Siria. L'Onu esamina un documento di condanna per la repressione delle proteste
Non si fermano le violenze in Siria. Sale a 453 il bilancio dei civili uccisi dall'inizio
delle manifestazioni di protesta. L’Onu convoca il Consiglio di Sicurezza per esaminare
un documento di condanna mentre alcune capitali europee convocano i rispettivi ambasciatori.
Il servizio di Gabriele Papini:
E' salito
ad almeno 35 morti il bilancio delle vittime causate dagli scontri di questi giorni
nella città siriana di Deraa ad opera delle forze militari siriane. Il Consiglio di
Sicurezza dell'Onu terrà venerdì una sessione speciale sulla situazione in Siria.
La riunione è stata convocata alla luce della violenta repressione dell'esercito contro
i manifestanti. La questione della Siria è anche nell'agenda della prossima riunione
degli ambasciatori dei Paesi dell’Unione Europea, prevista per venerdì. Si parla di
possibili sanzioni. Intanto, oltre duemila persone si sono radunate oggi a Banias,
città costiera a nordovest di Damasco, per manifestare contro il governo. Ma uno schieramento
di forze di sicurezza ha circondato il centro abitato in vista di possibili attacchi
da parte dei manifestanti. Da segnalare che i governi di Italia, Francia, Spagna,
Germania e Gran Bretagna hanno deciso una convocazione coordinata degli ambasciatori
della Siria accreditati nei loro rispettivi Paesi.
Yemen, attesa per
la firma dell’accordo tra governo e opposizione Almeno una persona è morta
e 10 sono rimaste ferite negli scontri scoppiati a Taiz e Aden, nel sud dello Yemen
tra i manifestanti che chiedono le dimissioni del presidente Saleh, e le Forze di
sicurezza. Proteste anche nella capitale Sana'a. Intanto, è stato annunciato che i
rappresentanti del governo e dell'opposizione sono stati invitati domani a Riad, in
Arabia Saudita, per firmare l'accordo che dovrebbe porre fine alla crisi che da due
mesi va avanti nel Paese arabo. L'intesa, basata sulla proposta del Consiglio di Cooperazione
del Golfo, prevede le dimissioni del presidente Saleh entro un mese, la nascita di
un governo di unità nazionale e la convocazione di nuove elezioni presidenziali entro
tre mesi. Resta da dire che una cellula di Al-Qaeda ha ucciso due soldati yemeniti
nella provincia meridionale del Paese.
Attentato a un gasdotto nel Sinai
egiziano: il secondo in poche settimane E’ stato attaccato questa mattina un
gasdotto che trasporta gas naturale dall’Egitto verso Israele e Giordania causandone
l'esplosione: è accaduto in un sobborgo della città di El Arish, nel Sinai egiziano.
Il terminal esploso si trova a 344 chilometri a nordest del Cairo. L'oleodotto è stato
quindi chiuso e le forniture di gas verso Israele e Giordania risultano attualmente
interrotte. Nessuna notizia di vittime. Si tratta del secondo attacco contro la pipeline
nelle ultime settimane. Già il 27 marzo uomini armati avevano collocato dell'esplosivo
nel gasdotto di al-Sabil con l'intenzione di farlo esplodere, ma l'attentato era stato
sventato.
Tunisia Il governo tunisino ha ufficializzato le sue proposte
per il decreto sull'elezione dell'assemblea costituente. La prima delle proposte riguarda
i quadri del disciolto Rcd (il partito dell'ex presidente Ben Ali) per i quali è stata
prevista la non elegibilità alla Costituente se hanno avuto incarichi di responsabilità
nel corso degli ultimi dieci anni. Infine, il governo si è impegnato a rispettare
la data del 24 luglio per l'organizzazione delle elezioni dell'Assemblea costituente.
Episodi
di violenza ai seggi in Nigeria Tensione alle stelle in Nigeria, ieri, in occasione
delle elezioni per la scelta di 26 governatori dei 36 Stati confederato in cui si
suddivide il Paese. Attentati e assalti ai seggi hanno provocato morti e feriti. Il
servizio di Giulio Albanese.
La giornata
si è aperta con tre bombe, esplose senza causare vittime a Borno, nel nord della Nigeria.
Poco dopo nel sudest del Paese la polizia ha fatto in tempo a scoprire e disinnescare
altri due ordigni. Vittime si sono poi registrate a Makurdi, nella Nigeria centrale,
dove agenti di sicurezza hanno ucciso due persone che tentavano di rubare schede e
altro materiale elettorale. Il colmo si è comunque raggiunto nello Stato del Delta,
quando alcuni giovani facinorosi si sono fatti largo tra i votanti a colpi di mitragliatrice,
disarmando i poliziotti di guardia e rubando urne piene e schede. Nel pomeriggio è
comunque andato coraggiosamente a votare anche il vincitore delle presidenziali, Goodluck
Jonathan, il quale dopo avere espresso la sua preferenza nel seggio ha dichiarato
che “nel complesso l’intera tornata elettorale è stata libera in Nigeria, trasparente
e tutto sommato pacifica”, ma, a detta dei cronisti locali, non è sembrato affatto
convincente.
Nessuna notizia della nave sequestrata la settimana scorsa
al largo dell'Oman Ancora non è stata recuperata la motonave italiana "Rosalia
D'Amato", sequestrata la scorsa settimana da un gruppo di pirati a largo delle coste
dell'Oman. A bordo 22 membri di equipaggio, 15 filippini e sei italiani. Nessuna notizia
anche dell’altra nave italiana, la "Savina Caylyn", nelle mani dei pirati dall’8 febbraio
scorso. Dall’inizio dell’anno, sono 28 le navi sequestrate, quasi 600 gli ostaggi.
In questo scenario gli armatori chiedono che il parlamento approvi leggi che consentano
l’imbarco di militari o di guardie private. Massimiliano Menichetti ha intervistato
Nicolò Carnimeo, docente di Diritto della navigazione all’Università degli
Studi di Bari ed autore del libro “Nei mari dei pirati”, edito da Longanesi:
R. - I pirati
in Somalia sono gli stessi “signori della guerra” che organizzano anche altri traffici
illeciti, come quello delle armi o quello relativo al commercio delle persone, ma
che hanno trovato nella pirateria un’attività molto, molto florida, che non si arresta.
Nei primi tre mesi di quest’anno, ci sono stati 96 attacchi, 35 in più rispetto all’anno
precedente. Sono morte sette persone, uccise dai pirati, e 40 sono state ferite e
almeno un’ottantina di persone sono state torturate. Il livello di conflitto e di
scontro si sta alzando.
D. - Anche l’Unione Europea è impegnata nelle
missioni internazionali di pattugliamento che, però, non riesco ad avere esiti soddisfacenti…
R.
- Questo si spiega nel fatto che la missione “Atalanta” - di cui fa parte anche l’Italia
- pattuglia solamente il Golfo di Aden e infatti nel Golfo Di Aden gli attacchi sono
diminuiti, non ce ne sono quasi più. Invece, oggi, vengono compiuti - come nell’ultimo
caso della Rosalia - nel Mare Arabico e soprattutto nell’Oceano Indiano: i pirati
sono arrivati fino alle Isole Andamane.
D. - In sostanza, lo specchio
di mare non può essere monitorato costantemente nella sua globalità...
R.
- No, assolutamente.
D. - Professore, alcuni ritengono che nella regione
settentrionale semiautonoma del Putland ci sia la base dei pirati, la città di Heil:
perché non si interviene lì?
R. - Heil è - diciamo - la base storica
dei pirati. Ci sono poi, però, altre basi, che sono anche al nord di Mogadiscio: ve
ne sono quante sono le gang dei pirati! I pirati non sono solo in Somali: adesso operano
anche nel Mar Rosso. Hanno delle basi in Yemen. Si sono molto ramificati e hanno soprattutto
delle basi nelle piccole isole dell’Oceano Indiano.
D. - La pirateria
di fronte alle acque somale è il riflesso di un governo che non c’è. Ma è diventato
anche un affare a se stante?
R. - Ci sono investitori africani e arabi,
da Dubai, che investono nella attività di abbordaggio. L’auspicio è che in realtà
si cerchi di risolvere la situazione somala, ma non c’è - dal punto di vista internazionale
- una repressione forte, anche in senso normativo. Si pensi che nei giorni scorsi
erano stati arrestati 16 pirati, già stati liberati perché nessuno voleva processarli…
(mg)
Afghanistan L’Isaf ha sostenuto che nei mesi scorsi sono
stati uccisi in Afghanistan oltre 25 fra esponenti e combattenti dell'organizzazione
terroristica Al Qaeda. Col trascorrere degli anni, comunque, gli esperti hanno convenuto
che l'importanza di Al Qaeda nel Paese si è ridotta progressivamente. Intanto, stamani
un ex pilota afghano, sembra legato ad Al Qaeda, ha aperto il fuoco contro soldati
della forza Isaf nel quartier generale dell'Aviazione, uccidendo sei militari americani.
Il portavoce del Ministero della difesa afghano non ha fornito dati sul numero e sulla
nazionalità delle vittime, riferendo genericamente di “alcuni morti e feriti”. Anche
un portavoce dell'Isaf, il maggiore Tim Jones, ha annunciato che vi sono "vittime
tra le forze Isaf". Jones ha parlato di "incidente", ma i talebani hanno rivendicato
l'accaduto con una telefonata alla France Presse.
Ancora colpi di artiglieria
al confine Thailandia-Cambogia Sono proseguiti anche oggi con colpi di artiglieria
gli scontri al confine tra Thailandia e Cambogia, che in sei giorni hanno provocato
14 morti, mentre le richieste di cessate-il-fuoco continuano a essere ignorate e un
primo incontro diretto tra i rispettivi ministri della Difesa è stato annullato dalle
autorità thailandesi. Nella notte, nuovi colpi sono stati sparati attorno ai templi
contesi di Ta Moan e Ta Krabey, dove venerdì scorso è iniziata la serie di combattimenti,che
ha portato alla morte il primo civile (thailandese) dopo otto militari thailandesi
e cinque cambogiani. Ieri si era tornati a sparare 150 km a nord-est, attorno al tempio
di Preah Vihear, il cui controllo alimenta la tensione tra i due Paesi dal 2008 a
oggi. Nel 1962, l'Onu ha assegnato il tempio alla Cambogia, senza per deliberare sul
possesso di un'area circostante di 4,6 chilometri quadrati. Con le due parti che continuano
ad accusarsi a vicenda di aprire il fuoco per prime, il primo ministro cambogiano
Hun Sen si è detto oggi favorevole a una tregua e a colloqui all'interno della cornice
dell'Asean (l'organizzazione dei Paesi del Sud-est asiatico). In particolare, molti
osservatori temono che i militari thailandesi - che hanno aumentato la loro influenza
dietro il governo di Abhisit Vejjajiva - utilizzino lo spettro di una guerra per sabotare
le elezioni anticipate attese per inizio luglio, nelle quali i sondaggi prevedono
un testa a testa tra la coalizione di Abhisit e l'opposizione fedele all'ex premier
in esilio Thaksin Shinawatra, deposto da un colpo di Sstato nel 2006.
Pechino,
colloqui Cina-Usa sui diritti umani Sono cominciati stamattina a Pechino i
colloqui, che dureranno fino a domani, tra Stati Uniti e Cina sui diritti umani. La
delegazione americana è guidata da Michael Posner, assistente segretario per la democrazia,
il lavoro e i diritti umani dell'amministrazione statunitense. Le discussioni, secondo
un comunicato dell'ambasciata americana a Pechino, si focalizzeranno sugli sviluppi
dei diritti umani, incluso il recente aumento delle scomparse forzate, detenzioni
extragiudiziarie, arresti e deportazioni, così come il ruolo della legge, la libertà
di religione, la libertà di espressione, il diritto al lavoro, i diritti delle minoranze
e altre questioni riguardanti i diritti umani. (Panoramica internazionale a cura
di Fausta Speranza)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana
Anno LV no. 117