Bangladesh: positiva la prima conferenza tra le comunità cristiana e ahmadiyya
“Positivo, educativo e costruttivo”, con queste parole padre Francesco Rapacioli ha
descritto all'agenzia AsiaNews l’incontro tra le comunità ahmadiyya e cristiana di
Dhaka, in Bangladesh, avvenuto sabato scorso. “L’affluenza – spiega il sacerdote animatore
del movimento ecumenico “Shalom” – è stata maggiore che in ogni altro incontro promosso
da ‘Shalom’: i partecipanti erano 175, di cui un’ottantina cristiani e il restante
ahmadi”. La comunità ahmadiyya è nata in India, nella zona del Punjab, al confine
col Pakistan, nel 1889, da Mirza Ghulam Ahmad che, oltre a essere il fondatore del
movimento, è considerato anche il messia. Dopo la sua morte, il movimento è stato
presieduto da altri ‘mirza’, guide”. Al momento, la comunità è retta dal quinto
leader, Mirza Masroor Ahmad. Le radici indiane di questa comunità sono molto forti,
secondo padre Rapacioli: “Gli ahmadiyya riconoscono come profeti anche quelli fuori
dalla linea giudaico-cristiana, come Khrisna, Buddha o Confucio, a differenza invece
dell’islam sunnita che accetta solo la figura di Gesù. Un tipo di teologia e comprensione
del messianismo tipico degli indiani”. Proprio quest’apertura – insieme alla convinzione
che il loro fondatore sia il nuovo messia – è uno dei motivi per cui sono discriminati
e perseguitati dai fondamentalisti. Che il clima in cui gli ahmadiyya vivono non sia
affatto sereno emerge da un episodio occorso proprio durante la conferenza. “A un
certo punto – spiega il religioso – la discussione si è un po’ bloccata. Mobasherur
Rahman, responsabile della comunità bengalese e uno degli organizzatori, ha affrettato
la conclusione dell’incontro senza dare troppe spiegazioni. Lì per lì non ho capito
cosa stesse accadendo. Più tardi, da persona onesta qual è, mi ha confessato di aver
visto entrare nella sede alcuni musulmani, che avrebbero senz’altro rovinato l’atmosfera,
essendo sempre molto ostili e aggressivi nei loro confronti”. Al di là di questo episodio,
il bilancio finale dell’incontro è molto positivo. “Sia la comunità cristiana che
quella ahmadiyya – continua padre Rapacioli – sono due minoranze in Bangladesh, e
tra i due gruppi c’è sempre stata una certa diffidenza. Noi, oltretutto, rappresentiamo
una minoranza anche dal punto etnico, visto che più del 50% dei cristiani sono tribali,
indigeni. Loro, perché si tratta di una comunità dai tratti particolari, poco conosciuta”.
“Eppure – prosegue il sacerdote -, non solo hanno voluto ospitarci nella loro sede,
ma più tardi ci hanno offerto un rinfresco e messo a disposizione le loro pubblicazioni.
Questo per dimostrarci di aver trovato una comunità con cui aprirsi, dialogare, incontrarsi.
È come se avessero trovato degli alleati”. Padre Rapacioli spiega in conclusione che
l’evento è stato costruttivo anche per la comunità cristiana: “Proprio da un punto
di vista educativo: capire che esiste un’alterità religiosa, con principi vicini ai
nostri e che a volte è anche discriminata, in qualche modo ci permette di comprendere
meglio la nostra stessa fede”. (M.G)