
Questa
Domenica è la Seconda di Pasqua, che il beato Giovanni Paolo II ha intitolato alla
Divina Misericordia. Perciò è stata scelta questa data per l’odierna Celebrazione,
perché, per un disegno provvidenziale, il mio Predecessore rese lo spirito a Dio proprio
la sera della vigilia di questa ricorrenza. Oggi, inoltre, è il primo giorno del mese
di maggio, il mese di Maria; ed è anche la memoria di san Giuseppe lavoratore. Questi
elementi concorrono ad arricchire la nostra preghiera, aiutano noi che siamo ancora
pellegrini nel tempo e nello spazio; mentre in Cielo, ben diversa è la festa tra gli
Angeli e i Santi! Eppure, uno solo è Dio, e uno è Cristo Signore, che come un ponte
congiunge la terra e il Cielo, e noi in questo momento ci sentiamo più che mai vicini,
quasi partecipi della Liturgia celeste.
“Beati quelli che non hanno
visto e hanno creduto!” (Gv 20,29). Nel Vangelo di oggi Gesù pronuncia questa beatitudine:
la beatitudine della fede. Essa ci colpisce in modo particolare, perché siamo riuniti
proprio per celebrare una Beatificazione, e ancora di più perché oggi è stato proclamato
Beato un Papa, un Successore di Pietro, chiamato a confermare i fratelli nella fede.
Giovanni Paolo II è beato per la sua fede, forte e generosa, apostolica. E subito
ricordiamo quell’altra beatitudine: “Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché
né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli” (Mt 16,17).
Che cosa ha rivelato il Padre celeste a Simone? Che Gesù è il Cristo, il Figlio del
Dio vivente. Per questa fede Simone diventa “Pietro”, la roccia su cui Gesù può edificare
la sua Chiesa. La beatitudine eterna di Giovanni Paolo II, che oggi la Chiesa ha la
gioia di proclamare, sta tutta dentro queste parole di Cristo: “Beato sei tu, Simone”
e “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”. La beatitudine della fede,
che anche Giovanni Paolo II ha ricevuto in dono da Dio Padre, per l’edificazione della
Chiesa di Cristo.
Ma il nostro pensiero va ad un’altra beatitudine,
che nel Vangelo precede tutte le altre. E’ quella della Vergine Maria, la Madre del
Redentore. A Lei, che ha appena concepito Gesù nel suo grembo, santa Elisabetta dice:
“Beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto” (Lc
1,45). La beatitudine della fede ha il suo modello in Maria, e tutti siamo lieti che
la beatificazione di Giovanni Paolo II avvenga nel primo giorno del mese mariano,
sotto lo sguardo materno di Colei che, con la sua fede, sostenne la fede degli Apostoli,
e continuamente sostiene la fede dei loro successori, specialmente di quelli che sono
chiamati a sedere sulla cattedra di Pietro. Maria non compare nei racconti della risurrezione
di Cristo, ma la sua presenza è come nascosta ovunque: lei è la Madre, a cui Gesù
ha affidato ciascuno dei discepoli e l’intera comunità. In particolare, notiamo che
la presenza effettiva e materna di Maria viene registrata da san Giovanni e da san
Luca nei contesti che precedono quelli del Vangelo odierno e della prima Lettura:
nel racconto della morte di Gesù, dove Maria compare ai piedi della croce (cfr Gv
19,25); e all’inizio degli Atti degli Apostoli, che la presentano in mezzo ai discepoli
riuniti in preghiera nel cenacolo (cfr At 1,14).
Anche la seconda Lettura
odierna ci parla della fede, ed è proprio san Pietro che scrive, pieno di entusiasmo
spirituale, indicando ai neo-battezzati le ragioni della loro speranza e della loro
gioia. Mi piace osservare che in questo passo, all’inizio della sua Prima Lettera,
Pietro non si esprime in modo esortativo, ma indicativo; scrive, infatti: “Siete ricolmi
di gioia” – e aggiunge: “Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo,
credete in lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre conseguite
la meta della vostra fede: la salvezza delle anime” (1Pt 1,6.8-9). Tutto è all’indicativo,
perché c’è una nuova realtà, generata dalla risurrezione di Cristo, una realtà accessibile
alla fede. “Questo è stato fatto dal Signore - dice il Salmo (118,23) - una meraviglia
ai nostri occhi”, gli occhi della fede.
Cari fratelli e sorelle, oggi
risplende ai nostri occhi, nella piena luce spirituale del Cristo risorto, la figura
amata e venerata di Giovanni Paolo II. Oggi il suo nome si aggiunge alla schiera di
Santi e Beati che egli ha proclamato durante i quasi 27 anni di pontificato, ricordando
con forza la vocazione universale alla misura alta della vita cristiana, alla santità,
come afferma la Costituzione conciliare Lumen gentium sulla Chiesa. Tutti i membri
del Popolo di Dio – Vescovi, sacerdoti, diaconi, fedeli laici, religiosi, religiose
– siamo in cammino verso la patria celeste, dove ci ha preceduto la Vergine
Maria, associata in modo singolare e perfetto al mistero di Cristo e della Chiesa.
Karol Wojtyła, prima come Vescovo Ausiliare e poi come Arcivescovo di Cracovia, ha
partecipato al Concilio Vaticano II e sapeva bene che dedicare a Maria l’ultimo
capitolo del Documento sulla Chiesa significava porre la Madre del Redentore quale
immagine e modello di santità per ogni cristiano e per la Chiesa intera. Questa visione
teologica è quella che il beato Giovanni Paolo II ha scoperto da giovane e ha poi
conservato e approfondito per tutta la vita. Una visione che si riassume nell’icona
biblica di Cristo sulla croce con accanto Maria, sua madre. Un’icona che si trova
nel Vangelo di Giovanni (19,25-27) ed è riassunta nello stemma episcopale e
poi papale di Karol Wojtyła: una croce d’oro, una “emme” in basso a destra, e il motto
“Totus tuus”, che corrisponde alla celebre espressione di san Luigi Maria Grignion
de Montfort, nella quale Karol Wojtyła ha trovato un principio fondamentale
per la sua vita: “Totus tutus ego sum et omnia mea tua sunt. Accipio Te in mea omnia.
Praebe mihi cor tuum, Maria – Sono tutto tuo e tutto ciò che è mio è tuo. Ti prendo
per ogni mio bene. Dammi il tuo cuore, o Maria” (Trattato della vera devozione alla
Santa Vergine, n. 266).
Nel suo Testamento il nuovo Beato scrisse: “Quando
nel giorno 16 ottobre 1978 il conclave dei cardinali scelse Giovanni Paolo II, il
Primate della Polonia card. Stefan Wyszyński mi disse: «Il compito del nuovo papa
sarà di introdurre la Chiesa nel Terzo Millennio»”. E aggiungeva: “Desidero
ancora una volta esprimere gratitudine allo Spirito Santo per il grande dono del Concilio
Vaticano II, al quale insieme con l’intera Chiesa – e soprattutto con l’intero episcopato
– mi sento debitore. Sono convinto che ancora a lungo sarà dato alle nuove generazioni
di attingere alle ricchezze che questo Concilio del XX secolo ci ha elargito. Come
vescovo che ha partecipato all’evento conciliare dal primo all’ultimo giorno, desidero
affidare questo grande patrimonio a tutti coloro che sono e saranno in futuro chiamati
a realizzarlo. Per parte mia ringrazio l’eterno Pastore che mi ha permesso di servire
questa grandissima causa nel corso di tutti gli anni del mio pontificato”. E qual
è questa “causa”? E’ la stessa che Giovanni Paolo II ha enunciato nella sua prima
Messa solenne in Piazza San Pietro, con le memorabili parole: “Non abbiate paura!
Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo!”. Quello che il neo-eletto Papa chiedeva
a tutti, egli stesso lo ha fatto per primo: ha aperto a Cristo la società, la cultura,
i sistemi politici ed economici, invertendo con la forza di un gigante – forza che
gli veniva da Dio – una tendenza che poteva sembrare irreversibile.
Swoim
świadectwem wiary, miłości i odwagi apostolskiej, pełnym ludzkiej wrażliwości, ten
znakomity syn Narodu polskiego pomógł chrześcijanom na całym świecie, by nie lękali
się być chrześcijanami, należeć do Kościoła, głosić Ewangelię. Jednym słowem: pomógł
nam nie lękać się prawdy, gdyż prawda jest gwarancją wolności. [Con la sua
testimonianza di fede, di amore e di coraggio apostolico, accompagnata da una grande
carica umana, questo esemplare figlio della Nazione polacca ha aiutato i cristiani
di tutto il mondo a non avere paura di dirsi cristiani, di appartenere alla Chiesa,
di parlare del Vangelo. In una parola: ci ha aiutato a non avere paura della verità,
perché la verità è garanzia di libertà.]
Ancora più in sintesi: ci ha
ridato la forza di credere in Cristo, perché Cristo è Redemptor hominis, Redentore
dell’uomo: il tema della sua prima Enciclica e il filo conduttore di tutte le altre.
Karol
Wojtyła salì al soglio di Pietro portando con sé la sua profonda riflessione
sul confronto tra il marxismo e il cristianesimo, incentrato sull’uomo. Il suo messaggio
è stato questo: l’uomo è la via della Chiesa, e Cristo è la via dell’uomo. Con questo
messaggio, che è la grande eredità del Concilio Vaticano II e del suo “timoniere”
il Servo di Dio Papa Paolo VI, Giovanni Paolo II ha guidato il Popolo di Dio a varcare
la soglia del Terzo Millennio, che proprio grazie a Cristo egli ha potuto chiamare
“soglia della speranza”. Sì, attraverso il lungo cammino di preparazione al Grande
Giubileo, egli ha dato al Cristianesimo un rinnovato orientamento al futuro, il futuro
di Dio, trascendente rispetto alla storia, ma che pure incide sulla storia. Quella
carica di speranza che era stata ceduta in qualche modo al marxismo e all’ideologia
del progresso, egli l’ha legittimamente rivendicata al Cristianesimo, restituendole
la fisionomia autentica della speranza, da vivere nella storia con uno spirito di
“avvento”, in un’esistenza personale e comunitaria orientata a Cristo, pienezza dell’uomo
e compimento delle sue attese di giustizia e di pace.
Vorrei infine
rendere grazie a Dio anche per la personale esperienza che mi ha concesso, di collaborare
a lungo con il beato Papa Giovanni Paolo II. Già prima avevo avuto modo di conoscerlo
e di stimarlo, ma dal 1982, quando mi chiamò a Roma come Prefetto della Congregazione
per la Dottrina della Fede, per 23 anni ho potuto stargli vicino e venerare sempre
più la sua persona. Il mio servizio è stato sostenuto dalla sua profondità spirituale,
dalla ricchezza delle sue intuizioni. L’esempio della sua preghiera mi ha sempre colpito
ed edificato: egli si immergeva nell’incontro con Dio, pur in mezzo alle molteplici
incombenze del suo ministero. E poi la sua testimonianza nella sofferenza: il Signore
lo ha spogliato pian piano di tutto, ma egli è rimasto sempre una “roccia”, come Cristo
lo ha voluto. La sua profonda umiltà, radicata nell’intima unione con Cristo, gli
ha permesso di continuare a guidare la Chiesa e a dare al mondo un messaggio ancora
più eloquente proprio nel tempo in cui le forze fisiche gli venivano meno. Così egli
ha realizzato in modo straordinario la vocazione di ogni sacerdote e vescovo: diventare
un tutt’uno con quel Gesù, che quotidianamente riceve e offre nell’Eucaristia.
Beato
te, amato Papa Giovanni Paolo II, perché hai creduto! Continua – ti preghiamo – a
sostenere dal Cielo la fede del Popolo di Dio. Tante volte ci hai benedetto in questa
piazza ... Oggi ti preghiamo: Santo Padre, ci benedica! Amen.