Vivere da cristiani la Pasqua: le riflessioni del cardinale Tettamanzi e mons. Bregantini
Nel Sabato Santo – ha scritto il cardinale Carlo Maria Martini - tra il dolore della
Croce e la gioia di Pasqua – “i discepoli sperimentano il silenzio di Dio, la pesantezza
della sua apparente sconfitta, la dispersione dovuta all’assenza del Maestro”. Ma
come vivere questo giorno, questa vigilia di Pasqua? Fabio Colagrande lo ha
chiesto al cardinale arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi:
R. – Direi
che ciascuno di noi dovrebbe possedere il proprio io. Può sembrare un’affermazione
paradossale e invece è reale, nel senso che il rischio che tutti corriamo è di vivere
fuori noi stessi. Allora, in questa giornata dobbiamo entrare nel nostro io e realizzare
un clima di profondo silenzio. Siamo spesso rubati da tante, da troppe parole umane,
e abbiamo bisogno invece di questo silenzio, perché solo così, in questo silenzio,
noi possiamo ascoltare la nostra coscienza o, meglio, possiamo ascoltare Colui che
abita la nostra coscienza: il Signore, la sua opera di salvezza, il suo amore. Solo
il silenzio fatto dentro di noi rende possibile la risposta all’apparente silenzio
di Dio, perché in realtà Lui ci parla proprio a partire da questo silenzio, che ha
voluto Lui stesso vivere sulla croce.
D. – Il Papa nella catechesi del
Mercoledì Santo si è soffermato sulla sonnolenza dei discepoli, che nel Getsemani
sono incapaci di vegliare con Gesù, paragonando questa sonnolenza alla nostra insensibilità
per Dio, ma anche per il male: perché facciamo così fatica ad essere vigili?
R.
– Perché siamo troppo superficiali e troppo banali. Superficiali, perché viviamo alla
superficie di noi stessi, alla periferia del nostro Dio. Banali, perché abbiamo delle
preoccupazioni che non sono essenziali per la nostra esistenza. La preoccupazione
in un certo senso unica, quella che raccoglie tutte le altre e dà loro significato,
è la preoccupazione di stare in ascolto della Parola di Dio. E mi viene in mente,
in particolare, quanto ci ha detto Papa Benedetto XVI: dobbiamo lasciare a Dio il
diritto di incontrarci e di parlarci. Torno a ripetere quanto detto all’inizio: ci
sono troppe parole umane; c’è poca Parola di Dio, non perché manchi questa parola:
mancano gli ascoltatori. Allora, il modo per prepararci alla Pasqua e per vivere questa
Pasqua è questa vigilanza, è questa disponibilità sempre viva e profonda di ascoltare
l’unica Parola di vita eterna che è appunto quella del Signore.
D. –
Da pastore della più grande diocesi italiana, quale resurrezione auspica per la sua
città, Milano, per l’Italia, proprio dal punto di vista sociale?
R.
– La prima resurrezione è quella religiosa, quella della fede. Abbiamo la fede, ma
il rischio che corriamo è che questa fede non sia viva, non sia contagiosa, non sia
capace di dare una testimonianza credibile alle persone che incontriamo. La prima
resurrezione, allora, è quella religiosa, cui segue la resurrezione morale: il senso
di responsabilità che noi abbiamo nei confronti di noi stessi e nei confronti degli
altri. Se dovesse tornare vivo, resuscitato dal profondo dell’abisso, questo senso
di responsabilità che ha la sua origine, il suo significato più grande nella resurrezione
religiosa, se dovesse mancare questa resurrezione davvero dovremmo preoccuparci e
preoccuparci grandemente della nostra attuale situazione. Ma Pasqua ci parla di speranza,
anzi ci parla di certezza. Non siamo soli: c’è il Signore risorto per questo. Noi
auguriamo a tutti e a ciascuno di avere una fede viva e missionaria e avere davvero
più sentito e più radicato dentro di noi il senso della responsabilità personale e
sociale. (ap)
Il mistero del male può essere compreso solo alla luce del
mistero della morte e risurrezione di Cristo. Su questa questione si sofferma al microfono
di Antonella Palermomons. Giancarlo Maria Bregantini, arcivescovo di
Campobasso Boiano e presidente della Commissione Episcopale per i problemi sociali
e il lavoro, la giustizia e la pace.
R. – Il
tema di Dio e il tema del male sono i due grandi temi inscindibili perché da sempre
non si può affrontare l’uno senza l’altro. Il male comunque resta una domanda perennemente
risorgente nel cuore, non ci sarà mai una risposta definitiva se non tramite la croce:
è la croce che ti apre alla risurrezione. Il male va affrontato dentro la tragedia
del Venerdì Santo che però apre alla bellezza e al fulgore del Sabato Santo, della
grande Veglia, perché altrimenti resta sempre domanda filosofica senza risposta; se
invece io lo leggo nella luce del Sabato Santo arrivo a dire quella frase immensa
che viene detta nel Preconio pasquale: “O felix culpa”.
D. – Mons. Bregantini,
una Pasqua con il dramma dei profughi, del carovita, delle tragedie: dov’è la risurrezione?
R.
– Questa è la tragica realtà che noi abbiamo davanti. Ma senza risurrezione noi saremo
ancora più sprofondati nel baratro senza luce, mentre, per esempio, con la forza della
risurrezione mi accorgo che posso essere capace anche di dare una risposta grande
dal punto di vista del cuore aperto. Nell’omelia del Giovedì Santo ho detto: se tu
apri il tuo cuore alla Parola aprirai anche la tua casa agli immigrati e il tuo Paese
all’accoglienza. (bf)