Giovanni Paolo II testimone del Vangelo della sofferenza: il ricordo di mons. Zimowski
“I testimoni della Croce e della Risurrezione di Cristo hanno trasmesso alla Chiesa
e all’umanità uno specifico Vangelo della sofferenza”. E’ quanto scrive Giovanni Paolo
II nella Lettera apostolica “Salvifici Doloris” dell’11 febbraio del 1984 ed incentrata
sul senso cristiano della sofferenza. La vita e il Pontificato di Giovanni Paolo II,
che il prossimo primo maggio verrà proclamato Beato, sono profondamente legati anche
a questo tema. Sul rapporto tra Papa Wojtyla e la sofferenza si sofferma al microfono
di Romilda Ferrauto, mons. Zygmunt Zimowski, presidente
del Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari, istituito proprio
da Giovanni Paolo II.
R. – Giovanni
Paolo II è stato un Papa che ha avuto un rapporto davvero speciale con la sofferenza,
sia dal punto di vista personale, prima di essere Papa e anche durante il Pontificato:
non dimentichiamo quando Giovanni Paolo II si univa alla Via Crucis al Colosseo e
si è aggrappato alla Croce di Nostro Signore Gesù Cristo! Lui ha sperimentato la sofferenza
fin da bambino, quando ha perso la sua mamma a nove anni, e poi ci sono stati tanti,
tanti altri eventi, in modo particolare durante la Seconda Guerra Mondiale nel corso
della quale morirono tanti suoi amici … E’ stato un uomo che veramente ha toccato
la sofferenza.
D. – Il futuro Beato ha provato sulla sua stessa carne
la sofferenza, la malattia … C’è un momento specifico in cui Giovanni Paolo II ha
accettato il suo calvario e che l’ha colpito?
R. – Nel ripercorrere
la vita di questo grande Papa, ho trovato particolarmente significativo quanto disse
pubblicamente nel maggio 1994, durante l’Angelus, al ritorno da un suo lungo ricovero
al Policlinico Gemelli: “Vorrei che attraverso Maria sia espressa oggi la mia gratitudine
per questo dono della sofferenza”. E aggiunse: “Voglio ringraziare per questo dono:
ho capito che è un dono necessario”. Certamente, queste affermazioni illustrano da
un lato la sua particolare devozione per la Vergine Maria e, dall’altro, l’accettazione
di lunghi e molteplici patimenti fisici, e quando pronunciò queste parole era come
se fosse consapevole di avere ancora molta strada da percorrere e molte, molte sofferenze
fisiche da affrontare per l’umanità, per la Chiesa.
D. – Questo indebolimento
fisico è stato d’ostacolo all’azione pastorale di Giovanni Paolo II?
R.
– Nell’ultima parte del suo Pontificato, noi sappiamo che la sofferenza aveva indubbiamente
e gravemente già segnato il suo corpo; ma vorrei, a questo proposito, riportare quanto
evidenziato da Benedetto XVI in occasione degli auguri natalizi alla Curia Romana,
nell’anno della morte di Giovanni Paolo II: “Nessun Papa ci ha lasciato una quantità
di testi pari a quella che ci ha lasciato lui; nessun Papa in precedenza ha potuto
visitare, come lui, tutto il mondo e parlare in modo diretto agli uomini di tutti
i continenti”. Il Santo Padre sottolineò ancora: “Alla fine, gli è toccato un cammino
di sofferenza e di silenzio”. Con le sue parole e con le sue opere ci ha donato cose
grandi, ma non meno importante è la lezione che ci ha dato dalla cattedra della sofferenza
e del silenzio. (gf)