2011-04-22 15:33:23

Via Crucis promossa dalla Caritas di Roma nel carcere di Rebibbia


Facendosi ultimo tra gli ultimi, Gesù ha scelto di abbracciare ogni uomo e rivelargli che la morte, anche quella spirituale, è stata vinta. Può essere sintetizzato così il messaggio che ha animato la Via Crucis organizzata nei giorni scorsi dalla Caritas di Roma per i detenuti del Carcere di Rebibbia. Oltre 400 i partecipanti tra reclusi, agenti della polizia penitenziaria, personale amministrativo e volontari della Caritas. Ma cosa rappresenta per i carcerati la contemplazione delle quattordici stazioni della Passione di Cristo? Paolo Ondarza lo ha chiesto al cappellano di Rebibbia don Pier Sandro Spriano:RealAudioMP3

R. - Per le persone detenute che sono qui - e questo me lo dicono francamente - si tratta di un momento per ripercorrere la propria esperienza dolorosa di arresto, di giudizio e di condanna.

D. - Cristo è stato carcerato: questo aspetto della vita di Gesù tocca i detenuti?

R. - Sicuramente sì! Quando ti trovi in un posto, dove ti viene tolto un po’ tutto, nonostante si tratti di un carcere dove si vive decentemente, la mancanza di libertà, di affetti, di sessualità… ti fa andare all’essenziale. Sicuramente il messaggio di Gesù non lascia insensibili..

D. - Cristo è Risorto, ha spezzato le catene: quanto questa Buona Novella è recepita come reale, concreta, dai detenuti?

R. - Qui in carcere ci sono alcuni segni sempre visibili di questa Risurrezione:ad esempio pensiamo ai colloqui quotidiani con i volontari: la loro presenza consente di uscire idealmente dalle mura per poter ritornare a parlare di cose diverse dal carcere. Il carcere è un ambiente dove vieni costretto a pensare solo a te stesso, alla tua sopravvivenza, ai tuoi problemi e dimentichi le tue responsabilità. I segni di Risurrezione sono gli incontri con i volontari, sono i momenti di preghiera comune, sono i momenti di catechesi. Se io in Chiesa annuncio la parola “libertà”, mi chiedono: “Dimmi come posso fare a fare un passo verso la libertà”. Questo significa che concretamente possiamo fare qualcosa di importante qui: certo si tratta di piccole cose, ma che possono portare verso questa Risurrezione.

D. - Quando sui giornali si parla di carcere lo si fa per denunciare il sovraffollamento degli istituti o l’aumento dei suicidi tra i detenuti: sono queste le tematiche che fanno più “rumore” al di là delle sbarre?

R. - Sono quelle che fanno più rumore, ma non rappresentano i veri problemi del carcere: è chiaro che il sovraffollamento è un problema, come quando io vado su un treno affollato e devo restare in piedi… I problemi ci sono perché in carcere vengono rinchiuse tante persone fragilissime, con problemi psichici, con problemi familiari. Questa situazione in una persona normale non significa molto, mentre in una persona fragile produce gravi conseguenze. I suicidi, dunque, non li collego necessariamente con la vita del carcere.

D. - Per questi casi di fragilità psichica a cui faceva riferimento, bisognerebbe pensare ad altre soluzioni, alternative al carcere?

R. - E’ ora di pensare a pene che non siano solo la carcerazione: questo è l’extrema ratio, dice la nostra Costituzione. Dobbiamo pensare a pene alternative, che siano più capaci di far pensare alla responsabilità del proprio reato. Invece qui in carcere la responsabilità ti viene tolta: non pensi più al tuo reato, perché hai bisogno di sopravvivere. Ci vorrebbero pene capaci di riconciliarsi con le vittime: la vittima qui invece te la dimentichi perché tu non vieni chiamato a restituire nulla. Occorrerebbero pene capaci di poter consentire il reinserimento in società: perché più si è chiusi in una gabbia, più si diventa cattivi.

D. - Arriva l’estate, arriva il caldo e la situazione nelle carceri diventa ancora più difficile…

R. - Assolutamente sì. Siamo nella situazione in cui le istituzioni hanno abbandonato il mondo penitenziario, dal punto di vista economico e dal punto di vista delle risorse umane. Ogni tanto devo andare a celebrare la Messa, portandomi la lampadina in tasca, perché non ci sono i soldi per cambiare una lampadina; non ci sono i soldi per dare la carta igienica ai detenuti… Questo è un problema di politica.

D. - Non ci sono soldi o ci si dimentica del carcere?

R. - Non c’è volontà, non ci sono soldi e c’è il falso annuncio che “più carcere uguale più sicurezza”: è esattamente il contrario! (mg)







All the contents on this site are copyrighted ©.