Afghanistan: almeno 10 morti per un attacco kamikaze in una base militare
Violenza protagonista in Afghanistan. Questa mattina un kamikaze si è fatto esplodere
davanti ad una base militare mista nell’est del Paese, causando almeno 10 morti. Oltre
all’attentatore suicida, hanno perso la vita quattro soldati afghani e cinque della
Forza internazionale di assistenza alla sicurezza. Ma quale è la strategia dei ribelli?
Eugenio Bonanata ha girato la domanda a Riccardo Redaelli, docente di
Geopolitica presso l’Università Cattolica di Milano:
R. - Credono
che il tempo stia dalla loro parte e cercano di proseguire negli attacchi, perché
una guerra che si trascina ovviamente va a loro vantaggio: sono convinti che, prima
o poi, l’Occidente si stancherà e si ritirerà dal Paese. Quindi, non c’è un grande
cambiamento strategico, ma si cerca di logorare l’avversario e al limite - questo
non al Qaeda, perché rifiuta ogni trattativa, ma i talebani meno ideologizzati - puntano
a colloqui di pace con il governo di Kabul, affinché ci siaun approccio da cui guadagnare
maggiormente.
D. - Come ne esce la Nato?
R. - Al di là
del singolo evento luttuoso, ma non particolarmente significativo da un punto di vista
strategico, c’è l’evidente incapacità di stabilizzare questo fronte, soprattutto nella
zona dell’est e del sudest, che sono poi le zone oggettivamente più difficili. Tutto
questo può portare, soprattutto se ci saranno molti morti dei contingenti Nato occidentali,
ad una ulteriore fase di stanchezza da parte delle opinioni pubbliche internazionali,
che sempre meno sopportano questo stillicidio di attentati.
D. - Si
parla di passaggio di poteri alle forze locali e tuttavia cresce l’insofferenza nei
confronti dell’Isaf per l’alto numero di morti tra i civili...
R. -
Eh sì, con il precedente comandante della Nato si era cercato di ridurre il numero
dei morti civili, riducendo drasticamente gli attacchi aerei, che sono quelli che
causano i cosiddetti “danni collaterali”, che è un orrendo termine per definire gli
errori e l’uccisione dei civili. Con il nuovo comandante - da due anni al comando
- la situazione è tornata ad un livello maggiore di attacchi aerei: tutto ciò provoca
una grande insofferenza nella popolazione civile e anche un crescente disagio da parte
del governo di Kabul, che ne chiede la limitazione. D’altro canto non volendo - e
non potendo - noi perdere troppi uomini dal punto di vista della guerra sul terreno,
questi attacchi sono fondamentali.
D. - L’altra strada in mano agli
Stati Uniti è quella di stringere accordi commerciali con l’Afghanistan?
R.
- Sì, questa è una strada di lungo e medio periodo. Tuttavia, un conto sono le dichiarazioni
pubbliche e un conto è la realtà: l’Afghanistan è dipendente quasi completamente dagli
aiuti internazionali. Non illudiamoci che ci sia una grande possibilità di cambiare
gli scenari strategici e politico-economici nel breve tempo. La realtà è che gli errori
fatti dalla coalizione nei primi anni dello scorso decennio, hanno condizionato tutto
il nostro ruolo in Afghanistan. Oggi si cerca quindi di “rappezzare” una situazione
difficile e trovare un’onorevole via di uscita: ma non illudiamoci che sia una soluzione
veramente ottimale per il Paese! (mg)