L’arcivescovo di Guwahati sulla democrazia e la libertà religiosa in Bhutan
“Sarebbe un piacere e un onore, per noi cattolici, metterci al servizio del futuro
del Bhutan”: così mons. Thomas Menamparampil, arcivescovo di Guwahati, in Assam, nell’India
nordorientale al confine con il regno buddista, ha commentato in un’intervista all’agenzia
Fides la sua recente visita in Bhutan, dove non si recava da 18 anni. All’epoca in
Bhutan viveva un missionario gesuita, ma dopo la sua morte nessun altro missionario
si è più stabilito in Bhutan, anche se, periodicamente, sacerdoti dalla vicina diocesi
di Darjeeling, nel Bengala occidentale, India, vi si recano per celebrare la Messa.
L’arcivescovo racconta di aver visto grandi cambiamenti e confida di sperare, insieme
a un avvio della democrazia del quale ci sono tutti i segnali, anche un allargamento
della libertà religiosa e magari all’autorizzazione a costruire nuovi luoghi di culto.
Attualmente, infatti, in Bhutan i cristiani presenti, circa centomila secondi gli
osservatori, leggono e pregano con la Bibbia, ma praticano il loro culto in privato,
impediti per legge a praticarlo in pubblico e anche le conversioni restano vietate.
Tuttavia, episodi di abusi, maltrattamenti o discriminazioni ai loro danni, si registrano
solo in alcuni, esigui casi di predicazione troppo attiva: “Vivono come i primi cristiani,
fra loro si avverte una forte presenza dello Spirito Santo”, dice ancora il presule,
che attribuisce il “risveglio” del cristianesimo in Bhutan, con il quale confina la
sua diocesi, ai progressi fatti dalle Chiese evangeliche nel vicino Nepal. Quanto
ai cattolici, esiste una piccola comunità a Thimpu, ma c’è un cattolico anche in Parlamento;
per il resto la maggior parte dei cristiani presenti appartiene a chiese indipendenti
di derivazione Pentecostale. (R.B.)