Ancora una scossa di terremoto in Giappone. Paura per la centrale nucleare di Fukushima
Una nuova scossa di terremoto di magnitudo 6,1 gradi Richter ha colpito questa
mattina il Giappone nord-orientale. L'epicentro è stato localizzato al largo dell'isola
di Honsu ad 11 km di profondità, ma non ha provocato alcuna allerta tsunami. Intanto,
continua a rimanere alta la preoccupazione per l’emergenza nucleare nella centrale
di Fùkushima, il cui livello di pericolosità è stato equiparato a quello della centrale
di Chernobyl. Un paragone che per Massimo Salvatori, vice presidente dell’Associazione
Italiana Medicina Nucleare e docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, non
è del tutto corretto. Lo spiega al microfono di Amedeo Lomonaco:
R.
– Questi indici di gravità di livello 7 indubbiamente generano confusione. Sicuramente,
da un punto di vista tecnico - facendo riferimento alla scala degli eventi nucleari
e radiologici sono equiparabili. Però, ovviamente, possiamo pensare fin da oggi, anche
se forse è azzardato sbilanciarsi, che le conseguenze cliniche sulla salute saranno
enormemente diverse. Un conto è l’emissione di una certa quota di radioattività nell’ambiente
e un conto sono le conseguenze cliniche. Per le conseguenze cliniche concorrono tanti
fattori. Non basta solo un certo quantitativo di radioattività emesso nell’ambiente.
Faccio l’esempio di Chernobyl. A Chernobyl fu emessa una grossa quantità di radioattività
nell’ambiente, però esistevano tante condizioni purtroppo sfavorevoli che hanno portato
ad alcune gravi conseguenze, in particolare ai tumori tiroidei nei bambini. Per quanto
riguarda Fukushima, la situazione è sicuramente diversa. Pur essendo di stesso livello
tecnico, le conseguenze cliniche saranno sicuramente diverse.
D. – Anche
perché proprio l’Agenzia giapponese per la sicurezza nucleare ha subito precisato
che le emissioni radioattive registrate dall’inizio della crisi equivalgono a circa
il 10 per cento di quelle misurate nel 1986 a Chernobyl…
R. – Esatto,
e non solo questo dato è rilevante. Faccio un paragone con Chernobyl probabilmente
calzante. I tumori della tiroide nei bambini furono determinati da una serie di circostanze.
Primo: l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, all’epoca non aveva un programma
di prevenzione del gozzo tiroideo con la diffusione dello iodio nell’alimentazione
e, quindi, le tiroidi dei bambini erano molto ricettive allo iodio. Secondo: non fu
attuato, a differenza della Polonia, un programma di blocco della tiroide nei bambini
e terzo, cosa ancora più grave, i bambini continuarono a bere latte consumato e prodotto
dalle fattorie locali. Era latte ottenuto da bestiame che aveva pascolato e si era
nutrito di erba contaminata dalla ricaduta del fall out radioattivo. Questi tre eventi,
clamorosamente sbagliati, concorsero a quelle conclusioni. Oggi questi errori non
si rifarebbero più. L’equazione "quantità di radioattività emessa nell’ambiente e
conseguenze cliniche" non è così diretta: pur essendo, da un punto di vista tecnico,
la stessa gravità, le conseguenze cliniche non potranno essere sicuramente le stesse.
L’esperienza di 25 anni fa ha insegnato molto in questo, a parte le condizioni sociopolitiche
diverse, tecniche. A Chernobyl esplose la centrale e rimase attiva per tanti giorni
una colonna di radioattività che si innalzò per decine di chilometri. Uno scenario
enormemente diverso.