Le vicende connesse alla morte del volontario italiano Vittorio Arrigoni nella Striscia
di Gaza hanno portato alla luce l’intricato conflitto che si sta combattendo in questa
isolata parte del territorio palestinese. L’infiltrazione di gruppi salafiti collegati
ad al Qaeda e determinati a scalzare Hamas dalla guida della Striscia complica ulteriormente
il mosaico politico della regione. A Giorgio Bernardelli, giornalista esperto di Medio
Oriente, Stefano Leszczynski ha chiesto se sia possibile una lettura di questo intricato
contesto politico:
R. - Ci sono
questi gruppi salafiti, con un legame diretto con Al Qaeda, che sono sempre più presenti
all’interno della Striscia e sono anche una sfida a quello che è il governo di Gaza,
guidato da Ismail Haniyeh. E’ una situazione in cui la leadership politica di Hamas
si trova a dover fare i conti con un’opposizione che è ancora più radicale dal punto
di vista dei gruppi islamici.
D. - Quali potrebbero essere gli obiettivi
politici del controllo di un’area che è effettivamente isolata dal resto del mondo?
R.
- Questa è una delle aree ideali per una presenza di tipo radicale-islamico. Si tratta
di un posto di 360 chilometri quadrati, dove vive un milione e mezzo di persone in
condizioni disperate, un luogo dove il mondo non mette piede. C’è un posto migliore
di questo per organizzazioni terroristiche che vogliono coltivare nuove cellule, anche
per alimentare quella che è una strategia di tipo globale? Una strategia come quella
del boicottaggio, che tende a chiudere le porte per non far entrare e a non curarsi
più di tanto di quello che succede lì dentro, sperando che questa situazione imploda
da sola, è una strategia che fa molto comodo a forze come quelle dei salafiti, che
vogliono propagandare la loro ideologia attraverso questo tipo di luoghi.
D.
- Che spazi ci sono per una società civile, per la nascita di un pensiero diverso?
R.
- Di spazi ce ne sono parecchi. Ci sono anche giovani, a Gaza, che si sono mossi,
esattamente com’è successo in Egitto. E’ sostanzialmente la volontà di ripartire da
un contesto nuovo. Dietro a questi movimenti giovanili, che esistono sotto traccia,
che provano a venire fuori e sperimentano la repressione a Gaza e a Ramallah, c’è
proprio questa sensazione, di gran parte del mondo giovanile, di non avere prospettive
in questa situazione. Situazione che rimane bloccata ed è sostanzialmente funzionale
al perpetuarsi dell’attuale scontro tra le due leadership. (vv)