2011-04-19 15:39:59

I 90 anni del cardinale Roberto Tucci, l'organizzatore dei viaggi di Papa Wojtyla: ricordi e aneddoti di un'amicizia speciale


La Radio Vaticana in festa per il cardinale Roberto Tucci, che compie oggi 90 anni. Direttore generale della nostra emittente, dal 1973 al 1985, il porporato gesuita è stato organizzatore dei viaggi apostolici internazionali di Giovanni Paolo II. Proprio da questa straordinaria esperienza muove la riflessione del cardinale Roberto Tucci nell’intervista di Alessandro Di Bussolo, del Centro Televisivo Vaticano:RealAudioMP3

R. - Anzitutto, si tratta di un uomo di fede, una fede alimentata dalla preghiera. Si può dire che era in preghiera continua. Io lo vedevo pregare in macchina il Rosario oppure il breviario; lo vedevo in elicottero, in treno, in aereo: era una continua preghiera, anche quando entravamo in una chiesa ed eravamo in ritardo. Andava davanti al Santissimo e stava lì dieci minuti, anche venti minuti. Al principio, se entrava in una chiesa già piena di gente, naturalmente sin dagli inizi c’era un grande chiasso per gli applausi e per le urla in suo favore. Ma vedendo poi che quest’uomo stava senza muoversi, come fosse una statua davanti al Santissimo, come se in realtà stesse fuori da quella chiesa e non sentisse tutto quel rumore, il chiasso si placava e la gente cominciava a stare in silenzio. Avevamo una chiesa piena di gente entusiasta che stava zitta e il Papa che pregava con una grande intensità. Qualche volta, quando dopo un po’ io mi accostavo per dirgli che eravamo in ritardo, mi diceva: “Padre, la preghiera è più importante della puntualità”. Così capivo che avevo sbagliato e che era meglio ritirarmi… Mi ha impressionato qualche volta, tante volte anzi, questa sua capacità di raccogliersi in preghiera in qualsiasi situazione. Per esempio una volta, tornando dall’India, da Bombay, non potemmo atterrare a Roma perché c’era la neve e dovemmo atterrare all’una di notte a Napoli: andai a dirgli che purtroppo non c’era altro mezzo per arrivare a Roma che prendere un treno, perché anche con l’elicottero non si poteva viaggiare e lui si mise tranquillo a pregare e rimase più di un’ora ad aspettare che tutto fosse pronto per partire. Non si lagnò di niente, era raccolto nella sua preghiera e tutto andava bene. E mi fece soprattutto impressione - perché è una cosa un po’ particolare - quella volta in Israele, mentre andavamo in elicottero da Gerusalemme verso Nazareth. Era la Festa dell’Annunciazione, io sedevo vicino a lui in elicottero - uno dei rari casi in cui ero sull’elicottero del Papa, vicino al Papa - mentre lui sedeva vicino al finestrino e non guardava il paesaggio ch sfilava sotto di noi da Gerusalemme a Nazareth. Vidi che aveva in mano dei foglietti, stampati, tenuti insieme da un filo: leggeva una di queste paginette, poi faceva un gran segno di croce e rimaneva parecchio tempo tutto preso dalla preghiera, poi voltava pagina, faceva un nuovo segno della croce e poi di nuovo una lunga meditazione… Mi venne allora la curiosità di guardare cosa fossero quelle paginette: era la Via Crucis. Era un venerdì e lui ogni venerdì recitava la Via Crucis, e avendo quel giorno un programma molto fitto, e temendo di non avere tempo la sera la stava leggendo in elicottero, con grande semplicità; lui da solo, con se stesso, davanti al Signore. La capacità di questo uomo di raccogliersi in preghiera si spiega anche con altri motivi, ma certo era un uomo di gran coraggio, che non si scoraggiava mai… Se si pensa che era vissuto sotto due dittature - quella nazista e quella comunista - si può capire come si fosse rafforzato molto il suo carattere; una “formazione” impostagli dalle contingenze. Tuttavia, era soprattutto la sua fede in Dio a dargli questa grande sicurezza: non una sicurezza di sé, ma la sicurezza che il Signore lo avrebbe aiutato. La sua fiducia nell’aiuto del Signore, attraverso la preghiera, non lo fece mai scoraggiare.

D. - Eminenza, lei ha spiegato che la fede in Dio dava la forza a Karol Wojtyla per non fermarsi davanti agli ostacoli. Ci ricordi alcuni dei suoi gesti coraggiosi nei viaggi…

R. - Anzitutto il Nicaragua, perché andare in quel momento in Nicaragua (1983 - ndr) è stato un atto di coraggio. Ma ci sono stati momenti difficili anche in Polonia, sin dal primo viaggio, così come negli altri viaggi che ho organizzato io. Il Papa non si adirava: gli dispiaceva ma continuava, perché pensava soprattutto al popolo. La tranquillità gli veniva sempre da questa grande unità col Signore. Io prego sempre il Signore che ne dia un pochino anche a me e mi rivolgo proprio a Giovanni Paolo II affinché mi aiuti. Certamente, mi ha fatto un grande favore: da ragazzo ero in una congregazione mariana - ed è lì che sono diventato cattolico e poi sono diventato anche gesuita - dove si recitava il Rosario. Durante la mia vita, lo avevo un poco trascurato, ma poi sentendo il Papa parlare dell’importanza del Rosario - che insieme con la Madonna permette di "ripassare" l’intera vita di Gesù - posso dire che oggi è diventata la mia preghiera più cara: ogni giorno dico il Rosario e sento quanto sia importante la preghiera del Rosario, che prima consideravo una cosa noiosa, ripetitiva… Ora non la considero più tale e lo devo a lui.

D. - Lei è stato chiamato da Giovanni Paolo II a presentare ai giornalisti le sue prime Encicliche, quelle che poi hanno segnato tutto il Pontificato. Possiamo dire che è stato il Papa della dignità dell’uomo, della misericordia di Dio e della riconciliazione?

R. – Sì, sappiamo bene che è stato lui ad istituire la festa della Divina misericordia, per la sua devozione verso una pia donna polacca che lui ha anche beatificato e canonizzato. Aveva un gran senso di misericordia e ha scritto un’Enciclica su questo, molto bella. Una delle più belle prime encicliche del Papa è quella sulla Misericordia di Dio. Poi, una cosa che mi ha sempre colpito era l’amore del Papa per i malati. Mi fece impressione, in Messico, quando ancora non ero io a organizzare i viaggi, entrare in una chiesa di stile coloniale stupenda, piena di tutte le miserie più grosse che si possono mettere insieme in una chiesa riempiendola di malati, di storpi, di gente in carrozzella... il Papa in quell’occasione mi colpì profondamente: accostandosi a ogni singolo malato - salutò così ogni singolo malato spesso baciandogli la fronte - mi sembrò che il Papa stesse in adorazione, come se stesse adorando nostro Signore nel fare quel gesto verso quel malato. Mi fece un’impressione enorme e gliel’ho visto fare molte altre volte. Io qualche volta come organizzatore ero un po’ preoccupato: sapevo che il Papa voleva che i malati in carrozzella stessero in prima fila nelle Messe, però dicevo pure di non farne entrare troppi, perché sennò chissà quanto tempo si sarebbe voluto e sarebbero saltati i tempi... Una volta vennero messi in prima fila alcuni malati; alle loro spalle venne posta una transenna dietro la quale stavano però molti più malati di quelli al di qua. Allora il Papa mi ha chiesto, in una maniera anche un po’ brusca: “Per favore mi faccia passare!”. Abbiamo dovuto togliere la sbarra e farlo passare: lui è andato a salutare tutti quanti. E più che con affetto a me è sempre sembrato con venerazione.

D. – Un ricordo personale, lei che lo ha conosciuto ai tempi della Commissione del Concilio incaricata di preparare la Gaudium et spes... Un suo ricordo personale di Giovanni Paolo II, quello che conserva nel cuore, il ricordo di un “amico” come lei lo ha anche definito …

R. – Ce ne sono tanti, è difficile scegliere… Ci sono quelli che me lo ricordano scherzare con me, prendermi un po' in giro, aneddoti simpatici... Per dire, di solito lui non si preoccupava molto dei problemi organizzativi. Una volta invece, durante una riunione di lavoro a pranzo, cominciò a chiedermi come si organizzava quella cosa, come si organizzava quell'altra, fece molte domande. Poi uscimmo e andammo in cappella - si andava in cappella a pregare 10 minuti prima del pranzo e 10 minuti dopo il pranzo - mi prese per il braccio e mi disse: “Povero padre Tucci, come è caduto in basso dalla teologia!”. Questo perché lo avevo conosciuto durante il Concilio Vaticano II, quando ero lì come teologo e lui come vescovo… Aveva di queste battute così! Oppure, quando era il mio onomastico - che è la festa di San Roberto Bellarmino a settembre - il Papa mi faceva sempre una festicciola. La mattina mi chiamava, poi arrivavano quelli del seguito papale - prima che cominciassi il lavoro vero e proprio - e mi faceva gli auguri. Una volta, per prendermi in giro, ha detto agli altri che stavano lì: “Ma non vi sembra che il padre Tucci faccia in modo che si organizzino i viaggi che capitino proprio nel giorno del suo onomastico?”. Io sono stato un po’ impertinente perché gli ho risposto: “Santo Padre, lei sa molto meglio di me, che è lei che deicide le date dei viaggi, non io!”. Allora mi ha abbracciato e si è fatto una gran risata! Perché sapeva anche apprezzare l’umorismo.







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