La Risurrezione di Cristo ha cambiato il mondo: così il Papa nella Veglia Pasquale
La Risurrezione di Cristo ha cambiato il mondo, è accaduto qualcosa d’inaudito: Colui
che era morto vive di una vita che non è più minacciata da alcuna morte. Si è inaugurata
una nuova forma di vita, una nuova dimensione della creazione: è quanto ha affermato
il Papa durante la solenne Veglia Pasquale da lui presieduta nella Basilica Vaticana.
La celebrazione ha avuto inizio nell’atrio della Basilica di San Pietro con la benedizione
del fuoco e la preparazione del cero pasquale, donato dalla Comunità Neocatecumenale
di Roma. Il Papa ha amministrato il Battesimo, la Cresima e la Prima Comunione a sei
catecumeni, provenienti da Svizzera, Albania, Russia, Perù, Singapore e Cina. L’omelia
del Papa è partita dalla prima lettura della Veglia, il racconto della creazione,
che è da considerare “una profezia”, non “un’informazione sullo svolgimento esteriore
del divenire del cosmo e dell’uomo”: “Il mondo – ha detto - è un prodotto della Parola,
del Logos” che “significa ‘ragione’, ‘senso’, ‘parola’. Non è soltanto ragione, ma
Ragione creatrice che parla e che comunica se stessa. È Ragione che è senso e che
crea essa stessa senso. Il racconto della creazione ci dice, dunque, che il mondo
è un prodotto della Ragione creatrice. E con ciò esso ci dice che all’origine di tutte
le cose non stava ciò che è senza ragione, senza libertà, bensì il principio di tutte
le cose è la Ragione creatrice, è l’amore, è la libertà. Qui – ha proseguito il Papa
- ci troviamo di fronte all’alternativa ultima che è in gioco nella disputa tra fede
ed incredulità: sono l’irrazionalità, la mancanza di libertà e il caso il principio
di tutto, oppure sono ragione, libertà, amore il principio dell’essere? Il primato
spetta all’irrazionalità o alla ragione? È questa la domanda di cui si tratta in ultima
analisi. Come credenti rispondiamo con il racconto della creazione e con Giovanni:
all’origine sta la ragione. All’origine sta la libertà. Per questo è cosa buona essere
una persona umana. Non è così che nell’universo in espansione, alla fine, in un piccolo
angolo qualsiasi del cosmo si formò per caso anche una qualche specie di essere vivente,
capace di ragionare e di tentare di trovare nella creazione una ragione o di portarla
in essa. Se l’uomo fosse soltanto un tale prodotto casuale dell’evoluzione in qualche
posto al margine dell’universo, allora la sua vita sarebbe priva di senso o addirittura
un disturbo della natura. Invece no: la Ragione è all’inizio, la Ragione creatrice,
divina. E siccome è Ragione, essa ha creato anche la libertà; e siccome della libertà
si può fare uso indebito, esiste anche ciò che è avverso alla creazione. Per questo
si estende, per così dire, una spessa linea oscura attraverso la struttura dell’universo
e attraverso la natura dell’uomo. Ma nonostante questa contraddizione, la creazione
come tale rimane buona, la vita rimane buona, perché all’origine sta la Ragione buona,
l’amore creatore di Dio. Per questo il mondo può essere salvato. Per questo possiamo
e dobbiamo metterci dalla parte della ragione, della libertà e dell’amore – dalla
parte di Dio che ci ama così tanto che Egli ha sofferto per noi, affinché dalla sua
morte potesse sorgere una vita nuova, definitiva, risanata”.
Questa mattina,
alle 10.15, Il Papa celebra sul sagrato della Basilica Vaticana, la solenne celebrazione
della Messa del giorno nella Pasqua. Il rito si apre con il rito del Resurrexit, che
prevede l’apertura dell’immagine del Risorto. Si tratta della neo “Acheropita”, una
icona realizzata a partire dal prototipo medioevale, costituita dall’immagine dipinta
del Salvatore, seduto in trono, con due sportelli laterali. Quest’anno, per una felice
coincidenza, cattolici e ortodossi celebrano la Pasqua nello stesso giorno: per questo,
dopo la proclamazione del Vangelo, un coro ortodosso intona il canto degli Stichi
e degli Stichirà della liturgia bizantina. Alle 12.00, dalla Loggia centrale della
Basilica Vaticana, il Pontefice rivolge il Messaggio pasquale e prima di impartire
la Benedizione «Urbi et Orbi», pronuncia l’augurio di Pasqua in numerose lingue. Anche
quest’anno, com’è ormai consuetudine dal 1985, la decorazione floreale di Piazza San
Pietro per la Pasqua è offerta e curata da un gruppo di artisti olandesi, sotto la
guida del maestro compositore Charles van der Voort. I colori dominanti sono come
sempre il giallo e il bianco, che simboleggiano la luce e la gioia del messaggio pasquale,
oltre ad essere i colori della bandiera vaticana. Tantissimi i fiori: dalle rose ai
gigli e ai tulipani, e ancora narcisi, giacinti e un’ampia varietà di alberi e piante
da giardino. Questa Pasqua, inoltre, vede un’altra felice coincidenza: proprio domani,
infatti, ricorre il sesto anniversario dell’inizio del Ministero Petrino di Benedetto
XVI. Di seguito il testo integrale dell’omelia del Papa per la Veglia Pasquale:
Cari fratelli e sorelle!
Due grandi segni caratterizzano
la celebrazione liturgica della Veglia Pasquale. C’è innanzitutto il fuoco che diventa
luce. La luce del cero pasquale, che nella processione attraverso la chiesa avvolta
nel buio della notte diventa un’onda di luci, ci parla di Cristo quale vera stella
del mattino, che non tramonta in eterno – del Risorto nel quale la luce ha vinto le
tenebre. Il secondo segno è l’acqua. Essa richiama, da una parte, le acque del Mar
Rosso, lo sprofondamento e la morte, il mistero della Croce. Poi però ci si presenta
come acqua sorgiva, come elemento che dà vita nella siccità. Diventa così l’immagine
del Sacramento del Battesimo, che ci rende partecipi della morte e risurrezione di
Gesù Cristo.
Della liturgia della Veglia Pasquale, tuttavia, fanno parte
non soltanto i grandi segni della creazione, luce e acqua. Caratteristica del tutto
essenziale della Veglia è anche il fatto che essa ci conduce ad un ampio incontro
con la parola della Sacra Scrittura. Prima della riforma liturgica c’erano dodici
letture veterotestamentarie e due neotestamentarie. Quelle del Nuovo Testamento sono
rimaste. Il numero delle letture dell’Antico Testamento è stato fissato a sette, ma
può, a seconda delle situazioni locali, essere ridotto anche a tre letture. La Chiesa
vuole condurci, attraverso una grande visione panoramica, lungo la via della storia
della salvezza, dalla creazione attraverso l’elezione e la liberazione di Israele
fino alle testimonianze profetiche, con le quali tutta questa storia si dirige sempre
più chiaramente verso Gesù Cristo. Nella tradizione liturgica tutte queste letture
venivano chiamate profezie. Anche quando non sono direttamente preannunci di avvenimenti
futuri, esse hanno un carattere profetico, ci mostrano l’intimo fondamento e l’orientamento
della storia. Esse fanno in modo che la creazione e la storia diventino trasparenti
all’essenziale. Così ci prendono per mano e ci conducono verso Cristo, ci mostrano
la vera Luce.
Il cammino attraverso le vie della Sacra Scrittura comincia,
nella Veglia Pasquale, con il racconto della creazione. Con ciò la liturgia vuole
dirci che anche il racconto della creazione è una profezia. Non è un’informazione
sullo svolgimento esteriore del divenire del cosmo e dell’uomo. I Padri della Chiesa
ne erano ben consapevoli. Non intesero tale racconto come narrazione sullo svolgimento
delle origini delle cose, bensì quale rimando all’essenziale, al vero principio e
al fine del nostro essere. Ora, ci si può chiedere: ma è veramente importante nella
Veglia Pasquale parlare anche della creazione? Non si potrebbe cominciare con gli
avvenimenti in cui Dio chiama l’uomo, si forma un popolo e crea la sua storia con
gli uomini sulla terra? La risposta deve essere: no. Omettere la creazione significherebbe
fraintendere la stessa storia di Dio con gli uomini, sminuirla, non vedere più il
suo vero ordine di grandezza. Il raggio della storia che Dio ha fondato giunge fino
alle origini, fino alla creazione. La nostra professione di fede inizia con le parole:
“Credo in Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra”. Se omettiamo
questo primo articolo del Credo, l’intera storia della salvezza diventa troppo ristretta
e troppo piccola. La Chiesa non è una qualsiasi associazione che si occupa dei bisogni
religiosi degli uomini, ma che ha, appunto, lo scopo limitato di tale associazione.
No, essa porta l’uomo in contatto con Dio e quindi con il principio di ogni cosa.
Per questo Dio ci riguarda come Creatore, e per questo abbiamo una responsabilità
per la creazione. La nostra responsabilità si estende fino alla creazione, perché
essa proviene dal Creatore. Solo perché Dio ha creato il tutto, può darci vita e guidare
la nostra vita. La vita nella fede della Chiesa non abbraccia soltanto un ambito di
sensazioni e di sentimenti e forse di obblighi morali. Essa abbraccia l’uomo nella
sua interezza, dalle sue origini e in prospettiva dell’eternità. Solo perché la creazione
appartiene a Dio, noi possiamo far affidamento su di Lui fino in fondo. E solo perché
Egli è Creatore, può darci la vita per l’eternità. La gioia per la creazione, la gratitudine
per la creazione e la responsabilità per essa vanno una insieme all’altra.
Il
messaggio centrale del racconto della creazione si lascia determinare ancora più precisamente.
San Giovanni, nelle prime parole del suo Vangelo, ha riassunto il significato essenziale
di tale racconto in quest’unica frase: “In principio era il Verbo”. In effetti, il
racconto della creazione che abbiamo ascoltato prima è caratterizzato dalla frase
che ricorre con regolarità: “Dio disse…”. Il mondo è un prodotto della Parola, del
Logos, come si esprime Giovanni con un termine centrale della lingua greca. “Logos”
significa “ragione”, “senso”, “parola”. Non è soltanto ragione, ma Ragione creatrice
che parla e che comunica se stessa. È Ragione che è senso e che crea essa stessa senso.
Il racconto della creazione ci dice, dunque, che il mondo è un prodotto della Ragione
creatrice. E con ciò esso ci dice che all’origine di tutte le cose non stava ciò che
è senza ragione, senza libertà, bensì il principio di tutte le cose è la Ragione creatrice,
è l’amore, è la libertà. Qui ci troviamo di fronte all’alternativa ultima che è in
gioco nella disputa tra fede ed incredulità: sono l’irrazionalità, la mancanza di
libertà e il caso il principio di tutto, oppure sono ragione, libertà, amore il principio
dell’essere? Il primato spetta all’irrazionalità o alla ragione? È questa la domanda
di cui si tratta in ultima analisi. Come credenti rispondiamo con il racconto della
creazione e con Giovanni: all’origine sta la ragione. All’origine sta la libertà.
Per questo è cosa buona essere una persona umana. Non è così che nell’universo in
espansione, alla fine, in un piccolo angolo qualsiasi del cosmo si formò per caso
anche una qualche specie di essere vivente, capace di ragionare e di tentare di trovare
nella creazione una ragione o di portarla in essa. Se l’uomo fosse soltanto un tale
prodotto casuale dell’evoluzione in qualche posto al margine dell’universo, allora
la sua vita sarebbe priva di senso o addirittura un disturbo della natura. Invece
no: la Ragione è all’inizio, la Ragione creatrice, divina. E siccome è Ragione, essa
ha creato anche la libertà; e siccome della libertà si può fare uso indebito, esiste
anche ciò che è avverso alla creazione. Per questo si estende, per così dire, una
spessa linea oscura attraverso la struttura dell’universo e attraverso la natura dell’uomo.
Ma nonostante questa contraddizione, la creazione come tale rimane buona, la vita
rimane buona, perché all’origine sta la Ragione buona, l’amore creatore di Dio. Per
questo il mondo può essere salvato. Per questo possiamo e dobbiamo metterci dalla
parte della ragione, della libertà e dell’amore – dalla parte di Dio che ci ama così
tanto che Egli ha sofferto per noi, affinché dalla sua morte potesse sorgere una vita
nuova, definitiva, risanata.
Il racconto veterotestamentario della creazione,
che abbiamo ascoltato, indica chiaramente quest’ordine delle realtà. Ma ci fa fare
un passo ancora più avanti. Ha strutturato il processo della creazione nel quadro
di una settimana che va verso il Sabato, trovando in esso il suo compimento. Per Israele,
il Sabato era il giorno in cui tutti potevano partecipare al riposo di Dio, in cui
uomo e animale, padrone e schiavo, grandi e piccoli erano uniti nella libertà di Dio.
Così il Sabato era espressione dell’alleanza tra Dio e uomo e la creazione. In questo
modo, la comunione tra Dio e uomo non appare come qualcosa di aggiunto, instaurato
successivamente in un mondo la cui creazione era già terminata. L’alleanza, la comunione
tra Dio e l’uomo, è predisposta nel più profondo della creazione. Sì, l’alleanza è
la ragione intrinseca della creazione come la creazione è il presupposto esteriore
dell’alleanza. Dio ha fatto il mondo, perché ci sia un luogo dove Egli possa comunicare
il suo amore e dal quale la risposta d’amore ritorni a Lui. Davanti a Dio, il cuore
dell’uomo che gli risponde è più grande e più importante dell’intero immenso cosmo
materiale che, certamente, ci lascia intravedere qualcosa della grandezza di Dio.
A Pasqua e dall’esperienza pasquale dei cristiani, però, dobbiamo ora
fare ancora un ulteriore passo. Il Sabato è il settimo giorno della settimana. Dopo
sei giorni, in cui l’uomo partecipa, in un certo senso, al lavoro della creazione
di Dio, il Sabato è il giorno del riposo. Ma nella Chiesa nascente è successo qualcosa
di inaudito: al posto del Sabato, del settimo giorno, subentra il primo giorno. Come
giorno dell’assemblea liturgica, esso è il giorno dell’incontro con Dio mediante Gesù
Cristo, il quale nel primo giorno, la Domenica, ha incontrato i suoi come Risorto
dopo che essi avevano trovato vuoto il sepolcro. La struttura della settimana è ora
capovolta. Essa non è più diretta verso il settimo giorno, per partecipare in esso
al riposo di Dio. Essa inizia con il primo giorno come giorno dell’incontro con il
Risorto. Questo incontro avviene sempre nuovamente nella celebrazione dell’Eucaristia,
in cui il Signore entra di nuovo in mezzo ai suoi e si dona a loro, si lascia, per
così dire, toccare da loro, si mette a tavola con loro. Questo cambiamento è un fatto
straordinario, se si considera che il Sabato, il settimo giorno come giorno dell’incontro
con Dio, è profondamente radicato nell’Antico Testamento. Se teniamo presente quanto
il corso dal lavoro verso il giorno del riposo corrisponda anche ad una logica naturale,
la drammaticità di tale svolta diventa ancora più evidente. Questo processo rivoluzionario,
che si è verificato subito all’inizio dello sviluppo della Chiesa, è spiegabile soltanto
col fatto che in tale giorno era successo qualcosa di inaudito. Il primo giorno della
settimana era il terzo giorno dopo la morte di Gesù. Era il giorno in cui Egli si
era mostrato ai suoi come il Risorto. Questo incontro, infatti, aveva in sé qualcosa
di sconvolgente. Il mondo era cambiato. Colui che era morto viveva di una vita, che
non era più minacciata da alcuna morte. Si era inaugurata una nuova forma di vita,
una nuova dimensione della creazione. Il primo giorno, secondo il racconto della Genesi,
è il giorno in cui prende inizio la creazione. Ora esso era diventato in un modo nuovo
il giorno della creazione, era diventato il giorno della nuova creazione. Noi celebriamo
il primo giorno. Con ciò celebriamo Dio, il Creatore, e la sua creazione. Sì, credo
in Dio, Creatore del cielo e della terra. E celebriamo il Dio che si è fatto uomo,
ha patito, è morto ed è stato sepolto ed è risorto. Celebriamo la vittoria definitiva
del Creatore e della sua creazione. Celebriamo questo giorno come origine e, al tempo
stesso, come meta della nostra vita. Lo celebriamo perché ora, grazie al Risorto,
vale in modo definitivo che la ragione è più forte dell’irrazionalità, la verità più
forte della menzogna, l’amore più forte della morte. Celebriamo il primo giorno,
perché sappiamo che la linea oscura che attraversa la creazione non rimane per sempre.
Lo celebriamo, perché sappiamo che ora vale definitivamente ciò che è detto alla fine
del racconto della creazione: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto
buona” (Gen 1,31). Amen.