I 90 anni del cardinale Roberto Tucci, l'organizzatore dei viaggi di Papa Wojtyla:
ricordi e aneddoti di un'amicizia speciale
La Radio Vaticana in festa per il cardinale Roberto Tucci, che compie oggi 90 anni.
Direttore generale della nostra emittente, dal 1973 al 1985, il porporato gesuita
è stato organizzatore dei viaggi apostolici internazionali di Giovanni Paolo II. Proprio
da questa straordinaria esperienza muove la riflessione del cardinale Roberto Tucci
nell’intervista di Alessandro Di Bussolo, del Centro Televisivo Vaticano:
R. - Anzitutto,
si tratta di un uomo di fede, una fede alimentata dalla preghiera. Si può dire che
era in preghiera continua. Io lo vedevo pregare in macchina il Rosario oppure il breviario;
lo vedevo in elicottero, in treno, in aereo: era una continua preghiera, anche quando
entravamo in una chiesa ed eravamo in ritardo. Andava davanti al Santissimo e stava
lì dieci minuti, anche venti minuti. Al principio, se entrava in una chiesa già piena
di gente, naturalmente sin dagli inizi c’era un grande chiasso per gli applausi e
per le urla in suo favore. Ma vedendo poi che quest’uomo stava senza muoversi, come
fosse una statua davanti al Santissimo, come se in realtà stesse fuori da quella chiesa
e non sentisse tutto quel rumore, il chiasso si placava e la gente cominciava a stare
in silenzio. Avevamo una chiesa piena di gente entusiasta che stava zitta e il Papa
che pregava con una grande intensità. Qualche volta, quando dopo un po’ io mi accostavo
per dirgli che eravamo in ritardo, mi diceva: “Padre, la preghiera è più importante
della puntualità”. Così capivo che avevo sbagliato e che era meglio ritirarmi… Mi
ha impressionato qualche volta, tante volte anzi, questa sua capacità di raccogliersi
in preghiera in qualsiasi situazione. Per esempio una volta, tornando dall’India,
da Bombay, non potemmo atterrare a Roma perché c’era la neve e dovemmo atterrare all’una
di notte a Napoli: andai a dirgli che purtroppo non c’era altro mezzo per arrivare
a Roma che prendere un treno, perché anche con l’elicottero non si poteva viaggiare
e lui si mise tranquillo a pregare e rimase più di un’ora ad aspettare che tutto fosse
pronto per partire. Non si lagnò di niente, era raccolto nella sua preghiera e tutto
andava bene. E mi fece soprattutto impressione - perché è una cosa un po’ particolare
- quella volta in Israele, mentre andavamo in elicottero da Gerusalemme verso Nazareth.
Era la Festa dell’Annunciazione, io sedevo vicino a lui in elicottero - uno dei rari
casi in cui ero sull’elicottero del Papa, vicino al Papa - mentre lui sedeva vicino
al finestrino e non guardava il paesaggio ch sfilava sotto di noi da Gerusalemme a
Nazareth. Vidi che aveva in mano dei foglietti, stampati, tenuti insieme da un filo:
leggeva una di queste paginette, poi faceva un gran segno di croce e rimaneva parecchio
tempo tutto preso dalla preghiera, poi voltava pagina, faceva un nuovo segno della
croce e poi di nuovo una lunga meditazione… Mi venne allora la curiosità di guardare
cosa fossero quelle paginette: era la Via Crucis. Era un venerdì e lui ogni venerdì
recitava la Via Crucis, e avendo quel giorno un programma molto fitto, e temendo di
non avere tempo la sera la stava leggendo in elicottero, con grande semplicità; lui
da solo, con se stesso, davanti al Signore. La capacità di questo uomo di raccogliersi
in preghiera si spiega anche con altri motivi, ma certo era un uomo di gran coraggio,
che non si scoraggiava mai… Se si pensa che era vissuto sotto due dittature - quella
nazista e quella comunista - si può capire come si fosse rafforzato molto il suo carattere;
una “formazione” impostagli dalle contingenze. Tuttavia, era soprattutto la sua fede
in Dio a dargli questa grande sicurezza: non una sicurezza di sé, ma la sicurezza
che il Signore lo avrebbe aiutato. La sua fiducia nell’aiuto del Signore, attraverso
la preghiera, non lo fece mai scoraggiare.
D. - Eminenza, lei ha spiegato
che la fede in Dio dava la forza a Karol Wojtyla per non fermarsi davanti agli ostacoli.
Ci ricordi alcuni dei suoi gesti coraggiosi nei viaggi…
R. - Anzitutto
il Nicaragua, perché andare in quel momento in Nicaragua (1983 - ndr) è stato un atto
di coraggio. Ma ci sono stati momenti difficili anche in Polonia, sin dal primo viaggio,
così come negli altri viaggi che ho organizzato io. Il Papa non si adirava: gli dispiaceva
ma continuava, perché pensava soprattutto al popolo. La tranquillità gli veniva sempre
da questa grande unità col Signore. Io prego sempre il Signore che ne dia un pochino
anche a me e mi rivolgo proprio a Giovanni Paolo II affinché mi aiuti. Certamente,
mi ha fatto un grande favore: da ragazzo ero in una congregazione mariana - ed è lì
che sono diventato cattolico e poi sono diventato anche gesuita - dove si recitava
il Rosario. Durante la mia vita, lo avevo un poco trascurato, ma poi sentendo il Papa
parlare dell’importanza del Rosario - che insieme con la Madonna permette di "ripassare"
l’intera vita di Gesù - posso dire che oggi è diventata la mia preghiera più cara:
ogni giorno dico il Rosario e sento quanto sia importante la preghiera del Rosario,
che prima consideravo una cosa noiosa, ripetitiva… Ora non la considero più tale
e lo devo a lui.
D. - Lei è stato chiamato da Giovanni Paolo II a presentare
ai giornalisti le sue prime Encicliche, quelle che poi hanno segnato tutto il Pontificato.
Possiamo dire che è stato il Papa della dignità dell’uomo, della misericordia di Dio
e della riconciliazione?
R. – Sì, sappiamo bene che è stato lui ad istituire
la festa della Divina misericordia, per la sua devozione verso una pia donna polacca
che lui ha anche beatificato e canonizzato. Aveva un gran senso di misericordia e
ha scritto un’Enciclica su questo, molto bella. Una delle più belle prime encicliche
del Papa è quella sulla Misericordia di Dio.Poi, una cosa che
mi ha sempre colpito era l’amore del Papa per i malati. Mi fece impressione, in Messico,
quando ancora non ero io a organizzare i viaggi, entrare in una chiesa di stile coloniale
stupenda, piena di tutte le miserie più grosse che si possono mettere insieme in una
chiesa riempiendola di malati, di storpi, di gente in carrozzella... il Papa in quell’occasione
mi colpì profondamente: accostandosi a ogni singolo malato - salutò così ogni singolo
malato spesso baciandogli la fronte - mi sembrò che il Papa stesse in adorazione,
come se stesse adorando nostro Signore nel fare quel gesto verso quel malato. Mi fece
un’impressione enorme e gliel’ho visto fare molte altre volte. Io qualche volta come
organizzatore ero un po’ preoccupato: sapevo che il Papa voleva che i malati in carrozzella
stessero in prima fila nelle Messe, però dicevo pure di non farne entrare troppi,
perché sennò chissà quanto tempo si sarebbe voluto e sarebbero saltati i tempi...
Una volta vennero messi in prima fila alcuni malati; alle loro spalle venne posta
una transenna dietro la quale stavano però molti più malati di quelli al di qua. Allora
il Papa mi ha chiesto, in una maniera anche un po’ brusca: “Per favore mi faccia passare!”.
Abbiamo dovuto togliere la sbarra e farlo passare: lui è andato a salutare tutti quanti.
E più che con affetto a me è sempre sembrato con venerazione.
D. – Un
ricordo personale, lei che lo ha conosciuto ai tempi della Commissione del Concilio
incaricata di preparare la Gaudium et spes... Un suo ricordo personale di Giovanni
Paolo II, quello che conserva nel cuore, il ricordo di un “amico” come lei lo ha anche
definito …
R. – Ce ne sono tanti, è difficile scegliere… Ci sono quelli
che me lo ricordano scherzare con me, prendermi un po' in giro, aneddoti simpatici...
Per dire, di solito lui non si preoccupava molto dei problemi organizzativi. Una volta
invece, durante una riunione di lavoro a pranzo, cominciò a chiedermi come si organizzava
quella cosa, come si organizzava quell'altra, fece molte domande. Poi uscimmo e andammo
in cappella - si andava in cappella a pregare 10 minuti prima del pranzo e 10 minuti
dopo il pranzo - mi prese per il braccio e mi disse: “Povero padre Tucci, come è caduto
in basso dalla teologia!”. Questo perché lo avevo conosciuto durante il Concilio Vaticano
II, quando ero lì come teologo e lui come vescovo… Aveva di queste battute così! Oppure,
quando era il mio onomastico - che è la festa di San Roberto Bellarmino a settembre
- il Papa mi faceva sempre una festicciola. La mattina mi chiamava, poi arrivavano
quelli del seguito papale - prima che cominciassi il lavoro vero e proprio - e mi
faceva gli auguri. Una volta, per prendermi in giro, ha detto agli altri che stavano
lì: “Ma non vi sembra che il padre Tucci faccia in modo che si organizzino i viaggi
che capitino proprio nel giorno del suo onomastico?”. Io sono stato un po’ impertinente
perché gli ho risposto: “Santo Padre, lei sa molto meglio di me, che è lei che deicide
le date dei viaggi, non io!”. Allora mi ha abbracciato e si è fatto una gran risata!
Perché sapeva anche apprezzare l’umorismo.